Il procurement pubblico nel nostro Paese sembra ancora vittima di un pregiudizio che lo vede come fonte di inefficienza (quando non di corruzione) piuttosto che di innovazione. Le gare pubbliche sono ancora disegnate e gestite con la principale preoccupazione di prevenire ricorsi e contenziosi, mentre sono ancora troppo poche le Pubbliche Amministrazioni che cercano di acquisire nel minor tempo possibile la migliore soluzione disponibile.
Le imprese, dal canto loro, si concentrano non tanto sul disegnare soluzioni efficienti e innovative, che diano reale valore al cliente pubblico, quanto nell’adempiere a ogni formalismo richiesto in fase di gara e prevenire ricorsi pretestuosi da parte dei concorrenti. Così facendo sprecano le migliori energie a recitare “liturgie” che tutti sanno formali e inutili.
Il risultato di questa duplice spinta, alimentato dall’incertezza normativa, è allontanare dal settore pubblico quella parte di mercato sana e dinamica che potrebbe apportare competenze ed energie essenziali per la digitalizzazione della PA. L’Osservatorio Agenda Digitale del Politecnico di Milano, con il report Procurement ed eProcurement in ambito pubblico presentato a metà dicembre 2020, ha prodotto alcune evidenze per meglio comprendere l’urgenza di un cambiamento.
La centralità del procurement pubblico
Potenzialmente, gli acquisti del settore pubblico rappresentano una straordinaria leva di politica economico-industriale, da manovrare con accuratezza non solo per massimizzare l’efficienza della spesa ma anche per innescare il mercato e orientare le imprese verso la produzione di beni e servizi innovativi. Dopo mesi di emergenza legata al Covid19, è inoltre chiaro quanto la domanda pubblica potrebbe giocare un ruolo chiave anche nella ripresa dell’Italia.
Affinché si concretizzi tale potenziale, servono tuttavia regole chiare e stabili, che permettano di conciliare legalità – ovvero lotta alla corruzione, trasparenza dei processi, e rispetto della concorrenza – e velocità dei processi di acquisto, incoraggiando gli investimenti del settore privato e creando fiducia tra tutti gli attori del mercato. Nel 2019 la PA ha comprato per 170 miliardi, valore raddoppiato in 7 anni. Nel 2020, ulteriori 26 miliardi legati all’emergenza Covid-19 sono andati ad alimentare i meccanismi di procurement pubblico. Nel complesso, l’Italia potrà avere a disposizione oltre 240 miliardi dall’UE per il rilancio dell’economia dopo la pandemia.
I processi di procurement pubblico movimentano ogni anno moltissime risorse del bilancio pubblico. Limitandosi all’insieme degli acquisti sopra la soglia dei 40mila euro (Figura 1), nel 2019 la spesa per l’acquisto di beni e servizi da parte delle PA è arrivata a pesare quasi 170 miliardi, il 9,5% del PIL italiano. Questo valore è raddoppiato in termini reali[1] dal 2013, quando il peso sul PIL era del 5,2%. Per fornire un termine di paragone, nello stesso periodo la spesa pubblica reale è aumentata in valore assoluto solo dell’1,7%, e il suo peso sul PIL è anzi diminuito dal 19,8% del 2013 al 18,7% del 2019[2].
Coronavirus e procurement, le risorse
Negli ultimi mesi il dibattito sulla spesa pubblica è stato monopolizzato dal tema delle risorse messe a disposizione per la gestione dell’emergenza legata al Coronavirus e per la ripresa. Come abbiamo visto è bene tenere presente, tuttavia, che gli acquisti pubblici da molto prima hanno rappresentato una potente leva di stimolo all’economia e all’innovazione. Grazie all’accentramento della spesa e all’aumento degli investimenti, sono ormai anni che il governo del procurement pubblico manovra risorse sempre più ingenti: con un +85,6 miliardi gestiti per acquisti sopra i 40mila euro rispetto al 2013, è come se al 2019 avessimo già accumulato un “piccolo” Recovery Fund su cui fare leva per sostenere la domanda, incentivare la trasformazione digitale, e rinnovare la PA.
Ma quante risorse sono state messe a disposizione a seguito dello scoppio della pandemia? I dati del Documento di Economia e Finanza (DEF) 2020 ci dicono che nella fase emergenziale sono stati stanziati in tutto 180 miliardi[4] tra decreto Cura Italia e decreto Rilancio. Di questi, la maggior parte è dedicata a forme di sostegno al reddito delle imprese e all’operatività delle aziende (157 miliardi, l’87%), ma diverse voci chiamano in causa anche il sistema degli acquisti pubblici.
Fra supporto ai pagamenti della PA, investimenti nel settore sanitario, interventi di sostegno agli enti territoriali e interventi per il potenziamento dei servizi pubblici, circa 26,4 miliardi dei 180 mobilizzati dal solo Stato centrale (il 14,7%) sono o sono stati gestiti attraverso gare pubbliche. Un ulteriore impulso al sistema di procurement che ha dato priorità alla velocità di esecuzione delle procedure, sebbene le dinamiche della seconda ondata abbiano evidenziato i limiti delle regioni e del sistema sanitario nel saper effettivamente spendere queste risorse per potenziare i servizi. Vedremo nei prossimi mesi quale prezzo abbia avuto la celerità delle operazioni in termini di contenziosi.
Procurement pubblico, così diventa forte leva di ripresa per l’Italia
I fondi dei canali europei
Alle risorse dedicate alla gestione dell’emergenza si sommano poi le risorse disponibili per la fase di rilancio dell’economia e della società. Sommando NextGenerationEU, linee di finanziamento dedicate per il settore sanitario, strumenti di supporto alle imprese, fondi per la lotta alla povertà e alla disoccupazione, e Horizon2020, dai canali europei (principalmente Commissione Europea e Banca Europea degli Investimenti) saranno messi a disposizione dell’Italia più di 240 miliardi per i prossimi anni.
I dati lo indicano quindi senza ombra di dubbio: saper spendere bene il grande ammontare di risorse disponibili è un aspetto sempre più cruciale per l’economia nazionale. Le risorse disponibili sono in significativa crescita, sia a seguito del Coronavirus, sia a valle di un trend ormai pluriennale di maggiori acquisti di beni e servizi gestiti dalle PA. Nelle seguenti sezioni vediamo quali siano i passi fondamentali per rendere il procurement pubblico non solo un’efficace leva per l’innovazione e la trasformazione digitale della PA e della società tutta ma anche uno strumento cruciale per il rilancio del paese.
Codice appalti, perché servono regole complete, stabili, coerenti
Sono passati oltre quattro anni da quando è stato pubblicato il nuovo Codice dei contratti pubblici. Il Codice, comprensivo del correttivo pubblicato il 20 maggio 2017, prevedeva 56 provvedimenti attuativi per essere pienamente operativo. Con il decreto Sblocca cantieri, nel 2019, 2 dei provvedimenti originariamente previsti sono stati abrogati e 10 sono stati accorpati in un unico provvedimento ancora da adottare (il cosiddetto regolamento attuativo). Complessivamente i provvedimenti attuativi da adottare sono quindi diventati 45. Di questi 45 provvedimenti attuativi:
- solo 24 sono stati adottati. Di questi:
- nessuno è stato adottato entro le scadenze previste, quando presenti;
- 11 sono stati adottati in ritardo (mediamente di 8 mesi e con punte di oltre 21 mesi);
- 12 non avevano una scadenza ma sono stati adottati oltre 15 mesi dopo l’uscita del Codice;
- 1 prevede degli aggiornamenti annuali ed è stato adottato solo per alcuni settori;
- dei 21 provvedimenti ancora da adottare:
- 11 avevano una scadenza rispetto alla quale hanno collezionato ritardi medi di quasi 4 anni;
- 10 sono senza scadenza ma non sono ancora stati adottati dopo 4,5 anni dall’uscita del Codice.
La normativa sui contratti pubblici è incompleta, instabile, frammentaria e incoerente. A oltre 4 anni dalla pubblicazione del Codice dei contratti pubblici sono stati adottati solo 24 dei 45 provvedimenti attuativi necessari a renderlo pienamente operativo. 5 dovrebbero essere adottati con urgenza.
Provvedimenti attuativi previsti dal Codice dei contratti pubblici da adottare con urgenza
Per recuperare i ritardi e rendere operativo il Codice, favorendo finalmente la collaborazione tra PA e imprese, è opportuno adottare con urgenza almeno cinque dei ventuno provvedimenti attuativi. Sono gli stessi che suggerivamo di adottare con urgenza già negli anni passati e continuano a rimanere il miglior modo per cominciare a sciogliere la difficile matassa della regolamentazione sui contratti pubblici.
- Criteri di iscrizione all’Albo delle stazioni appaltanti qualificate: la professionalizzazione e la qualificazione delle stazioni appaltanti doveva essere l’elemento più rivoluzionario e significativo della riforma, oltre che un requisito indispensabile a garantire l’applicazione non distorsiva delle nuove procedure e delle nuove modalità di individuazione dell’offerta economicamente più vantaggiosa;
- Digitalizzazione delle procedure di appalto: dal 18 ottobre 2018 è obbligatorio scambiare solo in digitale tutta la documentazione inerente le procedure di affidamento (comprese le domande di partecipazione e delle offerte) ma non è stato adottato il provvedimento che definisce le modalità di digitalizzazione delle procedure di tutti i contratti pubblici, anche attraverso l’interoperabilità delle PA;
- Documentazione da inserire nella nuova banca dati che sostituirà l’AVCpass: il superamento delle criticità manifestate dall’attuale sistema costituisce uno degli elementi chiave per garantire un’effettiva semplificazione delle procedure di gara;
- Modalità di subentro nelle convenzioni stipulate in merito al sistema AVCpass: costituisce un altro importante tassello per l’evoluzione dell’attuale sistema verso la nuova banca dati;
- Istituzione del sistema del rating di impresa: il correttivo ha modificato il sistema, rendendolo facoltativo e con funzione premiale e non più strumento obbligatorio di qualificazione; anche nella nuova veste, tuttavia, il rating di impresa, basato sulla valorizzazione di elementi reputazionali degli operatori economici, costituisce un importante elemento di promozione della qualità del sistema.
L’incompletezza è tuttavia solo uno dei problemi da risolvere. Un secondo problema riguarda l’instabilità del Codice. Le norme del D.Lgs. 50/2016 hanno subito un’enorme quantità di modifiche, anche di brevissima durata, perché spesso introdotte attraverso lo strumento del Decreto Legge. Ciò implica costi elevati in termini di tempo dedicato allo studio delle disposizioni ed incertezza sull’interpretazione e applicazione corretta delle norme modificate. Per dimostrarlo è sufficiente considerare la Figura 2, che riassume tutte le versioni legate ad aspetti chiave del sistema degli acquisti pubblici succedutesi dall’uscita del Codice.
Come mostrato in Figura 3, l’emergenza Covid-19 ha ulteriormente complicato la situazione, essendo state adottate – in particolare con il cosiddetto decreto Semplificazioni – numerose modifiche in disciplina derogatoria ed eccezionale, che introducono dei cambiamenti validi solo fino al 31 dicembre 2021. Nel frattempo, continua ad essere necessario apportare al Codice ulteriori modifiche per scongiurare i rischi di prosecuzione della procedura di infrazione n. 2273/2018. In particolare, è attualmente in discussione il Disegno di Legge Europea 2020, che però risolve solo parzialmente le contestazioni mosse dalla Commissione Europea, in particolare riguardo al subappalto.
Il risultato finale è una normativa che non è solo incompleta e instabile ma anche estremamente frammentaria e spesso incoerente. In un medesimo provvedimento (o in provvedimenti approvati a brevissima distanza) coesistono disposizioni di segno opposto, che da un lato semplificano ma dall’altro complicano, che da una parte estendono e dall’altra restringono. Anche in questo caso vi sono costi elevati in termini di tempo per l’analisi completa del quadro normativo e rischi di errore sulle norme effettivamente vigenti in un dato momento.
Riforma del Codice appalti: lo stato dell’arte
Esiste un disegno di legge di complessiva riforma del Codice[5] presentato a marzo del 2019 e tuttora giacente in Parlamento, a indicazione della scarsa volontà di coltivarne la discussione. Nel frattempo, dobbiamo fare i conti con una normativa incompleta, instabile, frammentaria e incoerente in cui, come mostrato in Figura 2, nel giro di meno di 5 anni si sono succedute dalle 5 alle 6 diverse versioni di criteri chiave come quelli relativi alla selezione dei fornitori, all’aggiudicazione dei contratti, all’esclusione della gara e alla regolamentazione degli appalti sotto soglia. Un sistema di regole di procurement di questo tipo fornisce alibi – sia all’offerta che alla domanda – ad arroccarsi su posizioni formali, utilizzando il proprio tempo a interpretare e aderire alla normativa piuttosto che a collaborare in modo fattivo.
Non stupisce che, in questo quadro regolatorio, le PA italiane fatichino a collaborare con il mondo dell’offerta, in particolare con quella che offre loro soluzioni digitali. La PA non deve limitarsi a ridistribuire in modo assistenziale le risorse a sua disposizione ma deve giocare un ruolo di sapiente regista, in grado di ingaggiare correttamente i veri attori protagonisti della trasformazione digitale italiana – cittadini e imprese – ingaggiandoli sulle grandi sfide per la collettività e facendosi garante e promotore di un processo che veda il Paese, tutto, attore protagonista di uno sviluppo economico e sociale orientato al bene comune. Per mettere a terra tutto questo potenziale, servono tuttavia chiare regole di ingaggio e collaborazione con i privati e adottare con urgenza almeno cinque dei ventuno provvedimenti attuativi del Codice.
Note
- Cioè tenendo conto anche di variazioni nei prezzi di beni e servizi. Ai prezzi 2015, abbiamo speso 85 miliardi nel 2013 e 165 nel 2019. ↑
- Elaborazione dell’Osservatorio su dati Istat. ↑
- Dati della Banca Dati Nazionale dei Contratti Pubblici (BDNCP) aggiornati a gennaio 2020. Tutti i dati fanno riferimento alle procedure di affidamento a base di gara pari o superiore a 40.000 euro “perfezionate”, per le quali cioè è stato pubblicato un bando, è stata inviata una lettera di invito, o è stata manifestata la volontà di affidare l’appalto. Sono escluse le procedure relative a: servizi finanziari ed assicurativi; bandi che non rientrano tra i contratti pubblici “classici” (ad es. affidamento diretto a società in-house, affidamento diretto a società controllate nelle concessioni di lavori pubblici); bandi relativi ad adesioni a convenzioni/accordi quadro (per evitare una duplicazione degli importi). ↑
- Questa cifra non considera le somme messe a disposizione dal decreto Liquidità, che tuttavia fornisce solo garanzie statali su linee di finanziamento private. Malgrado la cifra garantita si stimi intorno ai 400 miliardi, i fondi inizialmente accantonati a copertura di queste garanzie ammontano solo a 1 miliardo. ↑
- DDL n. 1162. ↑