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Ecco il Comitato interministeriale per la transizione digitale, a cosa servirà

Tra le novità del prossimo decreto legge che riorganizza i ministeri spunta un comitato per la transizione digitale e un ministero omonimo, entrambi sotto Vittorio Colao. C’è proprio tanto bisogno di coordinamento politico per sbloccare il Paese: ecco perché

Pubblicato il 25 Feb 2021

Gianpiero Ruggiero

Esperto in valutazione e processi di innovazione del CNR

vittorio colao

Ultimata la composizione del governo, con le nomine dei sottosegretari, è stato approvato dal Consiglio dei ministri il decreto destinato a istituire il Ministero per la transizione ecologica, quello del Turismo e quello della Transizione Digitale, che nasce come filiazione del Dipartimento dell’Innovazione e della Digitalizzazione,

Il ministero per la Transizione digitale

Per quest’ultimo, nel suo discorso al Senato, il Presidente del Consiglio ha ribadito l’intenzione di rivedere il PNRR per rafforzare le misure a favore della digitalizzazione, banda larga e reti di comunicazione 5G. Relativamente alle infrastrutture e alla tutela del territorio, inoltre, bisognerà “incoraggiare l’utilizzo di tecniche predittive basate sui più recenti sviluppi in tema di Intelligenza artificiale e tecnologie digitali” – ha dichiarato Draghi.

Occorrerà vedere nei prossimi giorni quale ruolo assegnare al nuovo Ministero per la transizione digitale, quali deleghe riceverà Colao e quali saranno le prime misure assunte. Intanto come capo di gabinetto è stato scelto Stefano Firpo, richiamato al governo dopo l’esperienza al Mise, che l’ha visto occuparsi tra l’altro del piano Industria 4.0. Una nomina giudicata con favore dalle imprese, visto come un segnale per puntare su innovazione tecnologica e trasformazione digitale.

Nasce il Comitato interministeriale per la transizione digitale

Di certo Vittorio Colao dovrà giocare di sponda con tanti suoi colleghi, perché la digitalizzazione è un tema strategico trasversale tra diversi settori. Occorrerà una forte capacità di coordinarsi. Come è stato detto,    il digitale non è un settore, ma l’ecosistema in cui si deve muovere tutta la politica. Per questo lo staff di Draghi ha già in mente la soluzione ed è già al lavoro per istituire il Comitato interministeriale per la transizione digitale. Un luogo strategico, che dovrà garantire velocità di esecuzione e trasversalità dei progetti.

Il ministro del futuro: così Colao può aiutare l’Italia

La connettività tra i punti chiave della transizione digitale

Una delle prime mosse sarà quella delle connessioni veloci e delle infrastrutture per la banda ultralarga. Per capire il perché la “quinta generazione” di sistemi di telecomunicazione, o 5G, è parte integrante degli sforzi di digitalizzazione e come il suo lancio sarà uno degli elementi costitutivi più critici dell’economia e della società digitali europee nel prossimo decennio, basta leggere lo studio condotto dalla Banca europea per gli investimenti e della Commissione europea.

Lo studio ha esaminato le proprietà trasformative di questa tecnologia e formulato una serie di raccomandazioni per migliorare l’accesso ai finanziamenti per le imprese che intendono abbracciare questa nuova tecnologia.

Già dalle primissime ore dal suo insediamento, Colao ha avuto incontro con gli amministratori dei principali operatori del settore (Tim, Vodafone, Wind, Sky, Fastweb, Open Fiber), con i quali ha condiviso la volontà di spendere bene e velocemente le risorse del Recovery Plan, al di là della cifra finale che verrà assegnata al capitolo digitale. Sul PNRR, va ricordato, c’è un obbligo giuridico di spendere il 20% delle risorse sulla digitalizzazione. Una cifra che si aggira sui 45 miliardi di euro. Una somma enorme, mai sentita prima in Italia per il settore.

I punti chiave trattati, con ogni probabilità, sono state le misure da attuare in tempi brevi: la banda larga, per cui si prevede lo sblocco del bando di gara per la fibra nelle “aree grigie”; il voucher pc per le famiglie, per cui si prevede un’estensione della platea dei beneficiari, grazie alla revisione dei criteri dell’Isee, nonché una revisione sulla procedura per l’assegnazione del bonus, con le compagnie telefoniche chiamate a fornire apparecchiature più performanti in termini di velocità di connessione e specifiche tecniche dei pc.

Più complesse le misure di lungo periodo, con in cima il nodo delle infrastrutture. Vedremo se sarà lo Stato a farsi carico di determinati costi di realizzazione, annoverando le spese come debito pubblico “buono”.  Nelle infrastrutture rientra anche il tema della rete unica, con la partita in corso tra Tim e Open Fiber, al momento tutta giocata per individuare i nuovi assetti societari.

Ammodernamento della PA in chiave digitale

Un altro tema chiave riguarda il cablaggio delle scuole, degli edifici pubblici, degli ospedali e delle amministrazioni locali, per facilitare il passaggio a servizi full digital e allo smart working.

Un’azione strategica che si inserisce nel quadro più complessivo dell’ammodernamento in chiave digitale della pubblica amministrazione. I dati, purtroppo, non sono incoraggianti. Sul lato dell’offerta, cioè di quello che lo Stato e le PA mettono a disposizione dei cittadini, siamo al 18esimo posto in Europa. Sono stati fatti molti investimenti, ancora di più se pensiamo ai cambiamenti organizzativi, con una successione impressionante di responsabili e ciò nonostante, come ha sancito la Corte dei Conti, i risultati finora sono stati modesti e insoddisfacenti.

Il cambiamento, tanto atteso, non si è realizzato, fagocitato dalla sovrapposizione di una burocrazia vecchia e analogica su quella nascente digitale. È un errore banale ma molto ricorrente. Non sarà facile, ma occorrerà cambiare radicalmente i processi, garantendo adeguate risorse economiche e culturali. Da questo punto di vista, l’impianto del PNRR dovrebbe garantire una piattaforma di partenza. Sul lato della domanda, siamo fortemente sotto la media europea per l’utilizzo da parte dei cittadini di servizi digitali. Occorrerà perciò lavorare anche su questo fronte, per aumentare la capacità dei cittadini di interagire con la PA.

Il Comitato interministeriale per la transizione digitale

Qualche prospettiva arriva dal nuovo Comitato interministeriale per la transizione digitale (CITD), istituito presso la Presidenza del Consiglio dei ministri con il decreto legge, approvato dal Consiglio dei ministri nella riunione del 26 febbraio.

Nell’ambito del Comitato “saranno assunte le decisioni strategiche necessarie a garantire la coerente e puntuale declinazione della strategia nazionale per la transizione digitale”.

In particolare “il coordinamento e il monitoraggio dell’attuazione delle iniziative di innovazione tecnologica e transizione digitale delle pubbliche amministrazioni competenti in via ordinaria”.

Il Comitato si occuperà, nello specifico, del coordinamento di alcune materie, monitorando l’attuazione delle iniziative relative alla strategia nazionale italiana per la banda ultralarga, alle reti di comunicazione elettronica satellitari, terrestri (mobili e fisse); al fascicolo sanitario elettronico e alla piattaforma dati sanitari; alle iniziative per lo sviluppo e la diffusione delle tecnologie emergenti dell’intelligenza artificiale, dell’internet delle cose (IoT) e della blockchain.

Quando saranno trattate materie che interessano gli enti territoriali, alle riunioni del CITD potranno partecipare il presidente della Conferenza delle regioni e, per i rispettivi ambiti di competenza, il presidente dell’Associazione nazionale dei comuni italiani (ANCI) e il presidente dell’Unione delle province d’Italia (UPI).

Il nuovo Comitato sarà composto, oltre che dal ministro per l’innovazione tecnologica e la transizione digitale, da altri 8 ministri o da un loro delegato (dell’economia, della Funzione pubblica, per il Sud, della transizione ecologica, dello sviluppo economico, della cultura, delle infrastrutture e della mobilità sostenibili e della salute).

Senza alcun intento si sovrapporsi alle ordinarie competenze delle PA, il Comitato si dovrà occupare:

  • esaminare le linee strategiche, le attività e dei progetti di innovazione tecnologica e transizione digitale di ciascuna amministrazione, anche per valorizzarli e metterli in connessione tra loro in modo da realizzare efficaci azioni sinergiche;
  • esaminare le modalità esecutive più idonee a realizzare i progetti da avviare o già avviati;
  • monitorare le azioni e i progetti in corso, verificandone lo stato di attuazione e, se del caso, individuare eventuali disfunzioni o criticità per elaborare possibili soluzioni e iniziative.

D’altronde a un ministero senza portafoglio non si può chiedere di più. La responsabilità attuativa delle politiche resta in capo a ciascun dicastero, chiamato da domani a una gestione più collegiale dell’agenda digitale del governo, sotto la “regia” di colui che trasversalmente è stato incaricato di orchestrare la svolta.

Componenti del Comitato

Il Comitato si avvarrà di una segreteria tecnica amministrativa, “con funzioni di supporto e collaborazione per la preparazione e lo svolgimento dei lavori e per il compimento delle attività di attuazione delle deliberazioni del Comitato”.

Un contingente di 60 professionisti: 25 unità di personale non dirigenziale provenienti dalle amministrazioni pubbliche[1], 35 esperti[2] non appartenenti alla pubblica amministrazione “in possesso di specifica ed elevata competenza nello studio, supporto, sviluppo e gestione di processi di trasformazione tecnologica e digitale”.

A copertura degli oneri e dei compensi il governo ha stanziato 2,2 milioni per quest’anno e 3,2 milioni per il 2022. Il decreto approvato prevede anche un incremento di 15 unità del contingente attualmente operativo presso la Presidenza del Consiglio per lo svolgimento di funzioni in materia di innovazione tecnologica e attuazione dell’Agenda digitale.

Conclusioni

Per comprendere l’entità della sfida che attende Colao e l’ordine della scalata che un Paese come il nostro è chiamato a fare, occorre porsi alcune domande. Siamo un’economia manifatturiera tra le più forti in Europa, siamo componenti del G7, ma quanto ci possiamo permettere di essere ancora al 25° posto in Europa per quanto riguarda la digitalizzazione?

E, soprattutto, per quanto ancora saremo l’ultima nazione europea per quanto riguarda le competenze digitali? Cosa deve cambiare per invertire la tendenza e iniziare a risalire le classifiche?

Sappiamo che l’arretratezza di cui l’Italia oggi soffre, rispetto agli altri paesi, è una zavorra pesante sulla strada del rilancio. Dalle risposte a queste domande dipenderà il successo delle misure da attuare. La battuta che spesso i politici erano abituati a ripetere, che il digitale non portava voti, oggi non è più pronunciabile. Non sarà più vero, perché sul digitale si gioca il futuro dei nostri giovani e soprattutto perché sul digitale ci sono ingenti risorse per innovare il paese.

Utilizzare al meglio le risorse è un imperativo categorico. Il programma deve partire subito ed essere contemporaneamente di breve e di lungo periodo. Difficilmente si possono immaginare circostanze e momenti, come quello attuale, che sarebbero più urgenti per dimostrare la necessità di una digitalizzazione continua e accelerata.

[1] Il personale sarà collocato in posizione di fuori ruolo, comando o altra analoga posizione, prevista dagli ordinamenti di appartenenza, proveniente da pubbliche amministrazioni di cui all’articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, con esclusione del personale docente, educativo, amministrativo e tecnico ausiliario delle istituzioni scolastiche.

[2] Per gli esperti esterni la nomina avverrà sensi dell’articolo 9 del decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 303.

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