Nel Piano Nazionale di Ripresa e resilienza (il Recovery plan italiano) si prevede un potenziamento della didattica, un miglioramento della qualità dell’insegnamento, la formazione continua per il personale docente e la garanzia del diritto allo studio a costo zero.
Non si immagina neanche, però, una modifica delle retribuzioni per adeguarle agli standard europei, nelle cui scuole si fanno meno giorni di lezione e gli stipendi sono più alti almeno del 40%.
La scuola nel PNRR
Nel documento, la parola scuola viene citata trentasette volte, la parola istruzione trentatré e la parola educazione solo due volte nell’intero documento. Le parole sono importanti e allora vediamo come sono state usate per raccontare la spesa del Recovery plan dedicata a docenti, studenti e sistema di istruzione italiano.
Il piano ruota attorno a sei “missioni”, che costituiscono le aree tematiche del documento: alla scuola è dedicata la missione quattro, denominata “istruzione e ricerca”, ma cenni alla scuola compaiono anche nelle altre missioni.
In circa quattro paginette si desume quale sia il piano di spesa dedicato al tema dell’istruzione. Gli obiettivi della spesa saranno questi:
- Colmare il deficit di competenze che limita il potenziale di crescita del nostro Paese e la sua capacità di adattamento alle sfide tecnologiche e ambientali
- Migliorare i percorsi scolastici e universitari degli studenti; agevolarne le condizioni di accesso per accrescere l’incentivo delle famiglie a investire nell’acquisizione di competenze avanzate da parte dei giovani
- Rafforzare i sistemi di ricerca e la loro interazione con il mondo delle imprese e delle istituzioni.
La distribuzione della spesa è tra due voci: il “Potenziamento delle competenze e diritto allo studio” (16,72 miliardi) e “Dalla Ricerca all’impresa” (11,77 miliardi). Il totale dedicato è di circa 28.50 miliardi di euro. Gli assi dichiarati intorno a questi obiettivi sono:
- l’ampliamento delle competenze acquisite nelle scuole, nelle università e nelle istituzioni di Alta Formazione Artistica e Musicale da parte di giovani, di lavoratori e ampie fasce di popolazione attiva;
- il potenziamento della ricerca di base e delle grandi infrastrutture di ricerca, fondamentali nelle aree di frontiera e per il trasferimento tecnologico, il miglioramento dell’interazione tra mondo della ricerca e mondo produttivo, nonché della propensione all’innovazione delle imprese, soprattutto delle PMI, e la loro partecipazione a progetti e filiere strategiche. In linea con il Programma Nazionale della Ricerca 2021-2027, recentemente adottato, per questa via si sostengono anche la domanda di competenze avanzate e il loro adeguato impiego nel nostro sistema produttivo;
- l’internazionalizzazione della formazione superiore e della ricerca attraverso la promozione della mobilità di docenti e ricercatori, sia verso l’estero che verso l’Italia, per contribuire ai principali processi internazionali di ricerca e formazione di nuove competenze, nei principali ambiti strategici in prospettiva futura;
- il supporto alla ricerca condotta dai giovani talenti, con finanziamenti ad essi dedicati, seguendo il modello d’eccellenza degli ERC grant europei.
Docenti, aumentano le richieste ma non gli stipendi
Nel documento si fa cenno alla formazione dei docenti, al miglioramento delle competenze degli studenti, al rafforzamento dell’accesso all’istruzione a tutti, garantendo pari opportunità ai giovani su tutto il territorio e si parla di riduzione della povertà educativa, aumento del “tempo-scuola” e incremento dello spazio per l’offerta formativa, fino addirittura alla conciliazione dei tempi di vita e lavoro delle famiglie, specialmente delle donne. Sembra che allinearsi all’Europa per risultati, infrastrutture e offerta formativa sia prioritario, ma non c’è alcun punto in cui si parli degli stipendi dei docenti e della progressione in carriera, da noi completamente assente.
Insomma, aumenteranno le richieste per ciascun insegnante, che dovrà continuare a maturare competenze ben oltre le dodici già inserite all’art. 27 del nostro Contratto nazionale, senza però che questo corrisponda anche ad un aumento del trattamento stipendiale, tra i più bassi tra tutti i trattamenti economici europei. Uguali all’Europa, ma fino ad un certo punto.
La professione del docente, diversamente da quanto invece stabilito in ogni paese europeo, in Italia è ancora vista come una missione o una vocazione. Si tratta di una sorta di volontariato quasi tutto femminile, visto che degli 872.268 docenti italiani ben 712.527 sono donne[1] , nel quale il tempo non è una variabile se non per l’orario di lezione (la cui inefficacia è stata svelata dalla Didattica a distanza e sul quale però ancora non si propone nulla di concreto e praticabile) e dove c’è un sentire comune del tutto inadeguato al carico di lavoro che oggi comporta il ruolo del docente, in una società complessa e in modo innovativo.
Si tratta di un lavoro nel quale lo sviluppo della propria professionalità è affidato alla buona volontà del singolo. Non c’è infatti ancora alcuna regola né sul quando, né sul come: la formazione dei docenti, secondo quanto indicato dalla Legge 107/2015, dovrebbe essere “obbligatoria, permanente e strutturale”, ma ancora oggi non è indicata una quantità di ore minima alla quale tutti devono fare riferimento né le priorità da seguire, che dovevano essere comunicate attraverso lo strumento del “Piano nazionale per la formazione dei docenti”, la cui ultima scadenza risale al 2019. In ogni caso lo spazio da dedicare alla formazione è da ritagliare dal tempo libero, visto che non c’è alcun riconoscimento in tale direzione e che non si ritiene possibile sia in orario di servizio. Le priorità sono state affidate ad una Nota ministeriale del 2019, che detta la ripartizione dei fondi fino al 2022[2].
Conclusioni
Come è possibile esigere da un intero corpo professionale, che dovrebbe avere in mano la parte più importante dello sviluppo di un Paese, così tante responsabilità e competenze senza investire nella professionalità, nella carriera e nello sviluppo di un percorso che dia sostegno a tale obiettivo? Se è vero che si vogliono sviluppare percorsi che sostengano le pari opportunità perché in un’area così densamente popolata da donne come la scuola, non se ne tiene affatto conto? Nel piano di ripartizione delle risorse europee sono diverse le riforme che dovrebbero avere al centro il sistema di istruzione. La riforma dedicata alla formazione dei docenti sembra citare un “avanzamento di carriera” senza però che sia riferito ad alcun adeguamento retributivo:
“Il sistema di formazione in servizio obbligatoria si concretizza, attraverso la misura di riforma introdotta, in un impianto di moduli formativi organizzati per competenze, con frequenza obbligatoria, cui sono legati crediti formativi professionali spendibili per l’avanzamento della carriera, secondo un sistema meritocratico di valorizzazione e attraverso forme di erogazione che trovano luogo di elezione in una Scuola di Alta Formazione rivolta a tutto il personale scolastico”.
Ricerca e innovazione non possono procedere senza una adeguata valorizzazione professionale, che i docenti italiani attendono ormai da troppo tempo.
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- Cfr nel Portale dati del Miur per a.s. 2017_2018: https://dati.istruzione.it/espscu/index.html?area=anagScu ↑
- Nota 49062 del 28 novembre 2019. ↑