In queste settimane la X Commissione Attività Produttive della Camera sta svolgendo una serie di audizioni in merito al Decreto Industria 4.0, di cui al momento conosciamo solo le linee guida contenute nelle dieci “raccomandazioni” volte a consentire all’Italia di mettere in atto la rivoluzione industriale digitale facendo leva sull’Internet of Things e sul Manifacturing 4.0.
L’associazione IBAN lavora da molti anni come stakeholder del sistema, per dare il suo contributo al legislatore nell’ottica di favorire gli investimenti in capitale di rischio e di agevolare la nascita e lo sviluppo delle startup. A novembre 2014 abbiamo redatto insieme allo Studio Legale e Tributario CBA il Libro Bianco Start Up, un testo contenente tutta una serie di suggerimenti nell’ambito del diritto tributario, del diritto societario e del diritto del lavoro, che abbiamo inviato a Ministeri e Commissioni Parlamentari impegnate su queste tematiche.
Alcune di queste proposte sono anche state recepite nel nostro ordinamento (si pensi ad esempio a quanto contenuto nell’Investment Compact). Le restanti riteniamo possano essere utili anche nell’ambito di Industria 4.0. Obiettivo di fondo, e oserei anche dire necessità, in questo Paese, è quello di provare, tutti quanti, a fornire un contributo, ciascuno sulla base delle proprie competenze e professionalità, facendo sistema e svolgendo la propria parte non solamente come privati cittadini ma anche nell’interesse della res pubblica.
Vi sono tre aspetti principali che, a parere di IBAN, il Legislatore dovrebbe approfondire per aumentare il volume degli investimenti e incentivare e valorizzare l’innovazione portata dalle startup in Italia:
- Dare un riconoscimento giuridico alla professione di Business Angel in modo da avvicinare imprenditori, ex imprenditori e manager al mondo del Business Angel;
- Mettere in connessione il mondo delle PMI e delle grandi Imprese con il sistema delle startup e dell’innovazione;
- Incentivare gli investimenti creando un mercato secondario che coinvolga società e fondi di investimento più grandi.
Secondo le nostre stime, a livello italiano, vi sono circa un migliaio di Business Angel, fenomeno abbastanza in linea col resto dell’Europa. Dalla nostra Survey annuale emerge che i Business Angel italiani sono prettamente imprenditori, liberi professionisti e manager che investono parte del proprio patrimonio personale, del loro tempo, delle loro competenze strategiche e gestionali e delle loro reti di relazionali a supporto della fase di avviamento e di primo sviluppo di una startup. L’obiettivo del Business Angel è ovviamente quello di raggiungere un ritorno economico sotto forma di profitto sull’investimento effettuato nell’arco di 4-5 anni, tramite quella fase comunemente denominata Exit. Complice la crisi economica degli ultimi anni, molte persone si sono trovate fuori dal circuito del lavoro; tra queste vi sono molte figure professionali altamente qualificate che in precedenza ricoprivano posizioni apicali. La nostra proposta è quella di dare la possibilità a queste persone di intraprendere il ruolo di Business Angel per rispondere alla domanda di investimenti in capitale di rischio attraverso un affiancamento formativo professionale e attitudinale adeguato. Ciò potrebbe rivelarsi un’opportunità qualificata e qualificante di ricollocamento per coloro i quali vogliono reinserirsi nel mondo attivo del lavoro. E un ruolo fondamentale in tal senso potrebbero svolgerlo gli Enti Previdenziali (es. INPS) di concerto con il Governo e le Regioni, attingendo alle risorse economiche del Fondo Sociale Europeo.
Il secondo aspetto, non meno importante, è quello del rapporto tra PMI e innovazione (proposta dalle startup). Le imprese tradizionali italiane, in particolare le PMI, guardano ancora troppo poco alle startup e quando sono interessate ad acquisirle, spesso non lo fanno nella giusta ottica di una strategia di Open Innovation, ma ricercando solamente l’affare. Questo non consente di considerare le prospettive che potrebbero generarsi nel futuro. Il modello di riferimento resta sempre quello degli Stati Uniti, ma forse è giunta l’ora di ambire a creare quella che noi amiamo definire una via italiana delle startup. Questa via italiana potrebbe, per esempio, consistere nella creazione e nell’incentivazione di un mercato delle startup a cui le PMI possano rivolgersi, a condizioni favorevoli (ad esempio un super ammortamento ad hoc), per esternalizzare servizi e Ricerca & Sviluppo. Questo genererebbe sicuramente sinergie virtuose per l’economia del paese tutto. Le startup devono poter diventare lo strumento per favorire la digitalizzazione delle filiere industriali tradizionali, attraverso l’integrazione delle tecnologie digitali nei processi manifatturieri in modo da modificare le metodologie produttive. A ciò va unito un sistema di informazione costante e dei meccanismi incentivanti che consentano alle PMI di poter investire nelle startup, in modo da stimolare l’altra fase fondamentale di questo meccanismo, ovvero una open innovation a matrice privata. Inoltre, bisognerà stabilire che lo Stato e le sue Partecipate siano i primi soggetti a farsi carico di questa rivoluzione, diventando essi stessi i primi committenti delle startup, in modo da avviare quella che potremmo definire una grande fase di open innovation a matrice pubblica. È molto importante il ruolo che possono svolgere i Business Angel, cerniera di competenze e garanzia di managerialità a supporto della connessione tra startup e imprese.
Altro punto dolente, sono gli investimenti. Per avere un’idea del settore di cui stiamo parlando, ad oggi il volume degli investimenti in startup da parte di Business Angel e Venture Capital, come emerge dall’indagine congiunta tra l’Associazione IBAN e il Venture Capital Monitor dell’Università Liuc di Castellanza, è pari a 90 milioni di Euro nel 2014. Ancora troppo lontani, rimanendo in Europa, da paesi come Francia e Inghilterra, senza volerci poi confrontare con Stati Uniti e Israele. Da un lato, va crescendo un’attenzione sempre maggiore per la cosi detta fase di Seed, ma poi le imprese non vengono adeguatamente sostenute nella loro naturale crescita in quanto è ancora oggettivamente troppo lunga la filiera degli investimenti. Al momento vi sono delle regole, a nostro avviso, troppo rigide per gli investimenti in Equity per dei soggetti strutturati che, con il loro intervento possono ampliare l’offerta al pubblico. Andrebbe a nostro avviso costruita e di conseguenza sostenuta una vera e propria Finanza di Filiera che colleghi il Business Angel col Venture Capital e il Capitale di Debito. Bisogna cercare di incentivare gli investimenti, soprattutto quelli in Equity, per arrivare ad avere un volume d’affari che possa davvero generare un circolo virtuoso nel paese.
Per raggiungere questo obiettivo le Istituzioni Italiane devono da un lato aumentare i co-investimenti con i fondi privati (per esempio i fondi pensione, le casse di previdenza, le assicurazioni e i Private Banker), dall’altro agevolare il più possibile i privati a destinare risorse alle startup. In questo senso la nostra proposta è di reintrodurre l’esenzione da tassazione delle plusvalenze realizzate mediante disinvestimento qualora le somme incassate siano reinvestite in una startup innovativa (o nel diverso soggetto che si vorrà tutelare nel progetto Industria 4.0) entro un ridotto arco temporale. In aggiunta, suggeriamo di consentire a chi investe in startup innovative di dedurre, in caso di messa in liquidazione di una startup, il differenziale tra beni percepiti al riparto e “costo fiscalmente riconosciuto” della partecipazione, ovvero investimento originario al netto delle detrazioni di cui l’investitore ha beneficiato alla data dell’investimento. Riteniamo infine che si debbano innalzare gli sgravi fiscali per chi investe in startup (attualmente al 19%) in modo da avvicinarsi agli standard degli altri Stati europei che presentano mercati più maturi (Inghilterra 30%, Francia 29%) e magari superarli.
Senza un dialogo di filiera più proficuo rimarremo indietro rispetto al resto del mondo e non riusciremo a cogliere l’opportunità di cambiamento e crescita che la cosiddetta Quarta rivoluzione industriale può portare. Tutto ciò rischia di relegarci ad essere dei gregari sul palcoscenico internazionale.