All’indomani della consultazione referendaria, tra le esultanze dei soddisfatti e le recriminazioni dei delusi dalla vittoria del No, iniziano ad alzarsi le prime voci che chiedono, nemmeno tanto timidamente, il “taglio di qualche testa” molto vicina a quella del Presidente (uscente?) del Consiglio Renzi. È quello che sta succedendo in queste ore in cui i deputati pentastellati della Commissione Trasporti hanno fatto sapere, attraverso una nota, come a loro parere a questo punto sia necessario ripensare l’intera governance dell’innovazione nel nostro Paese, riferendosi in particolare “alla nomina di Piacentini a commissario straordinario per l’attuazione dell’Agenda Digitale e alla costituzione del cosiddetto team per la trasformazione digitale”, che sarebbe solo una “costosa struttura amministrativa” che per giunta non ha mai presentato al Parlamento le linee strategiche della propria azione. Quei soldi, dice la nota, sarebbero meglio spesi in progetti di inclusione ed educazione al digitale di cui in Italia c’è estremo bisogno.
La funzione di Piacentini e del suo Team digitale, a cui è stato conferito l’incarico di traghettare più velocemente e agevolmente il nostro Paese verso l’innovazione, viene quindi messa in discussione per l’ennesima volta in poche settimane. Diverse voci si erano infatti già alzate (la mia compresa) e da parti politiche diverse per avanzare qualche dubbio riguardo il possibile conflitto di interessi generato dalla nomina (a titolo gratuito) del super commissario Piacentini e alla poca trasparenza applicata nell’iter di selezione dei componenti del suo Team per la trasformazione digitale. Eppure nonostante tutto, queste non mi sembrano nemmeno le pecche più gravi dell’intera operazione, come spiegherò più avanti.
Circa il conflitto di interessi Piacentini è, infatti, già super-manager di Amazon, una delle più grandi aziende di commercio elettronico con interessi economici anche (inevitabilmente) nel nostro (non proprio microscopico) Paese. Peraltro la normativa relativa al conferimento di incarico permette al super Commissario straordinario di esercitare nei confronti delle pubbliche amministrazioni che non si adeguano alle necessità e ai dettami dell’Agenda digitale il “potere sostitutivo”, ovvero il potere di compiere degli atti in loro vece, quindi anche obbligarle eventualmente a stipulare determinati contratti di fornitura. Grande potere quindi, per il super Commissario, soggetto invece a ben poco controllo e rendicontazione visto che egli riferisce in merito alla sua attività solo ed esclusivamente al Presidente del Consiglio dei Ministri. Ma da un grande potere dovrebbero derivare precise e definite responsabilità e non ci sembra questo il caso. Purtroppo. Ma continuiamo in modo ordinato la nostra riflessione.
Forti dubbi ci aveva provocato anche il recruitment del Team digitale di Piacentini, di cui non è stato possibile conoscere nei dettagli le dinamiche: in un momento storico in cui la trasparenza è diventata ormai un valore fondamentale per i processi che riguardano l’agire politico e l’amministrazione della cosa pubblica (e anche uno dei valori ispiratori del Team di Piacentini inserito pomposamente nel punto 8 Manifesto che si legge sul sito istituzionale), oltre che un principio attorno al quale si sta organizzando tutto l’eGovernment, queste dinamiche sono risultate a dir poco stonate. La selezione, apertasi a fine settembre, ha portato all’invio di migliaia di curricula, ma nulla si è saputo sui metodi che hanno guidato la selezione finale. Infatti, se è vero che non è sempre necessario nella PA bandire dei concorsi pubblici per l’assegnazione di incarichi a tempo indeterminato, ma si possono anche attribuire incarichi transitori ad alta specializzazione, bisognerebbe rispettare sempre quantomeno i criteri di selezione pubblica di natura procedimentale, al fine di garantire, appunto, trasparenza e prevenzione da possibili fenomeni di corruzione. O quanto meno se si insiste tanto sulla trasparenza e si è oggetto di pesanti critiche, forse e in ogni caso ragioni di opportunità consiglierebbero di comportarsi in modo diverso.
Ma sorvolando velocemente su questi particolari, seppur importanti, ciò che giudico davvero preoccupante è la metodologia alla base dell’intera operazione, per la quale sono stati stanziati fondi molto consistenti senza che, a parte qualche generico impegno pubblicato on line, venisse definita a monte una qualunque forma di strategia condivisa e neppure un barlume di progettualità concordata con altre istituzioni rappresentative e stakeholders. E infatti appare quanto meno confusionaria la governance oggi condivisa con Agid (la quale – come riferito in tante occasioni – meriterebbe invece di assumere per una buona volta un ruolo davvero centrale per le politiche di innovazione digitale del nostro Paese).
Il problema reale della politica digitale italiana, quindi, non è Piacentini, perché ben poco cambierebbe se al suo posto fosse stata chiamata un’altra “vittima sacrificale”, magari con dei legami lavorativi ed economici meno criticabili. La reale mancanza da denunciare e da provare a colmare nel minore tempo possibile è quella di una strategia solida, fatta di pianificazione accorta e di progetti concreti da mettere in atto da subito per far viaggiare il nostro Paese più velocemente verso le mete della governance digitale. Strategia che non venga messa in crisi dal primo refolo di vento o dal primo scossone politico, ma che sia lungimirante e basata sul Paese reale non su quel Paese ideale dipinto in tanti slogan politici.