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Ecco le startup a vocazione sociale

Si moltiplicano gli esempi di una particolare tipologia di startup innovative portata alla luce dal recente aggiornamento della sezione speciale del Registro delle Imprese. Ora sono 39, godono di incentivi maggiorati

Pubblicato il 22 Gen 2014

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Altair, spin-off dell’Università di Bari, e la torinese IT Heritage elaborano nuove forme di fruizione del patrimonio culturale, per la diffusione qualificata delle informazioni e la creazione di modelli replicabili e sostenibili nel tempo.

La milanese StarRock combatte la dispersione scolastica offrendo servizi innovativi ad alto valore tecnologico nel campo dell’educazione e della formazione extra-scolastica.

La società cooperativa Mapping Hyperlocal Communities, spin-off dell’Università di Firenze, coltiva un nuovo approccio alla pianificazione urbanistica e paesaggistica e alla promozione territoriale: i suoi obiettivi sono l’aumento della qualità e dell’accessibilità delle informazioni da utilizzare nei processi di piano e di progetto, l’incremento della consapevolezza dei decisori pubblici sulla percezione degli abitanti rispetto a città, territori e paesaggi e il miglioramento della comunicazione delle scelte di pianificazione adottate.

Le imprese citate sono solo quattro esempi di quella particolare tipologia di startup innovative portata alla luce dal recente aggiornamento della sezione speciale del Registro delle Imprese: le startup innovative a vocazione sociale.

Tutte le imprese, nell’esercizio della propria attività economica, rispondono a un bisogno, a una domanda di beni e servizi espressa dal consumatore. Ma quando la loro attività economica mira alla produzione di beni o servizi di utilità sociale, è diretta cioè a realizzare finalità di interesse generale, riconducibili all’intera collettività, ci troviamo di fronte ad una particolare categoria produttiva, quella che il decreto legislativo n. 155 del 24 marzo 2006 definisce impresa sociale.

Mutuando e richiamando espressamente questa distinzione ontologica, l’art. 25 comma 4 del decreto legge 179 del 18 ottobre 2012 (il cosiddetto Decreto Crescita 2.0) ha definito le startup innovative a vocazione sociale come quelle aziende che operano nei settori indicati all’art. 2, comma 1 della legge sull’impresa sociale poc’anzi menzionata. Tali settori includono l’assistenza sociale e sanitaria, l’educazione, l’istruzione e la formazione, la tutela dell’ambiente e dell’ecosistema, la valorizzazione del patrimonio culturale, il turismo sociale, la formazione universitaria e post-universitaria, la ricerca e l’erogazione di servizi culturali, la formazione extra-scolastica finalizzata alla prevenzione della dispersione scolastica ed al successo scolastico e formativo. È individuando i codici Ateco corrispondenti a questi settori che il Ministero dello Sviluppo economico e il sistema camerale sono giunti alla predisposizione del meccanismo di riconoscimento delle startup innovative a vocazione sociale.

L’individuazione delle prime trentanove imprese così definite rappresenta una notizia degna di apprezzamento per almeno due ordini di ragioni.

In primo luogo, le persone fisiche e giuridiche che investono nel capitale delle startup innovative a vocazione sociale possono contare su incentivi maggiorati, quantificabili in detrazioni Irpef del 25% e deduzioni sull’imponibile Ires del 27% – mentre tali aliquote si fermano a quota 19% e 20% per gli investimenti che hanno ad oggetto le altre startup innovative. Obiettivo della disposizione è favorire la capitalizzazione di un settore che, a causa della prevalenza dell’utilità sociale su quella economica, fatica a calamitare l’interesse degli investitori. Altrimenti detto, alla luce della disciplina illustrata investire in una startup innovativa è vantaggioso, ma se si sceglie di finanziare una startup innovativa a vocazione sociale (o che opera nel settore energetico, tipologia alla quale si applica lo stesso schema) il beneficio fiscale è ancora più elevato.

Sul piano culturale, l’individuazione delle startup innovative a vocazione sociale permette di lanciare un messaggio forte al terzo settore e al mondo cooperativo: la tutela di una finalità sociale e l’esercizio di un’attività economica caratterizzata da un’elevata dotazione tecnologica non sono due elementi incompatibili. Aggregare in un’unica impresa una forte componente di innovazione tecnologica e una pronunciata attitudine alla salvaguardia di un interesse della collettività è possibile.

Concludendo, nell’ultimo decennio l’imprenditoria sociale ha rappresentato una delle soluzioni cui nei Paesi avanzati ci si è maggiormente affidati per sopperire al drammatico depauperamento dei sistemi di welfare: la trasposizione di questo paradigma all’interno della politica a sostegno delle startup innovative rappresenta pertanto anche una scelta di grande modernità e un segnale di attenzione rispetto alle dinamiche socio-economiche che caratterizzano l’arena internazionale.

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