Agenda 2013

La ricetta al nuovo Governo, per un cambio di passo sul digitale

E’ stato un anno perso: si è fatto poco. È quindi vitale “ripartire” all’inizio di questa nuova legislatura cercando di affrontare in modo deciso e radicale alcune questioni di fondo. Eccole

Pubblicato il 29 Dic 2012

Alfonso Fuggetta

professore di Elettronica, Informazione e Bioingegneria, Politecnico di Milano

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In tema di agenda digitale, gli ultimi dodici mesi possono essere riassunti con l’espressione “un anno (quasi) perso pericolosamente”. Perché “pericolosamente” e perché “perso”?

Sul “pericolosamente” non c’è molto da precisare: non si contano le voci di coloro che ripetono (specialmente all’estero) che ricerca, innovazione, economia digitale e education sono elementi indispensabili e cruciali per lo sviluppo di un paese. È quindi “pericoloso” ignorare o non dare il giusto peso a queste tematiche. Ne va non tanto di questo o quel settore o lobby o gruppo di pressione, ma del paese nel suo complesso, del suo futuro e del futuro dei nostri giovani. E perché “perso”? Perché al di là di pochi timidi provvedimenti e alcune buone intenzioni, nella sostanza si è fatto poco. Soprattutto, si è fatto poco per far cambiare marcia e velocità ad un paese che su questi temi è da troppo tempo balbettante o pressoché fermo.

È quindi vitale “ripartire” all’inizio di questa nuova legislatura con il piede giusto, cercando di affrontare in modo deciso e radicale alcune questioni di fondo che da troppo tempo si trascinano in cerca di una soluzione o quanto meno di una chiave di lettura convincente e lungimirante. In altre parole, come possiamo rimetterci in movimento? Come possiamo avviare la nuova legislatura in modo diverso e discontinuo rispetto al passato? Quali sono le tematiche e i contenuti di una agenda digitale per il “2013 and beyond”?

Ovviamente, non è possibile riassumere in modo esaustivo e in poche righe quello che dovrebbe essere il programma di lavoro (l’agenda appunto) di un paese e di un governo per i prossimi anni. Può essere però possibile e utile identificare e riassumere alcuni temi chiave.

1. Un “motore primo” per i processi di innovazione

Il paese ha bisogno di un modello di governance che funzioni e che faccia (ri)partire processi diffusi di cambiamento e di vera innovazione. Abbiamo bisogno di un “motore primo” che animi, dia slancio e “spinga” tutte le iniziative cruciali su questi temi. Questo è ciò che è mancato in questi anni, il “manico” che portasse avanti le iniziative con una propria visione e capacità operativa autonoma, con un riferimento forte nel governo, con competenza e con autorevolezza e, anche, con le necessarie risorse umane ed economiche. La neonata Agenzia per l’Italia Digitale potrebbe essere uno tassello importante di questo nuovo assetto, ma nasce zoppa, senza un chiaro rapporto con il governo e con gli altri organi dello stato e degli enti locali, e per di più con risorse umane ed economiche ancora largamente indeterminate.

Su questo tema, bisogna riconoscere che, al di là del merito delle scelte specifiche fatte all’epoca, il modello basato su un Ministero dell’Innovazione (guidato dall’allora Ministro Stanca che di fatto si serviva, almeno in parte, del CNIPA come sua “agenzia”) è quello che nel corso degli ultimi 10-12 anni è riuscito più di tutti ad incidere sui processi di innovazione del paese. In quegli anni, questa scelta fu criticata da molti (incluso chi scrive). Tuttavia, una valutazione asettica di quanto accaduto nel decennio passato non può non riconoscere che quel modello è risultato l’unico tra quelli proposti che si sia dimostrato in grado di raccogliere le sfide di un compito così complesso, soprattutto tenendo conto del contesto istituzionale che caratterizza il nostro paese. Ripeto, non ne faccio una questione di merito e contenuti, ma di struttura e funzionamento della macchina.

In generale, è necessario ripartire dall’analisi critica di questi fatti e di quanto è successo (o peggio NON è successo) negli scorsi anni per reimpostare un convincente modello di governance dell’innovazione per la prossima legislatura.

2. Un cambio di passo nell’egovernment

Di egovernment si parla da molto tempo. Perché ci sia un reale cambio di passo bisogna affrontare in modo deciso due questioni chiave, diverse tra loro, ma fortemente collegate:

• Dal punto di vista tecnico bisogna puntare ad una progettazione integrata dei sistemi informatici pubblici e all’integrazione dei backend di amministrazioni centrali e locali. È solo tramite questa interoperabilità/integrazione diffusa che l’egovernment potrà fare un reale salto di qualità.

• Dal punto di visto amministrativo e politico, è vitale definire un nuovo modello decisionale e operativo nel rapporto tra Stato, Regioni e enti locali: deve esserci un processo (definito una volta per tutte, per esempio, dalla Conferenza Unificata) che dia tempi certi e garantisca decisioni vincolanti ai processi di innovazione delle pubbliche amministrazioni.

Senza questo processo di convergenza e allineamento, ogni sforzo di innovazione correrà ancora una volta il rischio di restare lettera morta o una piccola isola disconnessa dal resto del mondo, inefficace e, in ultima analisi, sostanzialmente inutile.

3. Il tessuto industriale

È necessario convincersi una volta per tutte che “piccolo non è bello”. Le aziende piccole, qualunque sia la loro natura o genesi, troppo spesso non hanno le risorse, le capacità, i mezzi economici e finanziari per competere. Certamente, “piccolo” vuol dire flessibile e dinamico. Ma “piccolo” è bello solo se è visto come passaggio temporaneo in un processo di crescita, non come stato permanente e “ideale”.

In questo periodo si parla molto di startup. Pur essendo certamente da sostenere e promuovere, le startup non cambieranno di per se stesse e nel breve periodo il destino economico del paese. Anzi, da sole rischiano di essere “una ciliegina in assenza di torta”, o peggio un alibi o un placebo. Perché dispieghino il loro vitale e benefico potenziale di innovazione e di sostegno allo sviluppo del paese, devono prima o poi diventare imprese medio-grandi o venire acquisite da altre imprese, possibilmente italiane e con mezzi economico-finanziarie sufficienti (e quindi a loro volta di dimensioni non microscopiche).

Una prima questione è quindi incrementare il numero delle aziende medio-grandi, favorendo crescita dimensionale, capitalizzazione, investimenti di imprese straniere e italiane sul nostro territorio. È un tema generale, ovviamente, ma non ci può essere innovazione (e innovazione digitale) in un tessuto imprenditoriale troppo frantumato e polverizzato.

Sul tema strettamente digitale, al netto delle varie discussioni su quali siano le migliori soluzioni tecnologiche da perseguire, è vitale diffondere in modo ampio banda larga e ultralarga, fissa e mobile (in particolare la fibra), alle imprese e a i professionisti, ai distretti industriali e alle zone turistiche. Questo va fatto anche prima di vedere le “applicazioni” o “l’uso che se ne farà”: se non c’è la rete (e una rete capace), “le applicazioni” e “l’uso” non ci saranno mai, se non per quanto permesso dalle reti esistenti. Tra l’altro, una capacità di accesso in banda larga e ultralarga può essere strumentale a favorire processi di aggregazione e accesso ai mercati da parte delle aziende medio-piccole.

Si potrebbe obiettare che lo sviluppo delle reti è compito dei privati. Ma se i privati non investissero ed il tema fosse considerato vitale per il paese (e lo è), lo Stato dovrebbe fare la sua parte, certamente senza distorcere il mercato e la concorrenza. Abbiamo speso oltre 7 Miliardi di Euro per l’alta velocità Milano-Torino (usata da pochissimi utenti), ne stiamo prevedendo oltre 15 per la Torino-Lione, oltre 10 per l’F35, e non possiamo spendere alcuni miliardi per dare la fibra ad una larga, anzi larghissima, parte del paese?

4. Il sostegno ai processi di innovazione e ricerca

Se è vero che è vitale promuovere ricerca e innovazione, bisogna passare dalle parole ai fatti e mettere in campo alcune misure convincenti e di sostanza. Ne propongo due.

• La prima è un credito automatico di imposta su ricerca e innovazione. È inutile prevedere meccanismi burocratici che non funzionano o estemporanei ed incerti. Diamo alle imprese uno strumento che offra certezza dei tempi e modalità semplici di fruizione.

• La seconda misura è un programma cooperativo di ricerca e innovazione di medio-lungo periodo, che riprenda, estenda e si colleghi ai programmi europei, favorendo la collaborazione tra imprese, università e centri di ricerca. Tuttavia, perché funzioni, tale programma deve essere concepito senza bizantinismi o procedure burocratiche cervellotiche (se non demenziali) come quelle recentemente previste per i cluster regionali e nazionali: si usino al meglio i modelli europei, possibilmente prevedendo modalità premianti e addizionali per coloro che già acquisiscono finanziamenti a livello internazionale. Ovviamente, è anche vitale che i fondi strutturali per il sud siano finalmente usati al meglio.

5. L’innovazione diffusa e la società dell’informazione

Più che parlare di una singola misura, è necessario stabilire un principio: il digitale deve essere sempre il default e deve sempre essere economicamente più conveniente dell’analogico/cartaceo. Ogni norma o legge o regolamento che venga emesso/aggiornato deve fondarsi su questi principi. In particolare, tutti gli strumenti e tutte le norme in campo fiscale devono riflettere questo approccio. È inutile basarsi solo su forme di intervento top-down e dirigistiche: dobbiamo creare nel paese un driver diffuso che “spinga” singoli, imprese, amministrazioni a passare al digitale. L’implementazione di questo principio si deve affiancare ad un programma diffuso di promozione della cultura digitale tra i cittadini, nelle scuole e in tutte le diverse forme della vita sociale e culturale del paese.

6. Infrastrutture a servizio del pubblico

Oltre a preoccuparsi che il paese in quanto tale possa disporre di una rete in banda larga e ultralarga, lo Stato e gli enti locali devono preoccuparsi di fornire connettività adeguata (wireless e wireline) in alcuni gangli vitali del territorio.

• In primo luogo, ogni scuola deve essere connessa in banda larga (e in prospettiva ultralarga). Non importa se non si conosca “upfront” quali applicazioni verranno utilizzate: ciascuno troverà una propria autonoma modalità di uso della rete, sapendo che l’accesso alla rete “crea dipendenza”: non esistono “killer application”, mentre è invece vero che “una ciliegia tira l’altra”.

• In secondo luogo, se è inutile e improprio costruire reti WiFi pubbliche diffuse a livello cittadino, è invece importantissimo fornire connettività WiFi gratuita e aperta all’interno di musei, uffici pubblici, biblioteche, centri culturali.

7. Open data e contenuti digitali

È vitale prevedere delle norme semplici e vincolanti per la pubblicazione come open data dei dati non sensibili delle pubbliche amministrazioni. Per quanto riguarda cittadini, imprese, società e mercato, è vitale rivedere le norme sulla gestione del copyright e dei contenuti digitali, in modo da tenere conto dei cambiamenti tecnologici, di mercato e culturali che in questi anni sono intervenuti.

8. Un mercato del lavoro che valorizzi i giovani

Se vogliamo sostenere i processi di innovazione, è necessario attrarre e trattenere i giovani talenti (italiani e stranieri). Un mercato del lavoro che non invogli all’assunzione dei giovani e non aiuti a garantire loro uno stipendio adeguato non fa altro che aumentare i flussi dei nostri migliori cervelli che si recano a lavorare all’estero. In particolare, è necessario ridurre il cuneo fiscale e offrire alle nostre risorse umane stipendi competitivi con quelli previsti a livello internazionale.

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