Istruzione

Come sarà la scuola dei veri Nativi Digitali? Il futuro nella flipped classroom

Una nuova metodologia si sta affermando, soprattutto negli Usa. Ma che cosa comporta impostare la propria didattica in questo modo? C’è un nuovo ruolo per tutti, docenti, studenti. E per il ministero. L’auspicio è che il nuovo ministro fissi deadline precise e rigorose per dare la banda larga a tutte le scuole, allocando risorse congrue per la formazione dei docenti e la ristrutturazione degli edifici scolastici

Pubblicato il 14 Giu 2013

Paolo Ferri

Professore Ordinario di Tecnologie della formazione, Università degli Studi Milano-Bicocca

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La flipped classroom è un sistema che, attraverso l’uso delle tecnologie didattiche, inverte il tradizionale schema di insegnamento/apprendimento ed il conseguente rapporto docente/discente. I materiali didattici vengono caricati all’interno dell’ambiente virtuale per l’apprendimento (alcuni anni fa si chiamava piattaforma di elearning) del “gruppo classe” in forme e linguaggi digitali anche molto differenziati. Per approfondire un contenuto o un tema non si utilizzano più solo testi scritti ma anche, audio, video, simulazioni e materiali disponibili su Internet. Questi materiali possono essere approfonditi dagli studenti da soli o in gruppo “fuori dalla classe” a casa, in biblioteca o in altri luoghi di aggregazione informale. Mentre in classe con l’insegnante i contenuti “appresi” attraverso la tecnologia diventano oggetto di attività cooperative mirare a “mettere in movimento” le conoscenze acquisite. La classe non è più il luogo di trasmissione delle nozioni ma lo spazio di lavoro e discussione dove si impara ad utilizzarle nel confronto con i pari e con l’insegnante.

Il docente, infatti, una volta scelto un tema da approfondire, e caricato il materiale relativo sulla una piattaforma di elearning, indica allo studente quali temi e contenuti studiare o approfondire nei giorni precedenti l’attività in classe dedicata a quel tema. In questo modo si realizza l’”inversione” del setting tradizionale e si può parlare di flipped classroom appunto.

Questa metodologia didattica ha origine nel mondo anglosassone – da sempre più attento alla didattica laboratoriale e “per esperienza” – e si è diffuso, in particolare negli Stati Uniti, dove già da anni le classi sono infrastrutturate digitalmente e si utilizzano sistemi di elarning basati su sistemi di classi virtuali (ad esempio Blackboard http://www.blackboard.com/International/EMEA/Overview.aspx?lang=en-us ).

La dinamica del processo didattico si svolge nel modo seguente. Gli insegnanti predispongono i materiali di approfondimento all’interno del Virtual Learning Environmet (Ambiente virtuale di appredimento) adottato dall’Istituto scolastico. Gli studenti approfondiscono prima della lezione, a casa, il tema proposto. In modo liberare il tempo della vecchia lezione frontale trasmissiva e lasciare spazio per realizzare per realizzare una serie di esperienze di apprendimento attivo che si svolgono generalmente in piccolo gruppo. Questa idea della classe “capovolta” (da to flip, capovolgere), oltre che negli USA sta acquistando sempre maggiore popolarità e credibilità anche negli ambienti educativi europei in particolare nel Nord Europa.

Concretamente si può dire che la classe diventa, il luogo in cui lavorare secondo il metodo del problem solving cooperativo a trovare soluzione a problemi, discutere, e realizzare con l’aiuto dell’”insegnante coach” attività di tipo laboratoriale ed “esperimenti didattici” (reali o virtuali) di attivazione delle conoscenze. Non si tratta di un innovazione radicale dal punto di vista metodologico, ma di una applicazione abilitata dalle tecnologie della “buona utopia” deweyana e montessoriana dell’apprendere attraverso il fare (learning by doing).

In questo modo, inoltre, vengono valorizzati i nuovi stili di apprendimento degli studenti che sono ormai “nativi digitali” e diviene molto più semplice personalizzare gli apprendimenti, disegnando all’interno dell’ambiente virtuale di apprendimento percorsi didattici specifici per singoli o gruppi con bisogni o esigenze particolari. L’aspetto più interessante di questa metodologia è il fatto che l’intero setting didattico viene rivisto nell’ottica di massimizzare una risorsa che sempre di più scarseggia nella scuola: il tempo dell’insegnante. Insomma, vi sono due livelli di “inversione” del setting didattico.

– Il primo riguarda il fatto che le tecnologie digitali, attraverso l’utilizzo di ambienti web di apprendimento cooperativo permettono di spostare “fuori dall’aula in presenza” una serie di attività di tipo nozionistico e rutinario liberando il tempo dell’insegnate per seguire più direttamente i problemi di apprendimento degli studenti;

– il secondo consiste nella possibilità di generare all’interno dell’aula, in particolare attraverso il lavoro di gruppo cooperativo, una nuova metodologia attiva di apprendimento che trasforma la classe in un piccola “comunità di ricerca”.

Ciò che è necessario, per attuare questa tipologia di setting didattico è, in primo luogo, la possibilità di essere connessi ad internet in classe attraverso una connessione a “banda larga”, in caso contrario tutti gli altri device tecnologici presenti nell’ambiente didattico (LIM, tablet, sistemi di elearning) sono ciechi e muti. In seguito, il corredo tecnologico minimo di una classe “digitalmente aumentata” e dove praticare il metodo della Flipped Classroom comprende uno strumento di presentazione/rappresentazione video quale la LIM o un video proiettore (interattivo o no), un notebook o un tablet per l’insegnate, che funga da “cruscotto” di gestione del processo didattico e almeno 4 o 5 tablet o notebook per gli allievi che permettano loro di svolgere le attività in piccolo gruppi. L’interazione docente/studente si trasforma radicalmente dal momento che si riduce molto il tempo della “lezione frontale” e aumenta proporzionalmente il tempo dedicato al problem solving cooperativo, al monitoraggio e al supporto del lavoro degli studenti, così come quello dedicato alla “revisione razionale” collettiva dei risultati dei lavori di gruppo condotti dagli studenti.

Il nuovo ruolo dei docenti

Ovviamente questa trasformazione del setting didattico cambia profondamente il ruolo del docente, ma certamente lo “aumenta” non lo diminuisce affatto. Il docente, infatti, da esperto disciplinare e “erogatore” di contenuti e valutazioni si trasformerà, come abbiamo accennato più sopra, in una figura che integra più competenze, ovviamente quelle disciplinari, ma anche quelle di un metodologo didattico esperto di tecnologie digitali, così come quelle di tutoraggio, coaching e mentoring (in presenza e on-line) dei suoi studenti. Il docente che applica questa nuova forma di didattica attiva, ad esempio la metodologia della flipped classroom e quella del problem solving cooperativo deve svolgere tutti questi tre ruoli contemporaneamente. E’ infatti, insieme un progettista didattico che allestisce il setting didattico/tecnologico e programma le attività degli studenti in presenza e on-line, un esperto di contenuti disciplinari e nello stesso tempo deve divenire una guida, un sostegno alla costruzione della conoscenza collaborativa da parte degli allievi.

Funge, quindi, da stimolo per favorire un’elaborazione personale e collettiva delle attività di gruppo e per favorire un “apprendimento significativo”. Aiuta, cioè, gli studenti a sviluppare metodologie e pratiche di studio che consentano loro di acquisire competenze reali di gestione dei contenuti e non mere nozioni. In questo processo, come ovvio, cambia anche il ruolo dello studente, che diviene decisamente più attivo. Lo studente con l’adozione di questo tipo metodologie didattiche innovative diviene sempre più protagonista del processo apprendimento, e soprattutto si responsabilizza maggiormente, anche grazie alla collaborazione con i pari, rispetto ai progressi o alle difficoltà che incontra durante lo studio. Si tratta di una “transizione” non semplice soprattutto per gli insegnanti che spesso non hanno sufficiente formazione e quindi sufficienti competenza sia tecnologiche che metodologiche per attuare questo cambiamento. Occorre una buona formazione metodologica e tecnologica degli insegnati e questo richiede risorse: ma si tratta di un investimento necessario e nel medio periodo vantaggioso, non solo per la scuola, ma per l’intero sistema paese, che investe in questo modo nella risorsa più importante la competenza delle persone. Da questo punto di vista però, contrariamente a quello che è accaduto per la dotazione di infrastrutture tecnologiche, in Italia non si parte da zero. Nel corso di questi anni l’azione di INDIRE e i corsi di formazione on-line erogati attraverso la piattaforma di “formazione permanente” For docenti hanno alfabettizzato a vario livello all’uso delle tecnologie didattiche centinaia di migliaia di insegnanti di ruolo nella scuola pubblica italiana. Questo investimento sul capitale umano, in presenza delle infrastrutture adeguate può essere un grande leva per il cambiamento della scuola.

Il ruolo degli studenti

Per gli studenti non si tratta di una novità: sono nativi digitali (Nativi digitali, Ferri, 2011). Per loro gli strumenti digitali, consolle per videogiochi, smartphone e tablet sono strumenti di uso quotidiano. Se non li possiedono direttamente utilizzano quelli che sono presenti nelle case dei loro amici. Il problema per l’insegnante e tutta l’istituzione formativa come ben ha notato Henry Jenkins nel suo Culture Partecipative e competenze digitali. Media education per il XXI secolo, (A cura di Ferri, P., Marinelli,A., Guerini, Milano, 2010) è quello di valorizzare le competenze di utilizzo delle tecnologie digitali che hanno acquisito nell’informale e nella socializzazione tra pari. Si tratta di trasformare la loro naturale fluency tecnologica in uno strumento per veicolare “apprendimenti significativi”, avendo sempre ben presente che “apprendere” non è “giocare” e che la fatica dell’apprendimento non può essere eliminata dall’utilizzo di device tecnologici. La sfida è quella di declinare le abilità e le competenze tecnologiche di cui sono già portatori, mettendole al servizio della didattica e dell’apprendimento.

Il ruolo del ministero in questa transizione

Ad oggi possiamo dire che, le prime dichiarazione del Ministro Carrozza sulla difesa della scuola e della ricerca siano positive. Il problema è il fatto che negli scorsi 15 anni, ed eccezion fatta per gli interventi, del piano Scuola digitale (Piano Lim, Classi 2.0 e Scuola 2.0 del MIUR e di Indire (che hanno risentito però negativamente della scarsità delle risorse economiche a disposizione) la quasi totalità della classe dirigente italiana ha manifestato una grave e spesso colpevole sottovalutazione del problema dell’infrastrutturazione digitale della scuola. Del resto, l’ultimo intervento strutturale e rivolto a tutte il sistema della formazione istituzionale italiana risale al 1996 quando il Ministro Berlinguer attuò il Piano di Sviluppo delle Tecnologie Didattiche PSTD. Il nuovo Ministero sembra più attento e culturalmente più vicino al problema delle necessità di infrastrutturare digitalmente la scuola. Il nostro auspicio è che, che sulla base degli indirizzi contenuti nell’Agenda digitale, il ministro Carrozza riesca a reperire le risorse per dare attuazione ai provvedimenti indicati nell’Agenda dal governo Monti. E quindi che fissi deadline precise e rigorose per la fornitura di banda larga a tutte le scuole, allocando risorse congrue per la formazione dei docenti e la ristrutturazione degli edifici scolastici. Recenti studi del Politecnico di Milano e dell’Università Bocconi segnalano, infatti, come per la completa infrastrutturazione della scuola italiana l’investimento ammonterebbe a una cifra compresa tra i 7 e i 9 miliardi di euro. Una cifra ingente ma che sembra del tutto compatibile con la necessità dare un nuovo impulso all’istituzione scolastica che è il cardine, nel medio periodo, della ripresa di competitività del sistema -Italia.

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