Ha suscitato già molte polemiche la notizia dell’invio al Ministro della Giustizia da parte del Consiglio Nazionale Forense di una missiva per richiedere un intervento urgente ai fini di una migliore attuazione del Processo Telematico.
In particolare, nel suo cahier de doléances, il Consiglio Nazionale Forense ha richiesto anche di escludere il Processo Telematico e il regime delle notifiche a mezzo PEC non solo dall’ambito di applicazione delle nuove Regole tecniche sul documento informatico, emanate con il DPCM 13 novembre 2014, ma addirittura dal Codice dell’Amministrazione digitale (D.Lgs. n. 82/2005).
In effetti, ad avviso del CNF, visto che la normativa del DPCM “impatta anche la normativa del processo telematico introducendo formalismi nella produzione del documento informatico, delle copie informatiche e nella loro attestazione a conformità, che non si coniugano con le esigenze di semplicità, speditezza, agevole comprensibilità, che sarebbero auspicabili nell’ambito del processo“, sarebbe opportuno introdurre “adeguati correttivi normativi volti a sancire l’indipendenza della normativa PT dal CAD o, perlomeno, dalle sue regole tecniche, predisponendo un’integrazione della normativa PT che regoli esaustivamente il tema del documento informatico“.
Sul punto, non si può innanzitutto non rilevare il paradosso che vede proprio la categoria forense – la quale dovrebbe avere un’attenzione particolare all’ossequio delle norme – chiedere al Ministro della Giustizia di intervenire per promuovere l’introduzione di una sorta di esonero ad hoc dal rispetto della normativa generale[1] che riguarda la formazione, la gestione, la copia, la trasmissione e la conservazione del documento informatico, come noto dettata sia per le pubbliche amministrazioni, sia per i privati[2].
In ogni caso, lo scarso interesse verso queste importanti tematiche relative alla formazione, gestione e conservazione del documento informatico e delle sue firme è purtroppo innegabile ed è invece auspicabile che si possano attivare anche per la categoria forense corsi specifici di formazione sul diritto dell’informatica, in quanto – lo diciamo con amarezza – le tematiche del PCT e del documento informatico sono troppo stesso trattate da formazione di scarso rilievo portata avanti dai fornitori IT che sviluppano questi servizi, piuttosto che da specialisti della materia (salvo valide eccezioni, ovviamente).
Peraltro, ciò che risulta ancora più peculiare è che al Consiglio Nazionale Forense pare sia sfuggito che l’accoglimento di tale richiesta comporterebbe, di fatto, un vuoto normativo nella già frammentata, lacunosa e confusa disciplina sul processo civile telematico, in quanto le disposizioni emanate sull’argomento non dettano norme specifiche o alternative a quelle previste dalle regole tecniche, ma si limitano a un generico rinvio al Codice dell’Amministrazione digitale.
Un emblematico esempio è la mancanza nella normativa sul PCT di specifiche disposizioni sulle modalità di conservazione a norma dei documenti informatici notificati e depositati telematicamente. In effetti – nel Decreto del Ministero della Giustizia del 21 febbraio 2011 n. 44, recante le regole tecniche per l’adozione del processo telematico, nel D.L. n. 179/2012, nel provvedimento dello stesso Ministero della Giustizia emanato in data 16 aprile 2014 nonché nel recente D.L. n. 90/2014 – risulta del tutto assente la disciplina della conservazione del fascicolo informatico, a norma degli artt. 43 e ss. del D.Lgs. n. 82/2005 (Codice dell’Amministrazione digitale) e delle regole tecniche ivi richiamate, di cui al DPCM 3 dicembre 2013. In effetti, le norme emanate si limitano, in estrema sintesi, ad affermare che la tenuta e la conservazione del fascicolo informatico equivalgono alla tenuta e alla conservazione del fascicolo d’ufficio su supporto cartaceo, operando un generico rinvio all’art. 41 del Codice dell’Amministrazione digitale[3].
Ci si chiede, dunque: nell’ambito del processo telematico, chi si sta occupando della conservazione a norma degli atti processuali digitali e dei fascicoli processuali informatici? Il Ministero della Giustizia ha istituito archivi digitali centralizzati a disposizione di Tribunali e Corti? Ha nominato un Responsabile della conservazione (figura espressamente prevista dall’art. 44 del CAD) per il PCT? Ed è opportuno che sia eventualmente nominato un solo Responsabile oppure sarebbe più opportuno che ogni Tribunale ne individuasse uno al suo interno? Peraltro, in altri settori e per altre categorie si è già provveduto a un adeguamento delle strutture organizzative per assicurare la conformità alla normativa, tant’è che, ad esempio, i Notai per i loro atti notarili digitali hanno a disposizione un sistema di conservazione (a cui ha pensato il Consiglio Nazionale di appartenenza), oppure, per rendere possibile la Fatturazione Elettronica verso le PA, sono stati previsti il Protocollo Unico Informatico e l’istituzione di sistemi di conservazione a norma: per il PCT non si può invece che riscontrare un pericoloso, incredibile ritardo.
Inoltre, ci permettiamo di ricordare che il Regolamento (UE) n. 910/2014 del Parlamento Europeo e del Consiglio del 23 luglio 2014 in materia di identificazione elettronica e servizi fiduciari per le transazioni elettroniche nel mercato interno (che abroga la direttiva 1999/93/CE) definisce il documento elettronico come qualsiasi contenuto adeguatamente conservato in forma elettronica. Tutte le regole tecniche attualmente in vigore previste dal CAD, sia quelle sulla formazione del documento informatico, sia quelle sulla conservazione, individuano l’importanza del consolidamento del documento informatico e, quindi, della sua conservazione, perseguendo precisi standard internazionali, anche al fine di garantire una necessaria interoperabilità per i nostri sistemi di gestione elettronica dei documenti. La loro disapplicazione, quindi, rischia di comportare una palese violazione di norme europee direttamente applicabili al nostro ordinamento.
Appare chiaro, dunque, che i documenti non consolidati e i fascicoli non opportunamente conservati non sono validi e rappresentano una evidente inosservanza non solo della normativa primaria dettata dal Codice dell’amministrazione digitale, ma anche di norme europee e di standard internazionali.
Ignorare queste disposizioni espone dunque a un grave rischio di nullità gli atti processuali e i fascicoli processuali informatici, ai quali potrebbe non essere riconosciuto il valore probatorio proprio degli atti di tale natura, mettendo evidentemente a repentaglio la certezza del diritto in ambito processuale.
Possiamo davvero immaginare documenti e fascicoli processuali non adeguatamente formati, archiviati e conservati secondo standard internazionali richiamati dalle Regole tecniche? Alla luce della normativa nazionale (contenuta nel CAD) ed europea (contenuta nel Regolamento UE del 23 luglio 2014) possiamo considerare giuridicamente valido un documento o un fascicolo informatico non correttamente formato e conservato? E che garanzie ci sono, quindi, per i dati, atti e documenti di giudici, avvocati, cittadini e imprese coinvolti nel PCT, se non ci interessiamo con attenzione a tematiche che non sono solo vuoti formalismi?
In effetti, come tali sono stati definiti nella lettera del Consiglio Nazionale Forense aspetti fondamentali dal punto di vista sia giuridico, sia archivistico, come “l’accompagnamento del documento informatico con un file .xml aggiuntivo riportante alcuni metadati, oppure l’attestazione di conformità delle copie con documento separato che richiede l’estrazione dell’impronta (hash) del documento”, a cui dovranno porre attenzione d’ora in avanti i soggetti coinvolti nel Processo Telematico (giudici, cancellieri, avvocati e periti). A tali procedure, peraltro, si potrà facilmente ottemperare in modo automatico mediante l’utilizzo di semplicissimi applicativi informatici[4]! Dunque, non si comprendono le ragioni che portano il CNF e alcuni commentatori[5] a invocare un “intervento salvifico” del Ministro che li dispensi dal rispetto delle Regole tecniche e della normativa generale sul documento informatico[6].
Piuttosto che chiedere di esonerare la categoria forense dal rispetto delle Regole tecniche che assicurano l’integrità e l’autenticità dei documenti informatici – e quindi garantiscono il valore probatorio dei documenti e dei fascicoli informatici in ambito processuale, e di conseguenza anche la certezza del diritto – introducendo un’esplicita deroga dall’applicazione delle regole tecniche, occorre a nostro parere concentrarsi nel migliorare le norme che disciplinano il PCT, il quale oggi risulta:
– ancora rigido e poco “usabile” da chi non ha consuetudine con i mezzi informatici;
– strutturato su un sistema informativo (e non su un sistema documentale);
– basato essenzialmente sulla PEC, che costituisce uno strumento articolato e poco flessibile – peraltro superato già dallo SPID – piuttosto che, ad esempio, sul semplice upload dei file contenenti atti e documenti da depositare, previa autenticazione del soggetto, e sul rilascio allo stesso della ricevuta di avvenuto caricamento del file da parte del sistema[7];
– non idoneo a garantire la verifica dell’autenticità dei documenti immessi nel fascicolo informatico (si dovrebbe rendere quanto meno obbligatorio il sigillo elettronico di provenienza, previsto dal Regolamento 910/2014/UE, magari proprio a cura del cancelliere);
– non garantito da un sistema di conservazione a norma;
– attualmente in violazione dell’art. 44 del CAD e delle Regole tecniche perché – per quanto è a nostra conoscenza – non è stato nominato dal Ministero della Giustizia un Responsabile della conservazione (con i vari sostituti e delegati).
Ma allora, considerate tutte le incongruenze, c’è da chiedersi perché non si basa l’intero PCT (ove possibile) su acquisizioni di copie semplici informatiche da parte degli avvocati, invece di chiedere la disapplicazione di Regole tecniche appena approvate. In difesa di questa linea interpretativa le associazioni ANORC, ANORC Professioni e AIFAG in questi giorni hanno inoltrato una lettera ufficiale al Ministro della Giustizia Orlando.
In verità, occorre sottolineare come le attuali regole tecniche nel loro insieme hanno un senso giuridico-informatico e perseguono anche importanti principi archivistico-digitali, replicando al loro interno strumenti e modelli organizzativi previsti in precisi standard internazionali[8]. E, a nostro avviso, le attuali regole tecniche, pur con qualche ingenuità, si sono poste problemi importanti sull’acquisizione di copie informatiche conformi (tipica attività notarile) da fascicoli informatici e la previsione al loro interno di specifiche procedure tecnico-informatiche non risulta essere un inutile appesantimento formale.
Tali procedure, quando davvero indispensabili ai fini processuali, potranno tranquillamente essere rese usabili da specifiche applicazioni …a volte basta (semplicemente) pretenderlo!
[1] Normativa generale peraltro richiamata espressamente dalla stessa normativa sul PCT.
[2] Nello specifico le Regole tecniche costituiscono solo l’applicazione concreta di principi generali espressi nel Codice dell’Amministrazione digitale. Inoltre, non si può non rilevare che le Regole tecniche oggi contenute nel DPCM 13 novembre 2014 (in G.U. 12 gennaio 2015) sono state pubblicate sul sito di AgID in consultazione pubblica per diversi anni e, forse, sarebbe stato più opportuno se il Consiglio Nazionale Forense avesse partecipato in maniera proattiva alla redazione delle norme, facendo pervenire in tempo utile le proprie valutazioni critiche.
[3] Si vedano, in particolare, l’art. 9 del D.M. n. 44/2011 e l’art. 11 del Provvedimento 16 aprile 2014 del Ministero della Giustizia.
[4] A titolo esemplificativo si segnala che anche il Ministero della Giustizia ha predisposto già dal 2013 una specifica app per la consultazione dei fascicoli processuali informatici, la quale potrebbe essere aggiornata aggiungendo nuove funzionalità. Tale app è disponibile per i principali sistemi operativi: iOS, Google Play e Android.
[5] I quali evidentemente non considerano che molte procedure che con i documenti cartacei finora complicavano e rendevano maggiormente burocratiche alcune fasi del procedimento – come l’estrazione di copie dal fascicolo processuale e l’apposizione della conformità all’atto contenuto nel fascicolo – nel mondo digitale possono essere invece semplificate e snellite con l’utilizzo di banali applicativi informatici.
[6] Peraltro si fa presente che con la missiva del 13 febbraio u.s. il Capo di Gabinetto del Ministero della Giustizia ha risposto alla nota del CNF in commento evidenziando che le norme primarie che regolano alcune importanti funzioni del processo civile telematico (come, ad esempio, la normativa sul potere di estrarre copia e di notifica da parte degli avvocati) possono assicurare, unitamente alle norme codicistiche, un corretto inquadramento del DPCM 13 novembre 2014, relativamente al quale le amministrazioni interessate hanno a disposizione 18 mesi di tempo per provvedere al necessario adeguamento.
[7] Ciò avrebbe consentito di evitare il rischio concreto che non sia possibile depositare molti documenti nel nuovo processo telematico, come ad esempio le immagini diagnostiche ad alta risoluzione o un video in HD che superino il limite di 30 magabyte della busta telematica previsto dal comma 3 dell’art. 14 del Provvedimento del 16 aprile 2014 del Ministero della Giustizia.
[8] Elencati nell’allegato 3 alle attuali Regole Tecniche. Info: http://www.agid.gov.it/sites/default/files/leggi_decreti_direttive/standard_e_specifiche_tecniche_allegato_3_dpcm_3-12-2013.pdf.