Tre recenti ricerche Ocse rendono evidente tre problemi molto gravi, a nostro avviso correlati, che affliggono il mercato del lavoro, la scuola e il sistema della ricerca italiana. Il primo dato riguarda il lavoro. E’ il risultato di un’elaborazione statistica sulle “ore effettivamente lavorate” dai cittadini Europei. Un recente articolo del settimanale tedesco Die Zeit su dati Ocse, richiama l’attenzione sul fatto che le “ore effettivamente lavorate” in Italia sono sopra la media. Al vertice di questa “faticosa classifica” troviamo – in modo solo apparentemente sorprendentemente – Messico, Grecia Polonia, Cile, Russia Ungheria. Se si eccettuano gli Stati Uniti e Corea che hanno, però, un mercato del lavoro incomparabile con quello europeo troviamo, perciò, tra i più “sgobboni”, paesi a “intensità” medio-bassa di sviluppo dell’economia digitale. Il dato più interessante, però, è quello che riguarda i cittadini europei che lavorano di meno: sono i tedeschi e gli olandesi, seguiti da belgi, danesi, norvegesi, svizzeri e perfino inglesi. Tutti paesi, ad alta digitalizzazione, che evidentemente. grazie all’infrastruttura tecno-sociale che hanno costruito in questi ultimi vent’anni, possono permettersi di lavorare di meno e guadagnare di più. Questo perché evidentemente le persone, il contesto e le infrastrutture sono molto più “produttive” e ricche nel campo dell’”economia della conoscenza” rispetto a noi.
Si può ipotizzare che questa divergenza tra produttività e ore lavorate sia dovuta a tre fattori.
1. Il livello globale di efficienza del sistema, che raggruppa sviluppo produttivo, sociale, legalità e welfare.
2. Gli investimenti in ricerca e formazione e le capacità di trasferimento tecnologico.
2. La gestione digitale integrata dei processi produttivi, della burocrazia e della formazione “aumentata” e semplificata attraverso Internet e le tecnologie di rete.
Figura 1 Ore lavorate nei paesi OCSE (https://stats.oecd.org/Index.aspx?DataSetCode=ANHRS).
Quale correlazione esiste tra questi dati e il sistema della formazione e della ricerca? Una correlazione molto stretta, evidentemente, perché un efficiente sistema di alternanza scuola lavoro e una ricerca più innovativa ed efficace sono il modo migliore per aumentare la “produttività”, il tasso di soddisfazione delle persone e la sicurezza sociale.
In un paese come il nostro che ha più del 40% di disoccupazione giovanile è evidente che chi lavora, lavora troppo e in condizioni di inefficienza burocratica e tecnologica se non di “sfruttamento” e illegalità (le varie forme di precariato e di lavoro nero). Gli altri, in particolare i giovani, restano disoccupati …. . Il dato paradossale è quello che ci permette di affermare che la classifica delle “ore effettivamente lavorate” in Europa è molto simile a quella delle ore “effettivamente studiate a casa” – troppe anch’esse – in Italia e che portano, poi, come nel caso della produttività del lavoro a risultati di apprendimento “medi” non soddisfacenti (OSCE, PISA, 2012). Gli studenti italiani sono, nel mondo, tra i più “afflitti” dai compiti a casa. I quindicenni trascorrono quasi nove ore la settimana a fare i “compiti” contro una media Ocse di 4,9 ore. E’ uno tra i dati più elevati tra i paesi dell’area OCSE (Si veda a questo proposito P. Ferri Studiare tanto e ed imparare poco).
L’Italia si distingue, poi, “in negativo” anche per il maggior divario, nei risultati, tra gli studenti socio-economicamente avvantaggiati che dedicano ai compiti a casa circa undici ore per settimana – e quelli con una famiglia meno abbiente che non vanno oltre le sei ore. E’ la differenza maggiore dell’intera Ocse. In questo modo anche la disparità di performance tra “ricchi” e “poveri” è tra le più elevate del mondo (si veda a questo proposito, Ferri, P. Ferri, La scuola italiana è quella che discrimina di più Does homework perpetuate inequities in education? 2014).
Si studia troppo e male nella scuola italiana. Come si lavora troppo e poco produttivamente.
Non a caso le caratteristiche che rendono eccellente un sistema scolastico, infatti, sono le stesse che rendono più produttivo il sistema delle imprese e il mercato del lavoro e che quindi permettono di lavorare di meno e in maniera più produttiva.
Nella scuola così come nelle aziende e nella pubblica amministrazione gli asset che aumentano l’efficienza e l’equità di un sistema sociale nella “società informazionale” sono:
– l’infrastrutturazione tecnologica: la banda larga in primo luogo e la diffusione delle piattaforme tecnologiche di supporto (gestionali, sistemi di formazione “aumentata” dalla tecnologia; CRM)
– la qualità della preparazione dei docenti e/o dei manager, dei quadri e dei lavoratori futuri e presenti e la presenza di un sistema formativo sia esso istituzionale o long life: cioè la formazione continua erogata sul posto di lavoro;
– la qualità della ricerca e dell’innovazione prodotta nei distretti universitari e della conoscenza, così come la quantità e la qualità dell’innovazione che viene applicata all’interno dei sistemi produttivi e delle aziende.
– la flessibilità e l’efficienza del modo in cui la pubblica amministrazione in tutti i suoi comparti riesce “adattare” norme e procedure alla velocità dell’innovazione del sistema produttivo e sociale.
L’Italia è deficitaria rispetto a tutti questi quattro asset strategici poiché si investe poco in “innovazione”, formazione, ricerca. Soprattutto l’investimento nelle tecnologie “abilitanti” e nell’Agenda digitale nel suo insieme è balbettante e scoordinato. Il combinato disposto di questi fattori fa sì che in Italia a scuola si studi di più, così come in azienda si lavori molto, ma si apprenda e si produca molto meno e con meno efficienza. Questo deficit tecnologico, metodologico e infrastrutturale si ribalta immediatamente sulla qualità della vita, sul reddito e sulla produttività del lavoro.
Figura 2. Relazione fra la retribuzione reale per addetto e la crescita della produttività nelle principali economie sviluppate, 1999-2013. http://impresalavoro.org/produttivita-vero-problema-dellitalia/ FONTE: ILO Global Wage Report 2014/15
Infatti, la produttività è strettamente collegata al reddito delle persone e quindi al loro livello di benessere che a sua volta è correlato al livello di istruzione, di innovazione tecnologica, culturale e sociale di un sistema paese. Come, dimostra il grafico qui sopra (che mette in relazione, la retribuzione reale per addetto e la crescita della produttività nelle principali economie sviluppate – dal 1999 al 2013) l’Italia si colloca molto in basso rispetto alle economie più sviluppate d’Europa e questo, in buona sostanza, dipende dall’incapacità del sistema di essere competitivo, al netto delle ovvie eccezioni, ma nel suo insieme sui quatto asset che abbiamo indicato più sopra. Ovviamente lavorare tanto e guadagnare poco non rappresentano un buon viatico per l’equità e la pace sociale … ma le classi dirigenti italiane paiono non rendersi conto di questo problema.
Quello che, davvero, non si riesce a comprendere, infatti, è come la relazione tra Tecnologia, Tolleranza e Talento che è stata dimostrata dagli studi di Richard Florida nei primi anni del decennio scorso (Florida, R. L’ascesa della nuova classe creativa, Mondadori, Milano, 2003) non sia compresa dalla nostra classe dirigente politica ed economica che non investe nei settori che possono dare sviluppo alla “classe creativa”: istruzione, ricerca, tecnologia.
La California è un esempio di questo circolo virtuoso come la Finlandia. È così difficile capire, alla nostra classe dirigente che la qualità della scuola e dei sistemi formativi, dell’innovazione tecnologica e della ricerca, e la valorizzazione del talento e del merito rendono più produttive e “potenzialmente” più eque le società avanzate. Questo come abbiamo visto succede già in Germania, in Belgio in Danimarca e in Svezia, dove si lavora meno, si guadagna di più e lo stato sociale è più efficiente. La Buona Italia in assenza della comprensione di questo dato è ancora lontana all’orizzonte…