Il Consiglio di Stato, Sezione consultiva per gli atti normativi, durante l’adunanza di sezione n. 343 del 18 febbraio 2016, su richiesta dell’Ufficio legislativo del Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione, ha espresso il suo parere, manifestando anche le sue critiche e perplessità, sullo schema di decreto legislativo in materia di prevenzione della corruzione, pubblicità e trasparenza (“Revisione e semplificazione delle disposizioni in materia di prevenzione della corruzione, pubblicità e trasparenza, correttivo della legge n.190/2012 e del D.Lgs. n. 33/2013, ai sensi dell’art. 7 della legge n. 124/2015 in materia di riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche”).
L’obiettivo dello schema di decreto in commento è quello di ridefinire l’ambito di applicazione degli obblighi e delle misure in materia di trasparenza; prevedere misure organizzative per la pubblicazione di alcune informazioni e per la concentrazione e la riduzione degli oneri gravanti in capo alle amministrazioni pubbliche; razionalizzare e precisare gli obblighi di pubblicazione; individuare i soggetti competenti all’irrogazione delle sanzioni per la violazione degli obblighi di trasparenza.
Com’è noto, con il nuovo decreto è introdotta una nuova forma di accesso ai dati e ai documenti pubblici, ispirata a quello che nei sistemi anglosassoni è definito Freedom of information act (F.O.I.A.). Questa nuova forma di accesso prevede che chiunque, indipendentemente dalla titolarità di situazioni giuridicamente rilevanti, possa accedere a tutti i dati e ai documenti detenuti dalle PA, nel rispetto di alcuni limiti tassativamente indicati dalla legge. Siamo di fronte a un accesso più ampio di quello previsto dalla versione vigente dell’articolo 5 del D.Lgs. n. 33/2013 (c.d. Decreto trasparenza), in quanto consentirebbe di accedere non solo ai dati, alle informazioni e ai documenti per i quali esistono specifici obblighi di pubblicazione, ma anche ai dati e ai documenti per i quali non esiste tale obbligo e che l’amministrazione deve fornire al richiedente in base a tale nuovo “diritto di conoscere”, come sottolineato dal Consiglio di Stato.
Specificamente, il richiedente non deve dimostrare di essere titolare di un «interesse diretto, concreto e attuale, corrispondente ad una situazione giuridicamente tutelata e collegata al documento al quale è chiesto l’accesso», così come stabilito, invece, per l’accesso ai sensi della legge sul procedimento amministrativo n. 241/1990; i limiti applicabili alla nuova forma di accesso civico, inoltre, risultano più ampi e incisivi rispetto a quelli indicati dall’articolo 24 della legge n. 241/1990, consentendo alle amministrazioni di impedire l’accesso nei casi in cui questo possa compromettere alcuni rilevanti interessi pubblici generali.
Ciò premesso, il Consiglio di Stato ha fornito il suo parere sul decreto trasparenza segnalando l’importanza di una legge che consideri la riforma della PA come un “tema unitario” e la necessità di una visione nuova della pubblica amministrazione, che sia informatizzata e trasparente.
Nel parere si legge che la trasparenza è indubbiamente un valore democratico che va oltre il suo rilievo a fini di anticorruzione, tant’è che deve essere perseguita – con semplicità e con pari intensità – evitando di creare una sorta di “burocrazia della trasparenza”, ma garantendo al contempo le esigenze di tutela della privacy.
Relativamente all’accesso civico, l’Amministrazione deve garantire un accesso più ampio da parte dei cittadini. Secondo il Consiglio di Stato, il Governo deve assicurare una più ampia disclosure a una serie di dati e documenti, come ad esempio: spese sostenute dalle pubbliche amministrazioni, tempi di pagamento da parte delle amministrazioni, risorse assegnate ai singoli uffici pubblici, etc. In più, si chiede di evitare di imporre sempre al cittadino di “indicare chiaramente” i dati richiesti, dati che talvolta possono non essere a lui del tutto noti prima dell’accesso. Al Consiglio di Stato appare incongruo, infatti, che l’istanza di accesso civico, considerati i suoi presupposti e le sue finalità, debba essere già in grado di identificare “chiaramente” i dati, le informazioni o i documenti richiesti, contravvenendo allo scopo per cui il nuovo istituto è oggetto di implementazione.
Il Consiglio di Stato, nell’analizzare lo schema del Governo, ha rilevato delle criticità nel meccanismo di silenzio-rigetto dopo 30 giorni dalla richiesta di accesso civico. Tale istituto risulterebbe molto problematico dal punto di vista della partecipazione dei cittadini alla vita amministrativa, soprattutto essendo assente l’obbligo di motivare il rifiuto espresso. Nel parere si legge che tale procedura dovrebbe essere omologata a quella prevista dall’articolo 25 della legge n. 241 del 1990 per le modalità di esercizio del diritto di accesso “ordinario”, imponendo, dunque, che “il rifiuto dell’accesso, salvi i limiti e i casi di esclusione disposti dalla legge, debba comunque essere motivato, ancorché sinteticamente”. La Sezione, nel suo parere, pertanto, suggerisce di ridurre al minimo necessario il meccanismo derogatorio, sopra descritto, rispetto alle disposizioni procedurali previste per l’accesso ordinario dalla legge n. 241/1990, in quanto compatibili. Sarebbe paradossale, infatti, che un provvedimento in tema di trasparenza neghi di conoscere in maniera trasparente le motivazioni in base alle quali la PA non permette l’accesso richiesto.
Inoltre, ancora in merito all’accesso civico, la Sezione ritiene che i casi di esclusione siano indicati troppo genericamente e il rischio sia quello di un’ampia discrezionalità nel negare l’accesso dei cittadini. Infatti, il Consiglio scrive che “in mancanza di criteri più dettagliati per la valutazione del pregiudizio che la pubblicazione potrebbe arrecare agli interessi tutelati, le amministrazioni potrebbero essere indotte ad utilizzare la propria discrezionalità nella maniera più ampia, al fine di estendere gli ambiti non aperti alla trasparenza, e sicuramente la genericità di alcune previsioni, pur riferite a tematiche “sensibili” potrebbe essere motivo dell’insorgenza di ulteriore contenzioso”. È necessario, quindi, così come indicato dal Consiglio di Stato, adottare delle linee guida che chiariscano, definiscano e delimitino più puntualmente i casi di esclusione.
È apparso opportuno al Consiglio di Stato, inoltre, affrontare il problema dell’accessibilità o meno degli atti endo-procedimentali, indicando l’importanza di esplicitare chiaramente le esclusioni dal diritto d’accesso, nello stesso modo in cui è previsto dall’art. 24 della Legge n. 241/1990.
Alla Sezione consultiva è parso opportuno, poi, suggerire la creazione di un “desk telematico per la trasparenza”, ossia di unificare tutte le figure responsabili per la trasparenza nell’ambito di ciascuna amministrazione in un unico referente per la trasparenza.
Il Consiglio di Stato, nel parere in commento, ha invitato il legislatore a immaginare, “senza aggravio, e anzi con riduzione evidente di costi per la finanza pubblica e di oneri per il personale, un percorso più semplice ed efficiente che veda, da una parte, l’inoltro esclusivamente telematico della domanda di accesso e dall’altra, fatti salvi casi veramente eccezionali, l’individuazione di un unico ufficio-sportello per ogni amministrazione, deputato alla ricezione e alla prima gestione delle istanze, che agisca come una sorta di desk telematico unico per la trasparenza”. La completa digitalizzazione delle istanze consentirebbe, così, di eliminare non solo i costi di copia per il cittadino, previsti dallo schema di decreto, ma anche di ridurre, fino forse a renderli irrilevanti, i costi sostenuti dalla pubblica amministrazione.
Più in generale, il Consiglio di Stato ha osservato il passaggio da una trasparenza di tipo “proattivo”, ossia realizzata attraverso la pubblicazione obbligatoria di dati e informazioni, a una trasparenza “reattiva” come risposta alle istanze di conoscenza avanzate dagli interessati. Dunque, si configurerebbe il passaggio dal bisogno di conoscere al diritto di conoscere. Alla luce di tale nuova impostazione, secondo il Consiglio di Stato, il riformato comma 1 dell’articolo 5 del D.Lgs. n. 33/2013, che nella versione vigente si limita a consentire l’accesso civico sui documenti da pubblicare, appare totalmente assorbito dal più ampio accesso delineato dal nuovo comma 2 dello stesso articolo e, per tale motivo, andrebbe espunto.
In tale prospettiva, sembrerebbe auspicabile l’introduzione di tale nuovo istituto dell’accesso, ispirato al FOIA non nel decreto trasparenza, ma nella Legge 241/90, magari riformulando totalmente la disciplina dell’accesso agli atti per sancire per chiunque il “diritto a conoscere”, prevedendo opportune e specifiche limitazioni all’accesso, modulando il bilanciamento di interessi anche sulla scorta della presenza o meno di un interesse legittimo del soggetto che richiede l’accesso.
In effetti, il nuovo istituto dell’accesso sembra condividere con quello dell’accesso civico solo le finalità ultime di controllo sociale diffuso, ma non anche le modalità di perseguimento delle stesse: in effetti, la pubblicazione sui siti istituzionali dei documenti di cui si richiede l’accesso, a ben guardare, non è prevista anche nel nuovo istituto, che contempla solo la trasmissione dei dati o dei documenti al soggetto richiedente, non anche la loro pubblicazione (come peraltro risulta evidente dalla lettura del comma 5 del nuovo art. 5, il quale prevede che “L’amministrazione competente provvede tempestivamente, e comunque non oltre trenta giorni dalla presentazione dell’istanza, a trasmettere al richiedente i dati o i documenti richiesti, ovvero, nel caso in cui l’istanza abbia a oggetto dati, informazioni o documenti oggetto di obbligo di pubblicazione obbligatoria ai sensi del presente decreto, a pubblicare sul sito il dato, l’informazione o il documento richiesto e a comunicare al richiedente l’avvenuta pubblicazione dello stesso, indicando il relativo collegamento ipertestuale”). Il parere del Consiglio di Stato, pertanto, offre preziose indicazioni al legislatore per perseguire quell’obiettivo di semplificazione dell’attività amministrativa e di pieno coinvolgimento del cittadino nelle attività della res publica, che porterebbe a rendere la PA realmente trasparente, prevenendo, al contempo, il rischio di corruzione che negli ultimi tempi sta travolgendo, sempre con più forza, le pubbliche amministrazioni italiane.