I fattori che rallentano la trasformazione digitale della Pubblica Amministrazione sono tanti e sono noti: procedure di acquisto inadeguate rispetto ai fabbisogni di innovazione, personale insufficiente e/o mediamente non preparato per affrontare con adeguate competenze i progetti di cambiamento, mancanza di efficaci sistemi di incentivazione, un mercato dell’offerta modesto e molto concentrato. Ma forse il problema più urgente e che non sembra aver ancora trovato adeguata risoluzione è la grande frammentazione della macchina pubblica, che la rende del tutto incapace di mettere a sistema risorse, personale, competenze ed esperienze.
Frammentazione che è visibile anche all’interno degli stessi enti, le cui unità organizzative sono state originariamente “concepite” per agire come silos indipendenti e che faticano, quindi, a comunicare in modo sistemico per coordinare la propria azione di innovazione. Per superare questo fenomeno non esiste probabilmente un’unica ricetta ma l’interpretazione di alcuni dati relativi alla spesa ICT di Comuni e altri enti locali può essere utile per fare qualche considerazione a riguardo.
Trasformazione digitale della PA, i numeri
Secondo il recente rapporto dell’AgID, la spesa ICT nella PA italiana nel 2020 si dovrebbe attestare intorno ai 6,2 miliardi di euro. Nello stesso anno, il report evidenzia che il panel dei 73 enti che ha partecipato alla Rilevazione 2019[1] di AgID complessivamente dovrebbe aver gestito circa 2,7 miliardi di euro. Emerge, quindi, che 73 enti pubblici gestiscono quasi il 45% della spesa italiana in ICT. L’altro 55% è gestito dalle altre circa 10.000 amministrazioni, tralasciando le istituzioni scolastiche statali (circa 8.300). Inoltre, gli stessi 73 enti, nel triennio 2018-2020 hanno gestito 629 progetti ICT per un valore di circa 4 miliardi di euro, una cifra equivalente a quella disponibile sulla programmazione europea 2014-2020 sugli obiettivi tematici OT2 “migliorare l’accesso alle tecnologie digitali” e OT11 “migliorare l’efficienza della PA” che fanno riferimento diretto all’attuazione dell’agenda digitale[2].
Appare, quindi, evidente che con uno sforzo di coordinamento relativamente moderato sarebbe possibile superare le barriere poste dalla frammentazione della PA per gestire in modo coordinato e sinergico una parte rilevate della spesa ICT e una parte preponderante delle iniziative di innovazione digitale della PA italiana.
Il contesto degli enti locali
Un altro dato interessante ci viene dal rapporto 2019 dell’Osservatorio Agenda Digitale della School of Management del Politecnico di Milano che rivela un paese a due velocità. Da una parte i comuni, soprattutto di medie e grandi dimensioni, che sono in grado di affrontare in modo più strutturato il processo di innovazione e, quindi, di digitalizzare sempre di più i servizi, a volte scegliendo anche di abbandonare completamente il canale analogico. Dall’altra i comuni, in gran parte di piccole dimensioni e con maggior localizzazione al sud e nelle isole, che faticano a tenere il passo anche con gli obblighi normativi più semplici. Per colmare questo gap e superare la frammentazione territoriale della PA, un ruolo determinante potrebbero giocarlo le gestioni associate. L’edizione 2020 dell’Osservatorio Agenda Digitale ha dedicato uno spazio di ricerca su questo tema, indagando la diffusione del fenomeno e il loro impatto sulle performance digitali degli Enti pubblici.
In generale, solo il 13% degli enti locali italiani adotta una forma di gestione associata. Come mostrato in Figura 1, rispetto ad area geografica e fascia dimensionale, gli enti locali in gestioni associata sono rappresentati da comuni di piccole o medie dimensioni (tra i 5.000 e i 20.000 abitanti) concentrati soprattutto nel nord-est nel paese (41% dei comuni di questa macro-area); sono, invece, particolarmente rari nel sud (2%) e nelle isole (4%). Nella percentuale del nord-est incide in modo importante la presenza della regione Emilia-Romagna, dove quasi l’82% dei comuni gestisce il digitale in maniera associata, ma occorre notare anche il ruolo del Trentino-Alto Adige (49%) e della regione Friuli Venezia-Giulia, dove il digitale è spesso gestito in modo centralizzato tramite la in-house regionale.
Nella maggior parte dei casi, sono demandate alla gestione associata le attività di semplice coordinamento: anzitutto l’acquisto di beni e servizi digitali (63%), seguito dalla gestione dell’infrastruttura di rete (56%), dalla gestione dell’architettura hardware (54%) e dallo sviluppo e gestione di applicazioni (50%). Si trovano poi tutte le attività a supporto trasversale all’innovazione come, ad esempio, la ricerca di opportunità di finanziamento (44%), la gestione e l’ideazione di progetti di innovazione (rispettivamente 42% e 39%) e le attività di comunicazione (21%).
L’Osservatorio si è, infine, focalizzato sul capire se e come la gestione associata possa produrre dei benefici sia in termini di maturità digitale sia di gestione della spesa in soluzioni digitali. Rielaborando i dati raccolti dalla Corte dei Conti, emerge che la gestione associata consente di avere un maggior livello di digitalizzazione a fronte di una medesima o inferiore spesa pro capite annua in soluzioni digitali, nel caso dei piccoli comuni. Infatti:
- gli enti locali coinvolti in forme di gestione associata si assicurano in ogni fascia dimensionale una performance digitale migliore rispetto ai loro omologhi che non hanno collaborazioni attive;
- per i Comuni più piccoli (sotto i 5.000 abitanti) la partecipazione a forme di collaborazione inter-ente si è tradotta nel triennio 2016-2018 in una minore spesa pro-capite in digitale; in particolare, come mostrato in Figura 3:
- 8,7€ contro 9,00€ pro capite per i comuni tra i 2.000 e i 5.000 abitanti;
- 12,9€ contro 14,9€ pro capite dei comuni sotto i 2.000 abitanti.
Il potenziale della gestione associata
In molti si sono resi conto del potenziale della gestione associata, come testimoniato da alcune iniziative: (A) il recente bando della Regione Veneto che ha deciso di finanziare, con una dote di 13 milioni di euro, la strutturazione di 7 Soggetti Aggregatori per il Digitale (SAD) (B) il progetto dell’Unione delle Province d’Italia (UPI) di oltre 4 mln di euro recentemente finanziato dal Ministero della Funzione Pubblica, che sostiene il ruolo delle Province quale soggetto aggregatore per la nascita di servizi di gestione associata dell’ICT (C) il progetto Programma Italiae del Dipartimento per gli Affari Regionali e le Autonomie della Presidenza del Consiglio dei Ministri, che si pone come obiettivo esplicito quello di costituire un laboratorio permanente volto a migliorare la cooperazione operativa tra i diversi destinatari, favorendo la gestione associata delle funzioni e dei servizi. Queste sono iniziative importanti che appaiono, però, isolate e non inserite in una strategia nazionale condivisa.
Pertanto, coordinamento dell’azione di innovazione e supporto alla diffusione delle soluzioni innovative, per mezzo delle gestioni associate, sono due elementi importanti per accelerare il processo di trasformazione digitale ma che, ad oggi, non hanno ancora trovato una risposta strutturata all’interno della governance del digitale del nostro Paese. Oltre a ciò, un ulteriore aspetto fondamentale per superare le difficoltà connaturate alla frammentazione della PA è stabilire chi debba fare cosa. Questo tema può essere declinato rispetto a due prospettive.
Centralizzazione e decentralizzazione
Innanzitutto, centralizzazione vs decentralizzazione: cosa deve essere realizzato e poi eventualmente gestito a livello nazionale e cosa a livello locale? Spid, ANPR, NoiPA, l’app IO sono alcune delle piattaforme che si è deciso di realizzare e gestire in modo centralizzato. Inoltre, il Piano Triennale per l’informatica nella Pubblica Amministrazione 2020-2022 ne identifica di nuove: INAD Piattaforma del Sistema Museale Nazionale, CUP integrati, Piattaforma digitale nazionale dati (PDND). Ce ne potranno essere altre? Non solo: quale sarà il loro programma di sviluppo ed evoluzione nei prossimi anni? Prendiamo ad esempio il caso delle app pubbliche. Inserendo la parola “Comune” in google play risultano più di 200 app sviluppate da Enti locali, oltre a diverse altre app sviluppate da privati che le mettono a disposizione dei propri clienti pubblici: ha senso che esistano? E se sì, per erogare quali servizi? Con quale orizzonte temporale?
Pubblico e privato
L’altra prospettiva è Pubblico vs Privato. Cosa è strategico che il Pubblico progetti, realizzi e gestisca e cosa ha invece più senso che venga fatto dal Privato? Anche su questo tema non c’è ancora una strategia definita e condivisa. Basti pensare al dibattito che proprio un anno fa si è creato intorno a Spid e alla possibilità che fosse il Pubblico a rilasciare le credenziali invece del Privato, com’è ancora oggi.
Stabilire “chi debba fare cosa” è indispensabile per indirizzare correttamente gli investimenti in innovazione digitale non solo del settore pubblico ma anche e soprattutto di quello privato. È proprio per la sua rilevanza che l’Osservatorio Agenda Digitale ha inserito questa tema all’interno delle ricerche che affronterà nel 2021.
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Note
- 24 PAC, 21 Regioni e Province Autonome, 14 Città Metropolitane e 14 Comuni capoluogo di Città Metropolitane ↑
- Occorre tenere in considerazione che le risorse sull’OT2 e sull’OT11 non sono le uniche disponibili per attuare l’agenda digitale. Le politiche di digitalizzazione sono infatti trasversali e trovano applicazione anche in altri OT. ↑