DIPENDENZA DA INTERNET

Internet Addiction Disorder: la normativa

Ci sono studi ma anche norme che descrivono questo “male oscuro del web”. Ma pochi lo sanno. Facciamo chiarezza

Pubblicato il 30 Dic 2015

Angelo Alù

studioso di processi di innovazione tecnologica e digitale

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Con l’avvento dell’era digitale, la diffusione delle nuove tecnologie ha prodotto non solo indiscutibili benefici nel settore dell’economia, della politica e della società nel suo complesso, ma anche  conseguenze particolarmente negative connesse allo sviluppo di Internet.

Negli ultimi anni si parla con sempre maggiore attualità della cd.”Dipendenza da Internet” (Internet Addiction Disorder), che identifica una serie di disturbi comportamentali e cognitivi provocati dall’uso eccessivo di Internet, con gravi ripercussioni negative sulle interazioni sociali degli individui a causa di frequenti stati di ansia e tensione, che possono essere temporaneamente sedati dall’incessante uso di Internet, in grado di offrire un senso di piacere e rilassamento temporaneo tale da lenire i disturbi psicologici della dipendenza.

Infatti, l’Internet Addiction Disorder rappresenta una condizione psicologica che provoca un’alterazione del comportamento, a seguito di un uso compulsivo del computer, alimentato da un insistente bisogno di connettersi al web e che si manifesta nell’esasperata e incontrollata ricerca di contatti e relazioni virtuali, sino a creare negative disfunzioni della sfera relazione e affettiva di ogni individuo, al pari di quanto avviene per analoghi fenomeni di dipendenza da sostanze stupefacenti, a causa di perdita di controllo, irritabilità, ansia, instabilità emotiva, depressione, aggressività, nervosismo, disturbi del sonno e  malnutrizione.

Secondo una delle più autorevoli classificazioni elaborate per l’inquadramento di tale fenomeno, è possibile distinguere specifiche forme settoriali di Dipendenza da Internet:

· Dipendenza dalle relazioni virtuali (Cyber-Relational Addiction): tendenza ad instaurare rapporti online, che diventano sempre più importanti dei normali rapporti quotidiani instaurati offline con la famiglia e con la propria cerchia di amici.

· Sovraccarico cognitivo (Information Overload): ricerca ossessiva, particolarmente frequente e insaziabile di informazioni sul web.

· Dipendenza dal sesso virtuale (Cybersexual Addiction): uso compulsivo di siti dedicati al sesso virtuale, mediante lo scaricamento e l’utilizzo di materiale pornografico online.

· Gioco Offline (Computer Addiction): tendenza all’utilizzo di giochi virtuali che non prevedono l’interazione tra più giocatori.

· Gioco Online (Net Compulsion): tendenza alla ricerca di varie attività online (gioco d’azzardo, shopping compulsivo, i giochi di ruolo).

Gli studi più recenti evidenziano che tra i soggetti più esposti al rischio di una possibile dipendenza da Internet vi sono gli studenti universitari, i giovani uomini single, le donne di mezza età, le persone con un più basso livello di istruzione, e in generale coloro che sono affetti da altri disturbi psicologici quali depressione, timidezza e bassa autostima.

Rispetto a tale fenomeno sempre più diffuso e attuale, naturalmente si è registrato un interessante contributo della giurisprudenza di legittimità, al fine di chiarire, dal punto di vista giuridico, la concreta influenza della dipendenza da Internet sui processi cognitivi e di elaborazione mentale dell’utente.

Infatti, è noto che in materia penale il fondamentale requisito di imputabilità necessario per l’attribuzione del reato al soggetto responsabile è stabilito dall’art. 85 c.p. (“Capacità di intendere e di volere”) secondo cui viene esclusa la punibilità del reo se al momento della commissione del reato non era imputabile, in quanto privo della capacità di intendere e di volere.

I successivi artt. 88 e 89 c.p. (rispettivamente rubricati “Vizio totale di mente” e Vizio parziale di mente”) richiedono, ai fini della esclusione della imputabilità, l’esistenza di uno stato patologico che incida sui processi intellettivi e volitivi della persona, oppure di anomalie psichiche che, seppur non classificabili secondo precisi schemi medico-legali, risultino tali per la loro intensità ad escludere o scemare grandemente la capacità di intendere e volere dell’autore di un reato.

In base queste considerazioni generali, merita di essere segnalata la recente sentenza del 2013, n. 1161, con cui la Suprema Corte è stata chiamata a pronunciarsi sulla incidenza della dipendenza da Internet sulla capacità di intendere e volere e, quindi, sull’imputabilità di un soggetto responsabile della detenzione e della divulgazione di un ingente quantitativo di materiale pedopornografico.

In questo caso, i giudici ermellini, dopo aver confermato la sussistenza, nel caso di specie, di una dipendenza da Internet, quale condizione psicologica idonea a condizionare i processi volitivi, non derivante da una patologia o da un disturbo conclamato o chiaramente riconoscibile e preso atto della mancanza di una precisa qualificazione medica di tale disturbo, in quanto trattasi di quadro sintomatico non ancora compiutamente classificabile, hanno espressamente escluso la rilevanza di tale dipendenza, atteso che l’Internet Addiction non influisce sulla capacità di intendere e di volere, anche semplicemente come sottoforma di vizio parziale di mente, poiché l’incidenza dei turbamenti psichici sulle facoltà mentali dell’imputato risulta priva dei prescritti connotati di gravità.

A sostegno di tale tesi, la Cassazione ha richiamato l’indirizzo ermeneutico delle Sezioni Unite della Cassazione n. 9163 del 25.1.2005, secondo cui “ai fini del riconoscimento del vizio totale o parziale di mente, acquistano rilievo solo quei disturbi della personalità che siano di consistenza, intensità e gravità tali da incidere concretamente sulla capacità di intendere o di volere, escludendola o scemandola grandemente, e a condizione che sussista un nesso eziologico con la specifica condotta criminosa, per effetto del quale il fatto di reato sia ritenuto causalmente determinato dal disturbo mentale”.

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