«In fondo, volevo solo dare una mano di bianco al capannone». Per l’imprendiotre veronese Livio Sandri, l’idea si è trasformata invece nell’ennesima lotta contro la burocrazia. La sua azienda, la Sandri serramenti, 2 milioni di fatturato, si trova a Volargne di Dolcè, lungo la statale del Brennero, in piena valle dell’Adige. «Scopro così che bisognava inoltrare la domanda alla Soprintendenza per i beni ambientali di Verona, con tanto di progetto firmato da un professionista. Sessanta giorni di attesa per la risposta. Poi, altra domanda al Comune per ottenere il permesso definitivo. Per un intervento di semplice manutenzione sarebbe stato necessario un viavai di carta, disegni, bolli, versamenti». Altro che internet. «Certo» scuote la testa Sandri «basterebbe mettere sul web i colori consentiti per la tinteggiatura degli edifici industriali. Magari aggiungendo una riga: “Per il bianco non occorrono autorizzazioni”. Macché: i nostri uffici, evidentemente, considerano la cosa troppo complicata. Meglio la consegna manuale dei moduli». A quel punto Sandri si è preso la briga di fare quattro conti: «Nel 2011 abbiamo acquistato 450 chili di carta, che noi utilizziamo anche sul retro. Totale: 90 mila facciate, utilizzate tutte per rispondere a esigenze esterne, visto che le comunicazioni interne viaggiano interamente sul digitale. Per ogni facciata i miei collaboratori perdono 30 secondi, che fanno 90 giornate lavorative dedicate esclusivamente alle pratiche cartacee di ogni genere, natura e specie. Il costo complessivo per l’azienda è di circa 18 mila euro all’anno, tra occupazione del personale, risme, toner, manutenzione delle stampanti. Conclusione: per ogni 100 mila euro di fatturato vanno calcolati 900 euro di costi legati al puro fattore carta».
Una storiella esemplare e nello stesso tempo illuminante. Riassume l’esasperazione del mondo imprenditoriale verso la pubblica amministrazione e le sue procedure macchinose, lente, costose. Un vento antiburocrazia che soffia impetuoso e di cui, non a caso, il Nordest delle piccole e micro imprese è diventato il simbolo. Il Centro studi della Cgia di Mestre parla di una «tassa occulta» di 26,5 miliardi: «Solo per per assolvere i 15 diversi pagamenti richiesti dal fisco italiano si perdono in media 285 ore all’anno. Siamo i peggiori d’Europa. In Germania ci si ferma a 215 ore, in Francia a 200, in Spagna a 197». Una situazione insostenibile. In questo scenario le imprese non possono che guardare con assoluta attenzione (e grandi speranze) all’Agenda digitale e alle sue novità. A cominciare proprio dall’e-government, cioè dai programmi per la progressiva, completa digitalizzazione dei processi della pubblica amministrazione (particolare non trascurabile: il risparmio per le casse dello Stato, secondo la School of management del Politecnico di Milano, sarebbe di 19 miliardi entro il 2013). L’Agenda ridurrà il fardello della burocrazia? Faciliterà la vita di chi dovrebbe concentrarsi unicamente nella competizione globale? Una volta a regime farà davvero risparmiare tempo e denaro, in modo da liberare risorse per gli investimenti?
Se servirà a tutto questo, l’Agenda digitale è la benvenuta. Unindustria Treviso è stata la prima associazione territoriale della Confindustria a organizzare, martedì 23 ottobre, un appuntamento rivolto ai suoi iscritti, di qualsiasi settore. Titolo chiarissimo: «Agenda digitale, lo sviluppo passa da qui». Corrado Calabrò, precedente presidente dell’Agcom, l’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, stima che la diffusione della banda larga e il maggiore utilizzo delle tecnologie digitali possano valere un punto e mezzo di Pil.
Rimane il nodo di fondo: passare dalla teoria e dalle buone intenzioni ai fatti. C’è molta incertezza sui tempi, perché occorrerà varare una serie di decreti attuativi. Ma lo scetticismo riguarda soprattutto la capacità di cambiamento della pubblica amministrazione. «La digitalizzazione» sostiene Gianni Potti, numero uno di Confindustria servizi innovativi del Veneto «deve essere accompagnata da una reale semplificazione, altrimenti è inutile». Tradotto, significa ridurre gli enti, rivedere le competenze, abbattere il numero di passaggi, ognuno dei quali richiede autorizzazioni, moduli, marche da bollo. Per esempio, l’Agenzia delle entrate ha appena annunciato che semplificherà 65 moduli fiscali: gli effetti si vedranno più avanti, ma resta il fatto che un conto è semplificare le procedure, un altro abolirle.
Non basta. «Si fa un gran parlare di open data» continua Potti. «Ottimo. Tuttavia la condizione indispensabile per avere libero accesso a documenti e informazioni è che i vari enti riescano a parlarsi tra loro. Come fa un’azienda che deve partecipare a una gara ad avere il certificato antimafia se le camere di commercio, i comuni, le prefetture e le questure non sono in grado di dialogare? Continueranno a essere necessari mesi». Alfonso Fuggetta, professore di informatica al Politecnico di Milano nonché direttore del Cefriel, centro di ricerca sull’Ict partecipato da università e maggiori imprese del settore, dà perfettamente ragione alle perplessità degli ambienti imprenditoriali. «L’Agenda digitale» sostiene «deve essere l’occasione per accelerare l’interconnettività dei sistemi informativi della pubblica amministrazione. Fino a oggi gli imprenditori erano costretti a fare le code fisiche agli sportelli. Il rischio è che domani si ritrovino in coda davanti a tanti siti web diversi. Bisogna che al più presto sia sufficiente un solo clic».
Siamo ben lontani da questo traguardo. La Texa di Monastier, nella cintura trevigiana, è un’azienda ad altissima tecnologia. Produce sofisticati sistemi di diagnostica per individuare i guasti delle auto, ha 50 milioni di fatturato e qualche settimana fa ha inaugurato il nuovo, modernissimo stabilimento alla presenza del ministro del Welfare Elsa Fornero. «Siamo stati tra i primi» racconta Enrico Zanata, della direzione amministrativa, «a eliminare la carta per le nostre comunicazioni interne, a dotarci della Pec, la Posta elettronica certificata, ad attrezzarci per la fatturazione elettronica. Di più: appena possibile ci siamo registrati, per lo scambio di documenti e certificati, nei siti web del comune, della camera di commercio, dell’Agenzia delle entrate e così via. Abbiamo ottenuto una serie di vantaggi, basti pensare alle visure catastali, adesso leggibili online. Il tempo guadagnato, il recupero di efficienza, il banale risparmio di carta, non hanno comunque superato il 40 per cento. Per esempio, ogni apertura di un ufficio vendite richiede una lunga trafila burocratica, diversa da comune a comune. Ancora: la dichiarazione Imu non può essere inviata tramite Pec al comune, che a sua volta dispone di una Pec: no, va consegnata direttamente allo sportello o spedita tramite raccomandata».
Dove invece i giudizi degli imprenditori appaiono unanimi è su un altro aspetto dell’Agenda: la giustizia digitale. Qui sono tutti d’accordo, grandi e piccoli. Per recuperare un credito un’azienda italiana impiega in media 1.250 giorni, contro i 394 giorni di una concorrente tedesca e i 331 di una francese. I ritardi costano alle imprese 2,3 miliardi all’anno. I processi civili pendenti sono 5,5 milioni e abbattere semplicemente del 10 per cento i tempi di risoluzione delle cause, secondo Confindustria, provocherebbe un aumento dello 0,8 per cento del Pil. «Fino a quattro o cinque anni fa» sottolinea Adriano Scardellato, presidente di Eldagroup, tre aziende tra Piemonte e Veneto specializzate nella realizzazione di Gps e sistemi di localizzazione e sicurezza satellitare, «di fronte a un mancato pagamento ci si metteva d’accordo ricorrendo a sconti aggiuntivi e dilazioni. Oggi è sempre più frequente dovere ricorrere al tribunale. E qui, anche solo per ottenere un decreto ingiuntivo, sono guai. Ci si infila in un tunnel senza fine». Il processo civile telematico consentirà l’invio di tutte le notifiche e comunicazioni in via digitale da parte delle cancellerie e delle segreterie degli uffici giudiziari. Al tribunale di Milano, dove già da qualche anno si è introdotta questa prassi e la metà delle cause civili è costituita da decreti ingiuntivi, si sono registrati risparmi fino al 70 per cento nei tempi nei procedimenti.
Insomma, le aspettative del mondo imprenditoriale riguardo all’Agenda digitale sono molto alte. Ma nello stesso tempo c’è la consapevolezza che il cammino rimane lungo. Che indicare sulla carta gli obiettivi dell’e-government è facile, altra cosa è rivoluzionare il ruolo di una pubblica amministrazione finora vissuta come nemica di chi lavora e produce. Il cambiamento è di quelli epocali. «E un po’ di autocritica» allarga le braccia Potti «dobbiamo farla pure noi imprenditori. Bisogna smetterla di lamentarci per le inefficienze altrui e capire, veramente, che la rivoluzione digitale non è un costo, ma un’opportunità».