Wittgenstein indentificava il mondo come tutto ciò che accade, la totalità dei fatti, non delle cose.
Sembrerebbe assolvere al meglio l’attuale spinta di marketing e di prodotti tecnologici che ruotano intorno al concetto di realtà virtuale, termine che oramai sembrava desueto e superato dal paradigma della realtà aumentata:
le potenzialità dei dispositivi di aggiungere livelli di informazione alle esperienze che l’utente si trova a vivere che si traducono sia in aspetti conoscitivi ma anche in cose da fare, posti da raggiungere, possibilità da attuare.
Sembrava davvero essere usciti dalla stanze chiuse dove dei simulatori visivi e tattili proponevano mondi a 360 gradi per infrangere, a livello percettivo, le leggi della fisica, affrontare sfide ludiche vissute in maniera sensoriale vicino a realtà ricostruite per ritornare al mondo.
Un mondo fatto di esperienze sul territorio, come la visita ad un sito storico o ad un monumento o la ricerca di un ristorante e relazioni con altre persone, le quali, condividendo applicazioni di rintracciabilità e disponibilità, poi si potevano anche ancorare alle vecchie esperienze corporee, aumentate nel numero delle possibilità e del turn over dalle app.
Ma invece, almeno per quando riguarda il panorama italiano, se utilizziamo lo strumento google trend osserviamo che abbiamo un primo picco nelle ricerche del termine “realtà virtuale” nel primo semestre del 2006, poi un secondo picco nel 2007 (sempre primo semestre) e poi via via le ricerche vanno scemando, fino ad un piccolo picco nel marzo 2013, dopodiché le ricerche del termine sono iniziate nuovamente a salire fino a proiezioni che superano i picchi precedenti (anche gli utenti però nel frattempo sono aumentati).
E se, in confronto, monitoriamo il trend di ricerche per la “realtà aumentata” osserviamo come il termine fa la sua comparsa nel 2009 per crescere in maniera sinusoidale fino al 2013, e poi cala, in corrispondenza dell’aumento di ricerche per la “realtà virtuale”.
Possiamo pertanto dire che i due termini sono tra loro antagonisti.
E riprendendo Wittgenstein, i limiti del linguaggio segnano i limiti del mondo (relativismo linguistico) per approdare al determinismo: è il linguaggio a costruire il pensiero che a sua volta interpreta e definisce il mondo, pare così che la realtà virtuale abbia preso nuovamente il sopravvento sulla realtà aumentata.
Forse, come aveva visto Baudrillard, nel delitto perfetto, la televisione uccideva la realtà in una realtà più perfetta che rimandava però all’immaginario stesso del mondo mediale, non riproduceva la realtà, ma proiettava lo spettatore in una non realtà più perfetta della realtà stessa, più suadente degli stessi sogni e delle utopie presenti e trainanti, per valori, il mondo reale: era la vittoria del virtuale televisivo sul reale e sui sogni come fuga dalla realtà.
Il secondo delitto forse è sempre quello della realtà virtuale, questa volta sulla realtà aumentata, dove i dispositivi ci reintroducevano nella realtà, nel mondo, sul quale potevamo agire e magari provare a cambiarlo: si rientra ora invece nella perfezione cromatica ad alta definizione, sensoriale ed emozionale di mondi su misura, ancora una volta più attraenti e coinvolgenti di quello che sta al di fuori, che come aveva già previsto Baudrillard per la prima realtà virtuale, così non viene più messo in discussione, ma indifferentemente accolto.