Codice amministrazione digitale

Domicilio digitale, le lacune da risolvere per il decollo

Le nuove disposizioni del CAD prevedono uno stretto collegamento fra il domicilio digitale e ANPR: la banca dati anagrafica rappresenta il punto di snodo sia dell’identità digitale e sia del domicilio. Ma perché il domicilio digitale funzioni dovrebbe essere previsto come obbligo. E questo non è per niente chiaro

Pubblicato il 09 Feb 2016

Patrizia Saggini

avvocata, esperta di digitalizzazione della Pubblica Amministrazione

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Ciò che veramente farà decollare la digitalizzazione della PA sarà la completa attuazione del domicilio elettronico: questa è la premessa di tutti i ragionamenti teorici e pratici che occorre tenere presente quando si parla di “PA senza carta”.
Se un atto o una semplice comunicazione nasce in forma digitale, come può essere fatto conoscere al destinatario se questi non ha un indirizzo telematico riconosciuto?

E’ da un po’ di tempo che anche il legislatore sta cercando soluzioni a questo tema: prima con il Decreto Brunetta, con la possibilità a tutti di richiedere una casella di posta certificata gratuita – che però serviva solo per colloquiare con la PA – meglio conosciuta come CEC PAC.

Purtroppo l’iniziativa non è stata positiva, tanto che nel 2014 il servizio è stato chiuso per eccessiva onerosità e per scarso successo: a fronte di poco più di 2 milioni di richieste, solo poco più della metà sono state realmente attivate, e l’82% delle caselle non ha mai effettuato un invio.

Altre iniziative, da questo punto di vista, hanno ottenuto qualche risultato: con diverse disposizioni normative è stato disposto che tutte le imprese, comprese quelle individuali, dovevano avere un proprio indirizzo PEC, collegato anche al fatto che il CAD (art. 5 bis) prevede l’obbligo di comunicazioni digitali tra imprese e PA.

Ora il testo di modifica al CAD ci riprova: il nuovo art. 3 bis è dedicato proprio al “Domicilio digitale delle persone fisiche”: prima viene indicato come facoltà, e nel comma successivo si dice che tutti coloro che “non abbiano provveduto a indicarne uno è messo a disposizione un domicilio digitale con modalità stabilite con decreto del Ministro dell’interno di concerto con il Ministro delegato per la semplificazione e la pubblica amministrazione, sentito il Garante per la protezione dei dati personali. Con lo stesso decreto sono individuate altre modalità con le quali, per superare il divario digitale, i documenti possono essere consegnati ai cittadini.”
È possibile indicare anche un domicilio speciale diverso da quello inserito nell’ANPR, a condizione che lo stesso consenta la prova della ricezione di una comunicazione o del tempo di ricezione.

Ad una prima lettura non è chiaro se il domicilio digitale rimanga una facoltà o sia in qualche misura obbligatorio, e questo non giova ad un vero switch off digitale.
Sicuramente il problema reale sta poi nella diffusione ed utilizzo del domicilio elettronico, ed infatti nel decreto di attuazione appena citato si fa proprio riferimento alle modalità per superare il digitale divide, ma è altrettanto vero che rimanere come ora in una situazione di incertezza non giova a nessuno e soprattutto non fa fare passi avanti.
Il domicilio digitale deve essere un obbligo, non una facoltà: come accade con l’indirizzo anagrafico, ognuno deve avere una residenza.

Per completezza, è anche vero che a rigor di norma non tutte le comunicazioni debbono essere provviste di una ricevuta di consegna, in analogia alla Raccomandata AR, ma possono essere anche consegnate con la “posta ordinaria”: in questi casi, la bozza del nuovo CAD prevede che “Qualora l’indirizzo digitale indicato quale domicilio speciale faccia riferimento a un servizio che non consenta la prova dell’avvenuta ricezione di una comunicazione o del tempo di ricezione, colui che lo ha eletto non può opporre eccezioni relative a tali circostanze.
Può essere questo il caso in cui l’indirizzo dichiarato dalla persona sia una casella mail semplice e non certificata, quindi anche in questo caso le comunicazioni sono validamente inviate a tutti gli effetti.

Quindi ben vengano le nuove disposizioni del CAD che prevedono uno stretto collegamento fra il domicilio digitale e ANPR: la banca dati anagrafica rappresenta il punto di snodo sia dell’identità digitale e sia del domicilio.
Infatti, il domicilio digitale potrà essere oggetto di consultazione tramite le funzionalità di ANPR da parte dei soggetti abilitati, mentre non potrà essere oggetto di certificazione, come ha previsto il nuovo regolamento anagrafico (pubblicato nello scorso agosto 2015).

Nel portale di gestione degli indirizzi CEC PAC era stata messa a disposizione una modalità di accesso per le PA, attraverso cui – previa richiesta – si potevano consultare gli indirizzi dei propri cittadini (purtroppo era disponibile una ricerca per Comune solo per nominativo).

Poi, con l’annuncio della chiusura del servizio di Postacertificat@ (CEC-PAC), AGID ha comunicato che “dal 13 marzo 2015 al 18 settembre 2015 tutti gli utenti CEC-PAC potranno richiedere una casella PEC gratuita per un anno rivolgendosi ad: Aruba PEC S.p.A, Infocert S.p.A, Postecom S.p.A.”

Purtroppo, nella bozza del nuovo CAD non è stata prevista alcuna modalità di popolamento automatico del domicilio digitale: per esempio, si potrebbe fare in modo che in ANPR confluiscano gli indirizzi PEC rilasciati prima con la CEC PAC e poi trasferiti su richiesta del titolare ad uno dei gestori disponibili.

Senza un popolamento “automatico” di ANPR con gli indirizzi PEC già rilasciati, il domicilio digitale parte in salita, soprattutto se per completare i dati di ciascun soggetto sarà necessario aspettare che la persona si ricordi di indicarlo all’ufficio anagrafe…

Quindi per rendere operativo il domicilio digitale in tempi brevi, bisognerebbe in qualche misura renderlo obligatorio, e prevedere modalità specifiche di attribuzione ai cittadini, come ad esempio:

  • l’invio automatico dei dati da parte del gestore di PEC ad ANPR, al momento del rilascio della casella,

  • l’attribuzione automatico del domicilio digitale al momento del rilascio del documento di identità – a breve, la CIE – ma rimane il problema dell’individuazione del gestore e dei relativi costi;

  • il rilascio del domicilio associato all’identità SPID, al momento dell’ottenimento delle credenziali.

Il concetto di domicilio digitale porta anche ad immaginare uno scenario diverso: innanzitutto il domicilio digitale non è più associato ad un indirizzo fisico, ma al codice fiscale di una persona: quindi per i professionisti iscritti ad un ordine potrebbe corrispondere alla PEC già dichiarata?

Se così fosse, non farebbe differenza se un soggetto riceve una comunicazione in quanto cittadino o professionista, sempre di quella persona si tratta.

Da questo punto di vista, sarebbe molto utile quindi l’inserimento automatico della banca dati INIPEC in ANPR; in proposito, la bozza del nuovo CAD prevede che questi dati siano utilizzati per l’attribuzione dell’identità SPID, in relazione alla qualifica professionale posseduta dal soggetto.

Diversa situazione invece per le imprese, in cui il domicilio digitale è associato ad una persona giuridica diversa e ulteriore rispetto alle persone fisiche che ne fanno parte; anche in questo caso, purtroppo, si scontano annosi problemi di interfacciamento con la banca dati delle imprese.

Proseguendo nel ragionamento, e supponendo che il domicilio digitale debba essere sempre presidiato dal titolare – o comunque si dà per presupposto che lo sia – si potrebbe anche concludere che scompaia il concetto di irreperibilità, invece legato ad un indirizzo anagrafico fisico, in cui è richiesta l’effettiva presenza della persona per la ricezione della comunicazione.

E’ stato detto da più parti che il domicilio digitale – in un’ottica di spending rewiew – serve soprattutto per evitare costose notifiche e raccomandate, è quindi è altrettanto urgente un adeguamento normativo delle disposizioni del Codice di Procedura Civile, nella parte in cui tratta delle notifiche.

Oltre al domicilio digitale, la bozza del nuovo CAD prevede anche “il servizio qualificato di recapito certificato”: viene inserito tra le definizioni dell’art. 1, e deriva dagli art. 43 e 44 del Regolamento EIDAS; per capire meglio di che cosa si tratta, occorre aspettare il regolamento di attuazione; i requisiti elencati dal Regolamento riguardano la garanzia dei seguenti elementi:

  • l’identificazione del mittente e del destinatario, prima della trasmissione dei dati;

  • l’invio e la ricezione dei dati, con una firma elettronica avanzata o da un sigillo elettronico avanzato di un prestatore di servizi fiduciari qualificato, in modo da escludere la possibilità di modifiche non rilevabili dei dati;

  • la data e l’ora di invio e di ricezione e qualsiasi modifica dei dati sono indicate da una validazione temporale elettronica qualificata.

Ad esempio, la consegna di atti pare una delle funzionalità che verranno messe a disposizione dei cittadini con il portale Italia Login, e questa potrebbe forse essere un esempio di recapito certificato.

Le regole sul domicilio digitale non sono immediatamente esecutive, ci dovrà essere un decreto di attuazione sulle regole tecniche e uno specifico del Ministero dell’Interno di concerto con il Ministro delegato per la semplificazione e la pubblica amministrazione, sentito il Garante per la protezione dei dati personali; oltre alle modalità di attribuzione del domicilio, saranno fondamentali le misure per la riduzione del digital divide, perchè il domicilio digitale è uno strumento estremamente pervasivo, che incide sul comportamento quotidiano delle persone.

A questo proposito, nella relazione di accompagnamento al nuovo CAD si legge che “L’invio di un documento digitale avverrà in due modi: direttamente nei confronti di chi avrà eletto un domicilio digitale oppure indirettamente nei confronti di chi non avrà il suddetto domicilio. In quest’ultimo caso lo Stato metterà a disposizione una “casella di posta virtuale” che verrà utilizzata dalle PPAA per inviare le comunicazioni ai destinatari. Trattandosi di “casella di posta virtuale”, l’erogatore del servizio stamperà, poi, il documento trasmesso in digitale e lo consegnerà al destinatario. Ciò consentirà a tutte le PPAA di produrre e trasmettere in digitale.”

Questa modalità può essere un buon compromesso, a condizione però che sia accompagnata da interventi massivi di alfabetizzazione digitale e di comunicazione diffusa sul significato e le potenzialità del domicilio digitale, oltre che sulle modalità di utilizzo, soprattutto nell’ipotesi della “casella di posta virtuale”.

Il collegamento ad ANPR dei dati del domicilio digitale è positivo anche in caso di decesso del titolare: cosa succede della casella di posta certificata se la persona muore?
Se il dato dell’evento di morte viene inviato al soggetto gestore che ha rilasciato il domicilio, la casella potrebbe essere disattivata; ma in realtà qui si apre una serie di altri problemi.
La transizione dal mondo analogico a quello digitale non riguarda solo un diverso modo di produzione e consegna delle comunicazioni tra PA e cittadini, ma richiede un ripensamento a livello globale delle implicazioni giuridiche sui “beni digitali”, tanto che si parla già da tempo della necessità di avere un “testamento digitale”.

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