Va di gran moda l’e-procurement per la Pubblica Amministrazione (PA) italiana. Tutti ne parlano; in molti hanno avviato progetti interessanti sia a livello centrale (Consip, in primis) che in ambito regionale; ancora più numerosa è la pattuglia di coloro, che ne magnifica i benefici; pochissimi sono invece i soggetti consapevoli della lunga strada da percorrere per ottenere modelli di approvvigionamento (elettronico) realmente efficaci ed efficienti.
Intendiamoci: vi sono ragioni da vendere che giustificano il ricorso a una soluzione digitale per gli acquisti della PA. Secondo l’Osservatorio eProcurement della School of Management del Politecnico di Milano la Pubblica Amministrazione può ottenere risparmi per circa 5 miliardi di euro all’anno e significativi guadagni di produttività del personale impiegato nelle procedure di acquisto. Le imprese possono teoricamente godere di maggiore visibilità, della riduzione degli sforzi commerciali nonché di un ampliamento ipotetico della base di mercato.
Tutto questo sulla carta. Vi sono, infatti, ancora grandi inerzie negli enti – sia per sfiducia nell’efficacia della tecnologia, sia per convinzione che i fornitori locali non siano pronti – e oggettive barriere culturali, e di competenze, legate alla comprensione dei meccanismi di accesso alle piattaforme digitali.
La via per l’affermazione di un modello sostenibile di e-procurement presso la PA italiana non ha comunque a che fare con la sola tecnologia. Se così fosse, sarebbe sufficiente che fosse reso disponibile a tutti gli enti pubblici italiani, l’accesso a un’unica piattaforma digitale abilitante su cui i singoli enti/unità organizzative implementano azioni di approvvigionamento.
In realtà, una prima importante fonte di complessità risiede nell’organizzazione del processo di acquisto. In prima battuta, infatti, verrebbe da dire che la soluzione di gran lunga preferibile, nella prospettiva del conseguimento di economie di scala, è quella di centralizzare tutto in una committenza unica. Ma si tratta di un’opzione coerente solo per prodotti/servizi codificati (cancelleria, personal computer, ecc.), per i quali, individuate le specifiche, l’unica variabile rilevante è il prezzo di acquisto. Molto diverso è invece il contesto relativo all’aquisto di beni/servizi complessi per i quali sono opportune azioni di customizzazione quali, ad esempio, l’acquisto di un software gestionale per uno specifico procedimento amministrativo. In questo caso, la presenza di una committenza unica centrale non è fattibile (per l’impossibilità di individuare un fabbisogno standard); d’altro canto, il singolo ente non è quasi mai in grado di affrontare autonomamente una scelta così difficile e, anche se lo fosse, spunterebbe condizioni economiche sub ottime. Pertanto, in tali situazioni, è fondamentale che si attivi una centrale di acquisto multi-ente, ovvero in grado di: raggiungere una dimensione ottimale minima per ottenere adeguati risparmi economici; rappresentare un set omogeneo di bisogni e offrire l’intera filiera di servizi a supporto dell’acquisto – dalla identificazione delle specifiche all’installazione del bene/servizio oggetto di acquisto -. In altri termini, questa centrale di acquisto potrebbe andare a coincidere con quelli che una volta venivano chiamati Centri Servizi Territoriali (CST) o Alleanze per L’Innovazione (ALI), ovvero con quei soggetti costituitisi per gestire in modo efficace ed efficiente progetti di e-government. Tutto andrebbe a convergere: oltre ai servizi di e-government, i CST/ALI si troverebbero a offrire servizi fondamentali per gli enti che rappresentano, facendo ovviamente ricorso a una piattaforma tecnologica unitaria.
Ma ancora non sarebbe sufficiente; il sistema industriale italiano – costituito in larghissima parte da piccole e medie imprese poco sensibili alle tecnologie digitali – deve essere adeguatamente spinto a ricorrere al mercato elettronico della PA. In questo senso, la Consip, oltre a fornire la piattaforma tecnologica unitaria (e di accordi quadro per beni/servizi standard), dovrebbe cooperare con le associazioni datoriali delle imprese per diffondere una sensibilità nuova, nelle imprese, per questo tipo di strumenti; lo stesso Governo dovrebbe essere ancora più deciso – rispetto anche a quanto emerge nell’Agenda Digitale – nell’indurre imprese e PA verso l’utilizzo della fatturazione elettronica e il ricorso a procedure digitali di approvvigionamento.
Insomma, mi pare di poter dire che la strada per l’e-procurement nella PA italiana è tracciata. Vi sono condizioni di contesto del tutto favorevoli: ma l’e-procurement è ancora un obiettivo lontano nel tempo, che deve essere meglio contestualizzato sul versante organizzativo.