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Biondi (Miur): “Diffonderemo il virus del digitale con nuovi testi scolastici”

Il coordinatore dell’area Competenze Digitali, per l’Agenda, spiega che le campagne di alfabetizzazione servono a poco. Piuttosto, la rivoluzione partirà da un’editoria scolastica rinnovata. Dove il digitale avrà un ruolo specifico. Ecco la strategia

Pubblicato il 29 Ott 2012

Giovanni Biondi

presidente INDIRE - Istituto Nazionale di Documentazione, Innovazione e Ricerca Educativa

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L’accelerazione dei processi di diffusione delle competenze digitali tra la popolazione italiana passa soprattutto dallo sviluppo dei servizi accessibili on line. E’ impensabile infatti affrontare questo obiettivo attraverso gigantesche campagne o iniziative di formazione soprattutto perché l’acquisizione delle competenze digitali non professionali passa generalmente attraverso l’utilizzo diretto di applicazioni e servizi disponibili sulla rete. Quello che è necessario per supportare questo processo è poter disporre di un “consulente” familiare e di strumenti disponibili in casa a portata di mano. Da questo punto di vista gli studenti sono i principali “portatori sani” di questo contagio. Otto milioni di studenti possono quindi “contagiare” circa la metà della popolazione italiana. La scuola rappresenta, per le caratteristiche che ha di diffusione sul territorio e di penetrazione sociale, un elemento determinante per lo sviluppo digitale del paese.

Per la scuola la possibilità e la capacità di utilizzare le opportunità offerte dalle ICT e dai linguaggi digitali rappresenta però molto di più. E’ ormai chiaro che l’utilizzo delle ICT a scuola non rappresenta certamente un obiettivo quanto una opportunità. Una gigantesca opportunità per trasformare i paradigmi fondamentali del fare scuola. Dal ruolo degli insegnanti all’organizzazione della didattica, dalla lezione al tempo scuola fino ad arrivare alle architetture interne delle scuole ed agli arredi che si trasformano in rapporto alle nuove esigenze della didattica.

Nell’Agenda Digitale italiana sono state inserite alcune norme che cercano di favorire questo processo di trasformazione. La prima riguarda i libri di testo. Premesso che le adozioni anche oggi non sono obbligatorie e che quindi un insegnante può anche non adottare libri di testo, la norma chiarisce meglio in concetto di libro misto che era già stato definito da un precedente intervento legislativo e reso obbligatorio dall’anno scolastico in corso. Quindi da questo punto di vista non si tratta di una norma inedita ma di un articolo che precisa meglio cosa significa oggi il libro misto. Il principio ispiratore è che sul digitale vada la parte del manuale scolastico che può ottenere un valore aggiunto da questa trasformazione e che non è certamente quella narrativa. Leggere invece che su carta su uno schermo non porta infatti alcun vantaggio reale a parte il peso dei libri. Inoltre il libro ha una funzione fondamentale nella costruzione del pensiero critico individuale, nello sviluppo della riflessione, nei processi di astrazione etc.. Quindi contrapporre il libro al computer non ha alcun senso così come non hanno senso le crociate contro l’uno o contro l’altro in nome della modernità o della cultura.

Abbiamo una scuola fatta di carta ed una società che utilizza sempre di più linguaggi digitali. Passare dalla carta al digitale non è però un semplice problema di “traduzione”. Se un “oggetto” è pensato per la carta inevitabilmente passerà prima o poi dalla stampante e ritornerà in carta. Passare dalla lettura su carta alla lettura su video non porta infatti alcun vantaggio reale. La contrapposizione tra libro e “digitale” è quindi sostanzialmente stupida. Il libro non si identifica per la tecnologia che usiamo per renderlo disponibile, carta o digitale, ma per l’organizzazione sequenziale del suo contenuto, per la forma narrativa. E’ un “sistema a legame forte” nel quale ogni parte è legata a quella che la precede e a quella che la segue: capitoli, paragrafi etc… Che sia leggibile su carta o su un e-reader non ha particolare importanza se non per aspetti secondari quali il peso, il numero delle pagine, l’ingombro, la facilità di lettura etc. Il digitale richiede invece una progettazione diversa e non è nato per sequenze narrative testuali. Il libro quindi, lo ripeto, conserverà una funzione indispensabile ed insostituibile per lo sviluppo del pensiero critico individuale. E’ certamente la forma più efficace per dare sistematicità ai contenuti e garantire anche nel caso della scuola, il punto di riferimento principale per lo studio. Contrapporlo ai contenuti digitali è non solo improprio ma del tutto inutile.

Nello stesso tempo è del tutto evidente l’efficacia del digitale per tutta quella parte del manuale scolastico che richiede di interagire con i contenuti, di avviare strategie di simulazione, di esplorazione anche geografica di luoghi e periodi storici, di formulare e verificare ipotesi, di narrazione multimediale, di confronto ed analisi di immagini e suoni. Insomma il manuale scolastico deve prima di tutto ritornare alla sua forma essenziale di “libro” e trasferire in digitale tutto quanto oggi affolla i testi scolastici.

Questo lo spirito della norma che potrà avere però dei risvolti rivoluzionari perché utilizzando il risparmio che l’eliminazione di una parte della carta dai manuali provocherà, consentirà progressivamente di dare un tablet a tutti gli studenti italiani. Milioni di tablet che saranno utilizzati a casa, entreranno nelle famiglie ed avvicineranno alle competenze digitali di base milioni di adulti. Per questo la norma sui libri di testo ha una grande potenzialità. Una rivoluzione che naturalmente avrà risvolti potenzialmente rivoluzionari all’interno delle nostre scuole perché metterà in crisi il modello trasmissivo, storico-narrativo col quale oggi si spiegano le materie umanistiche e quelle scientifiche.

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