La PA italiana continua a ignorare le leggi dell’Agenda in uno degli aspetti più importanti per il passaggio al digitale: l’uso di strumenti informatici per le comunicazioni, abbandonando la carta. Dalla mia esperienza professionale e formativa, risulta infatti che sono tante quelle che usano raccomandate cartacee, ancora, addirittura nella maggior parte le casi, nonostante le sanzioni.
Ricordiamo che la transizione da “amministrazione tradizionale” ad “amministrazione digitale” passa, innanzitutto, per la sostituzione della carta con i documenti informatici e della sottroscrizione autografa con le firme elettroniche.
Il Codice dell’Amministrazione Digitale (D. Lgs. n. 82/2005) e le sue successive modifiche hanno progressivamente disciplinato normativamente gli strumenti tecnologici che consentissero tale evoluzione.
Già a partire dal 2011, il legislatore ha previsto che le Amministrazioni dovessero formare gli originali dei propri documenti “con strumenti informatici” (art. 40 CAD), abbandonando cioè la carta.
Si tratta di un passaggio molto importante: formare “con strumenti informatici” un originale non significa utilizzare i computer come macchine da scrivere evolute, ma scrivere atti e comunicazioni come documenti informatici, sottoscriverli con firme elettroniche e conservarli negli archivi digitali dell’Ente, senza ricorrere alla stampa.
La formazione degli originali informatici è indispensabile per consentire più agevolmente le comunicazioni telematiche (con altri uffici e con gli utenti), i servizi on line e la pubblicazione sul Web di atti e documenti che rispettino la normativa in materia di accessibilità.
Contando sul presupposto (erroneo) che gli uffici pubblici avessero già provveduto ad adempiere a questa norma, l’Agenda Digitale Italiana (D. L. n. 179/2912 convertito in Legge n. 221/2012) ha introdotto un’importane novità: l’obbligo di comunicazioni telematiche tra Amministrazioni.
L’art. 47 del Codice dell’Amministrazione Digitale già prevedeva che le comunicazioni di documenti tra le Pubbliche Amministrazioni dovessero avvenire mediante l’utilizzo della posta elettronica o in cooperazione applicativa.
La norma, al fine di garantirne la validità ai fini del procedimento amministrativo, prevede che le comunicazioni telematiche possano ritenersi valide solo se ne è verificata la provenienza, e – cioè – ricorra uno dei seguenti casi:
a) sono sottoscritte con firma digitale o altro tipo di firma elettronica qualificata;
b) ovvero sono dotate di segnatura di protocollo informatico;
c) ovvero sono trasmesse via Posta Elettronica Certificata.
Per obbligare gli Enti ad effettuare comunicazioni telematiche in luogo di quelle cartacee, il legislatore – con l’art. 6 D.L. n. 179/2012 – ha successivamente modificato l’art. 47 CAD, prevedendo che l’invio di comunicazioni ad altre Amministrazioni con strumenti diversi da quelli telematici comporta responsabilità dirigenziale e responsabilità disciplinare, ferma restando la responsabilità per danno erariale.
Sulla base di questa disposizione (immediatamente in vigore), gli Enti avrebbero dovuto – senza indugio – porre in essere tutti gli adempimenti necessari. In particolare, dal momento che pressoché tutte le Amministrazioni sono dotate di posta elettronica e PEC, i dirigenti (che sono responsabili del rispetto dal CAD ai sensi dell’art. 12, comma 1-ter) avrebbero dovuto provvedere alle dotazioni informatiche (specialmente la firma digitale, ancora poco diffusa negli uffici pubblici); i dirigenti, inoltre, avrebbero dovuto occuparsi degli idonei atti organizzativi per rispettare la norma e rendere noto a tutti i dipendenti che la regola per l’invio di atti e documenti ad altre Pubbliche Amministrazioni è ormai rappresentata dallo strumento telematico e che l’invio di comunicazioni mediante i tradizionali strumenti (come le raccomandate) rappresenta ormai un illecito disciplinare.
L’invio di comunicazioni con strumenti diversi da quelli telematici non è soltanto violazione dei doveri d’ufficio, ma rappresenta anche fonte di responsabilità erariale: si tratta di un profilo che deve essere tenuto in debito conto visto che, in base ad una indagine del 2005, ogni lettera cartacea costa alla Pubblica Amministrazione circa 20 euro (tra consumabili, spese di protocollo, spedizione, ecc) contro i soli 2 euro di una e-mail.
Ben diciotto euro di danno erariale, quindi, per ogni singola raccomandata che viene inviata ad un altro ufficio, che va moltiplicata per l’ingente numero di comunicazioni che ciascuna Amministrazione invia ad altri Enti.
Eppure, nonostante questa previsione, molte Amministrazioni stanno continuando ad utilizzare – ancora in modo prevalente – le modalità tradizionali (come le raccomandate) per la trasmissione di atti e documenti ad altri Enti.
Vi è ancora scarsa consapevolezza, infatti, che perpetuare le vecchie prassi non espone soltanto alle sanzioni innanzi enunciate (che troveranno applicazione anche nel caso in cui i dirigenti non abbiano predisposto gli idonei meccanismi di controllo che le modalità di trasmissione dei documenti siano quelle telematiche), ma ha ripercussioni anche sulla gestione dei procedimenti amministrativi (dal momento che l’art. 47, comma 2, CAD prevede che debbano ritenersi valide “ai fini del procedimento” solo le comunicazioni telematiche di cui sia verificata la provenienza).
È proprio vero: usare la carta non conviene più!