L’economia corre più velocemente di chi la regola? Forse. Il fenomeno delle labour platforms[1] – piattaforme virtuali dove l’incontro tra prestatori di lavoro e soggetti interessati a un determinato servizio è diretto, senza intermediazione alcuna – si è particolarmente diffuso negli ultimi anni perché permette l’abbattimento di tempistiche e costi di transizione garantendo al tempo stesso un maggior grado di autonomia a chi presta il servizio, dato che può decidere se e quando prendere l’incarico.
In ragione di questa rivoluzione digitale del lavoro è sorto contemporaneamente alla diffusione del fenomeno il tema della classificazione dei lavoratori di queste piattaforme che, se è vero che operano senza obbligo di disponibilità, è altrettanto vero che lavorano sostanzialmente inseriti nell’organizzazione del committente, senza assunzione di rischi tipici del lavoro autonomo e almeno in parte eterodiretti. La loro condizione, quindi, appare molto simile a quella di un lavoratore subordinato, ma è discusso che l’attuale legislazione italiana ed europea permetta di inquadrarli in questo modo.
Non è questione di algoritmi (soltanto)
Per quanto molte imprese proprietarie delle piattaforme abbiano cercato di negare l’esistenza di un rapporto di lavoro con i gig worker nascondendosi dietro alla presenza di un algoritmo, viene da chiedersi: nel caso in cui a una qualsiasi persona – che svolga attività lavorativa per conto di un’impresa (anche in forma autonoma) – venga assegnato un telefono aziendale, questo è sempre possibile? La risposta è naturalmente sì, è possibile e senza violazione di alcuna norma o diritto. E ancora: è possibile analizzare utilizzo, spostamenti, rendimento giornaliero del lavoratore tramite il suddetto telefono? Beh, la risposta è sì, questo è in pratica possibile, ma non senza conseguenze.
I rider vanno assunti? Quale contratto, tra indagini e decreti
Allora diventa semplice trarre le conclusioni: come si può pensare che un algoritmo o un qualsiasi altro dispositivo digitale, non debbano essere utilizzati secondo quanto prevede la legge? Per quanto si tratti di nuove tecnologie o fenomeni?
I nuovi fenomeni, gig worker e piattaforme in primis, non sono esenti dall’applicazione delle leggi in materia di privacy e diritto del lavoro e anche chi programma l’algoritmo dovrebbe in ogni caso farci i conti, così come gli imprenditori che vogliano utilizzarle.
Il contenzioso giuslavoristico scatenato dai rider, per quanto meritevole di tutela, è una “trave nell’occhio”: i diritti dei rider sono solo la punta dell’iceberg in confronto al pericolo di abusi per mezzo delle nuove, non disciplinate e sconosciute tecnologie (soprattutto per molti Giudici). Quando il linguaggio di programmazione entrerà nel nostro vocabolario, riconoscere un algoritmo illecito sarà come riconoscere un rapinatore con il passamontagna che scappa da un edificio con l’allarme che suona. Ma per il momento non è così. Dunque, non è solo una questione di diritti dei rider è questione di imparare a comprendere la tecnologia, gli algoritmi e tutto ciò che ci governerà nel prossimo futuro e soprattutto i loro programmatori (molto spesso privi di qualsiasi sensibilità giuridica). Si tratta di rendere identificabili i soggetti che agiscono e intervenire per evitare che l’ignoranza sulle nuove tecnologie permetta il perdurare di fenomeni evidentemente, per un occhio esperto, illeciti.
Restano evidentemente fermi del tutto i divieti posti a tutela dei lavoratori anche quando si opera tramite una nuova tecnologia e nell’ambito di un nuovo fenomeno.[2]
Per fare un esame corretto anche delle norme effettivamente applicabili, nonché comprendere come la battaglia dei rider sia solo la punta di un iceberg, passiamo in rassegna concetti chiave e pronunce sul tema.
Gig economy, perché si chiama così
Origini del termine[3]: il termine “gig” nasce nel mondo della musica jazz degli anni 1920 col significato di “serata, esibizione, ingaggio”; da lì ha assunto il significato generico di “lavoretto” e si è unita al termine economy intorno al 2009, durante la più recente crisi finanziaria globale che ha visto la nascita del fenomeno.
Non ci sono dati precisi sul numero di lavoratori coinvolti nella Gig economy, ma il modello sta prendendo sempre più piede a livello mondiale[4]. Le aziende della Gig economy affermano che si tratta di un modello vincente perché il lavoro on demand funziona per chi non vuole o non può impiegarsi a tempo pieno. Il confine tra lavoro autonomo e subordinato è negli ultimi anni oggetto di dibattito in dottrina e giurisprudenza.
La natura del rapporto di lavoro
Qualcuno si è chiesto se siamo davanti a un nuovo e diverso modo di lavorare[5] oppure se c’è di più. Si tratta effettivamente di una delle più complesse rivoluzioni socioculturali, ma gli impianti normativi possono assolutamente reggere anche questa prova.
Qualificare la natura del rapporto di lavoro è sicuramente un esercizio complesso in Italia di questi tempi, principalmente per la rottura con l’idea del passato (ossia l’impostazione fordista del lavoro) e la normativa stessa, infatti:
- in primo luogo, manca nel nostro ordinamento una definizione di “lavoro subordinato”. Il Codice civile, infatti, si limita a definire il prestatore di lavoro subordinato (“chi si obbliga mediante retribuzione a collaborare nell’impresa, prestando il proprio lavoro intellettuale alle dipendenze e sotto la direzione dell’imprenditore”, art. 2094 c.c.) e il lavoratore autonomo (il soggetto che compie “verso un corrispettivo un’opera o un servizio, con il lavoro prevalentemente proprio e senza vincolo di subordinazione nei confronti del committente”, art. 2222 c.c.);
- in secondo luogo, le parti non possono disporre degli effetti del contratto: se un rapporto di lavoro è, di fatto, subordinato, verranno applicate le relative tutele al prestatore di lavoro, indipendentemente da quanto stabilito formalmente dalle parti (c.d. principio dell’indisponibilità del tipo) (cfr. Corte Cost. 31 marzo 1994, n. 115);
- infine, tranne rare eccezioni, non esistono attività che possono essere svolte solo in forma autonoma o solo in forma subordinata. Tendenzialmente, infatti, “qualsiasi attività lavorativa può essere svolta, in astratto, in regime di autonomia o di subordinazione” (Cass. 5 aprile 2006, n. 7966; si veda in tal senso anche Cass. 23 ottobre 2001, n. 13018).
Gli indici sintomatici e sussidiari della subordinazione
Vista la difficoltà generale, la giurisprudenza negli anni si è avvalsa di indici sintomatici e sussidiari della subordinazione. I giudici, partendo dal principio dell’art. 1362, comma 2, c.c., secondo cui “per determinare la comune intenzione delle parti, si deve valutare il loro comportamento complessivo anche posteriore alla conclusione del contratto“, hanno col tempo individuato i cosiddetti indici sintomatici della subordinazione. Secondo la giurisprudenza di legittimità, infatti, “l’esistenza del vincolo della subordinazione va concretamente apprezzata dal Giudice di merito con riguardo alla specificità dell’incarico conferito al lavoratore e al modo della sua attuazione” (Cass. 17 aprile 2009, n. 9256)
Il principale di questi indici è rinvenibile, secondo l’orientamento maggioritario, nell’assoggettamento del lavoratore al potere direttivo del datore di lavoro, che si traduce nella presenza del potere datoriale: gerarchico, organizzativo e disciplinare (Cass. 2 gennaio 2018, n. 1, Cass. 25 marzo 2009, n. 7260, Cass. 9 giugno 1994, n. 5590, Cass. 14 ottobre 1980, n. 5524).
Raramente, tuttavia, l’eterodirezione si manifesta in modo conclamato, perciò la giurisprudenza è solita servirsi di indici sussidiari, che permettono all’interprete di completare la fattispecie della subordinazione attraverso una serie di circostanze fattuali globalmente valutate.
Due dei principali criteri sussidiari[6] sono stati individuati dalla Corte costituzionale, la quale ha stabilito che la subordinazione comporta “l’incorporazione della prestazione di lavoro in una organizzazione produttiva sulla quale il lavoratore non ha alcun potere di controllo, essendo costituita per uno scopo in ordine al quale egli non ha alcun interesse (individuale) giuridicamente tutelato” (Corte Cost. 12 febbraio 1996, n. 30).
Dunque, qualora ricorrano gli indici sopra illustrati si avrà subordinazione, per questo possiamo ipotizzare che sia una partita in molti casi vinta in partenza e che per tale ragione molti Sindacati abbiamo avuto interesse di immolarsi nella battaglia per i diritti.
Il CCNL Rider
Ma vi è di più: alcuni sindacati datoriali si sono fatti parte attività in Italia per cercare di trovare la soluzione definitiva al problema.
A tale proposito lo scorso 3 novembre è nato il CCNL Rider[7], un accordo innovativo volto a tutelare i lavoratori del settore che operano come autonomi nell’industria italiana del food delivery. Un contratto stipulato tra il sindacato UGL (Unione Generale del Lavoro) e AssoDelivery, associazione che rappresenta l’industria italiana del food delivery. In tal senso, l’UGL ha costituito un’organizzazione rappresentativa e unitaria del settore, denominata “UGL Rider”.
Il CCNL Rider è il primo contratto in Europa che prevede diritti e tutele nell’ambito del lavoro autonomo, tra cui: compensi minimi e indennità integrative per condizioni particolari di lavoro, un sistema di incentivi nelle città in cui il delivery è di recente introduzione e premi dopo un certo numero di consegne, fornitura gratuita di dotazioni di sicurezza, obbligo di formazione specifica e di coperture assicurative, sia contro gli infortuni sia per danni a terzi. un cambiamento epocale perché per la prima volta un’organizzazione datoriale riconosce i diritti sindacali ai lavoratori autonomi.
L’attenzione come detto inizialmente è eccessivamente posta sui diritti dei lavoratori, che per quanto possano avere ragione da vendere tolgono visibilità alla vera questione sottesa: quella dell’ignoranza del mondo sul funzionamento delle nuove tecnologie.
Il mondo ha conosciuto le sue ere più buie quando l’ignoranza di molti e la conoscenza di pochi erano la regola. Dunque, a parere di chi scrive, l’assenza di diritti per i rider è solo un sintomo dell’analfabetismo digitale, e di tutte le sue conseguenze
La giurisprudenza italiana e l’inchiesta della procura di Milano
Sulla base dei rilievi trasmessi dalla Procura[8], il Nucleo di polizia economico-finanziaria della Guardia di Finanza ha aperto un’indagine fiscale contro i cosiddetti “caporali digitali”, per verificare l’esistenza di una stabile organizzazione occulta finalizzata all’elusione della normativa fiscale, analogamente a quanto rilevato dal Tribunale Milano, con decreto del 27 maggio 2020, nei confronti di Uber Italy, già commissariata per i reati di sfruttamento del lavoro ed intermediazione illecita.
Dai dettagli che emergono dalle carte, per incrementare i profitti, derivanti da un maggior numero di consegne, le compagnie hanno creato un sistema di ranking, parametrato sulla quantità di ordini effettuati e sul tempo di consegna, creando così un vero e proprio clima di terrore tra i rider, visto il rischio di perdere opportunità di lavoro in caso di mancato raggiungimento degli standard di efficienza richiesti. L’incremento del numero dei soggetti coinvolti in questo business e del numero degli ordini effettuati e la contestuale crisi economica e perdita di posti di lavoro dovuta alla pandemia hanno spinto ancor più all’estremo questa situazione già esistente, inducendo i rider a turni massacranti. Da qui il maggior numero di incidenti e l’apertura dell’indagine. La battaglia dei Gig si gioca su più fronti, anche quello penale.
Ma a nessuno è venuto in mente che ignorantia legis non excusat? Chi ha programmato l’algoritmo? Chi ha dato l’istruzione di impostarlo per una o altre finalità? Chi elaborava, consultava analizzava i dati e poi ne stabiliva strategie commerciali o di lavoro?
Una panoramica internazionale
Ma cosa accade in Inghilterra e in Europa[9]?
La Corte Suprema britannica ha respinto l’appello promosso da Uber contro la pronuncia di primo grado del Tribunale del Lavoro del distretto “Central London” che qualificava il rapporto di lavoro intercorrente tra i tassisti ricorrenti e la compagnia in termini di “lavoro dipendente”, riconoscendone il diritto alle ferie, alla malattia e al salario minimo. Nel rigettare i motivi evidenziati da Uber (che a suo dire agisce esclusivamente come agente-fornitore di un servizio di prenotazione e pagamento mentre i singoli conducenti che adoperano la app sarebbero “operatori indipendenti” che stipulano autonomamente contratti di trasporto con i clienti rispetto ai quali Uber è del tutto esterna) la Corte ha sottolineato come la definizione di cui alla sezione 230, par. 3 Employment Rights Act/1996, secondo cui è lavoratore dipendente “chiunque sia assunto con un contratto di lavoro” debba essere estesa anche ad alcuni lavoratori autonomi, ovvero a quegli individui che lavorano con un contratto in base al quale “il soggetto si impegna a compiere o eseguire personalmente un lavoro o un servizio per la controparte contrattuale, che non è qualificata sulla base del contratto come cliente, consumatore, professionista o impresa esercitata in forma individuale dalla persona fisica”[10].
La consultazione Ue
Pochi giorni dopo una sentenza storica contro Uber da parte della corte suprema del Regno Unito, secondo la quale i dipendenti dell’app sono lavoratori piuttosto che lavoratori autonomi, la Commissione europea ha avviato una consultazione sull’opportunità di garantire ai lavoratori della Gig Economy gli stessi diritti occupazionali di quelli del personale in forme di occupazione più sicure, compresa la possibilità di contrattare per salari e condizioni di lavoro come parte di un collettivo. In continuità con il programma di lavoro definito il 29 gennaio 2020, con cui ha presentato proposte per promuovere e sostenere la transizione digitale.
Annunciando la consultazione, l’organo esecutivo dell’UE ha individuato una serie di settori in cui ha affermato che è necessario un miglioramento dei diritti dei lavoratori, tra cui la condizione occupazionale dei c.d. Gig worker, la loro capacità di impegnarsi nella contrattazione collettiva e il loro accesso a benefici sociali.
La consultazione durerà sei settimane ed è l’inizio di un processo che probabilmente si concluderà entro la fine dell’anno con proposte legislative, e la seconda parte della consultazione esaminerà come attuare le possibili nuove leggi. La pandemia ha potenziato i modelli di business delle piattaforme e ha reso ancora più imperativo esaminare le loro condizioni di lavoro e riscrivere il paradigma giuslavoristico.
Ancora una volta nessuno risponde che l’apparato normativo e giuslavoristico millenario degli stati democratici ha in sé ogni caratteristica per trovare applicazione anche per i gig workers. L’effettivo atteggiarsi del rapporto parla da solo e caso per caso può svelare la natura del rapporto. Inutile parlare di nuovi diritti, si deve parlare di violazioni e condotte degli operatori.
Restando in Europa notiamo che la tendenza è più o meno la medesima, i rider pressano su più fronti anche su quello legale, in tutti gli stati membri.
Olanda e Francia
Su ricorso del sindacato olandese FNV, il Giudice distrettuale di Amsterdam ha riconosciuto la natura subordinata del rapporto di lavoro dei rider impiegati dalla piattaforma Deliveroo, per effetto di una valutazione all’esito della quale “il rapporto di dipendenza tra rider e azienda risulta di gran lunga prevalente rispetto ai profili di autonomia con cui viene ad essere materialmente resa la prestazione”(Tribunale di Amsterdam – 15 gennaio 2019: FNV (Dutch Trade Union Confederation) c. Deliveroo)[11].
In Francia la lotta dei rider è stata indirettamente esaminata dalla Corte, che ha analizzato più da vicino le caratteristiche della parte “datoriale”/”imprenditoriale”[12] escludendo le piattaforme dal novero dei soggetti a cui si applicano determinati obblighi in materia di lavoro. Infatti, con decisione del 12 novembre 2020 la Cour de Cassation ha stabilito che una piattaforma digitale autonoma, quando non gestita da società interinali, la quale metta in contatto la domanda e l’offerta di lavoro è regolata dalle norme applicabili alle piattaforme digitali e non da quelle sulle società interinali. La società convenuta è stata assolta dall’accusa di operare illegalmente, escludendo così implicitamente ogni ipotesi di palese frode ai danni della legge. Un altro fronte su cui hanno cercato di far presa i rider parigini.
Usa
Molto diversa invece l’interpretazione del fenomeno gig oltreoceano, che ritiene i lavoratori soggetti autonomi, ma nessun cenno al problema sotteso.
I cittadini della California si sono pronunciati in senso favorevole al quesito referendario promosso da Uber e Lyft contro la legge, approvata in agosto dallo Stato della California, che qualificava i conducenti impiegati dalle compagnie come “lavoratori dipendenti”. Con l’approvazione della cosiddetta Proposition 22, il cui testo rappresenta comunque un punto di mediazione, visto il riconoscimento di alcune tutele, seppur minime (salario minimo garantito, contribuzione su assicurazione sanitaria e altre forme assicurative parametrato sulle ore di lavoro effettive), i lavoratori della gig economy vengono dunque considerati “contractors”, ovvero lavoratori autonomi.
Qui si nota un’interpretazione del fenomeno in linea con il modello di lavoro e si nota pertanto come la diversa coscienza sociale e scala di valori possa influenzare le decisioni legislative ed interpretative sul punto.
Canada
Mentre in Canada finalmente, sulla base di un’impostazione più europea, fa capolino la questione: viene data rilevanza all’effettivo atteggiarsi del rapporto fra le parti e in particolare le forme di controllo delle prestazioni sui rider divengono indici di non autonomia.
L’Ontario Labour Relations Board, in particolare, ha deciso la causa Canadian Union of Postal Workers vs Foodora Inc. d.b.a. Foodora. La questione è relativa alla tutela dei lavoratori della nota azienda di delivery food, soprattutto per quel che concerne la tracciabilità di percorsi e tempi di consegna attraverso sistemi di tracciamento GPS. L’analisi delle modalità di tracciamento dei dati personali dei contrattisti comporta alcune conseguenze, non soltanto in termini di tutela della privacy[13], ma in materia di qualificazione del loro status di lavoratori dipendenti ovvero autonomi. Lo scopo esplicito dell’uso di siffatti dispositivi è emerso essere quello di “promuovere un buon comportamento di guida” nonché di localizzare il lavoratore per questioni di sicurezza. In altri termini, i dispositivi GPS utilizzati da Foodora sui suoi corrieri esercitano un controllo equiparabile a quello di un imprenditore sui propri lavoratori dipendenti e pertanto come tali vanno considerati.[14]
Conclusioni
Smart o gig, rider, ciclofattorini o comunque siano chiamati sono il sintomo del nuovo medioevo che avanza.
“Può forse un cieco guidare un altro cieco? Non cadranno tutti e due in un fosso? Un discepolo non è più del maestro, ma ognuno, che sia ben preparato, sarà come il suo maestro”.
Non vi è dubbio che le norme vigenti nel nostro ordinamento siano applicabili a quello che viene chiamato “un nuovo fenomeno”, solo perché l’esecuzione del lavoro avviene attraverso una tecnologia non immediatamente comprensibile ai più, come non vi è dubbio che l’analfabetismo digitale ci sta rendendo incapaci di distinguere le fattispecie. L’urgenza di una cultura e conoscenza del digitale è quanto mai cruciale.
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NOTE
- https://www.studiolegale.leggiditalia.it/#id=10QT0000200631, di Umberto Villa – Junior Associate – Gattai Minoli Agostinelli Partners tratte da un articolo del 5.9.2018perlegg d’Italia. ↑
- Ad esempio, il divieto di indagini sui lavoratori teso a preservare la dignità degli stessi continua a sussistere e assume solo una nuova forma quella del tracciamento, ascolto, geolocalizzazione etc. dei lavoratori. Il problema sta nell’imparare a conoscere per riconoscere, come sempre sta nell’educazione e cultura. Le questioni sono state mal poste davanti ai Giudici di tutto il mondo, frutto di istanze pragmatiche di poveri lavoratori squattrinati, ma il tema centrale è solo uno: possono le imprese con la scusa che “di un algoritmo poco si sa e pochi ne sanno” eludere le più elementari leggi in materia di lavoro? E non solo. ↑
- Definizione di : https://dizionaripiu.zanichelli.it/cultura-e-attualita/wordwatch/gig-economy/ ↑
- spinto vuoi dal declino del “posto fisso”, vuoi dall’avvento di una cultura in cui tutto è a portata di app. Chiaramente non c’è niente di nuovo in un’economia basata sul lavoro occasionale: è l’uso delle piattaforme digitali a renderlo un fenomeno dei nostri tempi ↑
- Cass., sez. lav., 24 gennaio 2020, n. 1663 – Caso “Foodora” Il rapporto di lavoro dei cosiddetti “rider” addetti al food delivery è inquadrabile nell’ambito delle collaborazioni etero-organizzate di cui all’art. 2 d.lgs. n. 81/2015 che non costituiscono un “tertium genus” intermedio tra la subordinazione e il lavoro autonomo, ma una fattispecie alla quale, al verificarsi delle caratteristiche individuate dallo stesso art. 2 citato, la legge, in un’ottica rimediale, ricollega imperativamente l’applicazione integrale della disciplina della subordinazione, al fine di tutelare prestatori ritenuti in condizione di debolezza economica e, quindi, meritevoli della stessa protezione di cui gode il lavoratore subordinato. ↑
- Da ciò si evincono due tratti caratterizzanti del lavoro subordinato: (i) l’assenza di rischio per il lavoratore subordinato. Il lavoratore riceve la retribuzione indipendentemente dai risultati conseguiti dall’impresa, dai relativi costi o da fatti sopravvenuti in grado sospendere la prestazione lavorativa, come malattia o infortunio. Il lavoratore subordinato, pertanto, non concorre al rischio d’impresa, che è assunto solo dal datore di lavoro (Cass. 13 maggio 2004, n. 9151). Ciò non è messo in discussione nemmeno quando il lavoratore riceve una retribuzione c.d. “variabile”, dipendente dai risultati individuali e d’impresa, perché, in ogni caso, ha diritto al minimo garantito dall’art. 36 della Costituzione (Cass. 4 settembre 2003, n. 12926); (ii) l’inserimento del lavoratore subordinato nell’organizzazione dell’imprenditore anche da un punto di vista fisico, dato che opera nei locali aziendali. Tuttavia, esistono rapporti di lavoro che non si svolgono all’interno delle strutture aziendali e sono senza dubbio subordinati. Per questa ragione, l’inserimento del lavoratore in azienda viene generalmente considerato solo come un indice sussidiario e non essenziale della subordinazione (R. Del Punta, Diritto del lavoro, 2016; Cass. 5 ottobre 2007, n. 20902; Cass. sez. un., 30 giugno 1999, n. 379).Gli altri criteri sussidiari individuati dalla giurisprudenza nel tempo sono stati: (iii) la continuità delle prestazioni, (iv) l’osservanza di un orario predeterminato, (v) il versamento a cadenze fisse di una retribuzione prestabilita, (vi) l’utilizzo di strumenti di lavoro di proprietà dell’azienda e (vii) l’esclusività dell’impegno lavorativo (Cass. 4 marzo 2015, n. 4346, Cass. 24 febbraio 2006, n. 4171; Cass. sez. un. 30 giugno 1999, n. 379). ↑
- https://www.lavorodirittieuropa.it/dottrina/lavori-atipici/615-ccnl-rider-primo-contratto-collettivo-in-europa-per-tutelare-la-categoria ↑
- Note di dott. Lorenzo Pierini – collaboratore per The Legal Match, Firenze https://www.thelegalmatch.it/ ↑
- Note di dott. Lorenzo Pierini – collaboratore per The Legal Match, Firenze https://www.thelegalmatch.it/ ↑
- A fondamento di questa statuizione, la Corte Inglese ha evidenziato cinque elementi rilevanti: Il prezzo del contratto di trasporto viene determinato esclusivamente da Uber, senza che il singolo conducente abbia alcuna voce in capitolo; anche i termini del contratto di trasporto sono fissati direttamente da Uber e non possono in alcun modo essere modificati dal singolo conducente; La “scelta” del conducente se accettare o rifiutare l’esecuzione del servizio è condizionata dalla penale posta da Uber a carico degli autisti che abbiano rifiutato un certo numero di richieste; Uber esercita una forma di controllo indiretto ma assai pervasivo sulle modalità di esecuzione della prestazione, prevedendo un sistema di rating per i conducenti e una valutazione media al di sotto della quale il conducente riceve alcuni avvisi fino all’interruzione del rapporto, in caso di mancato miglioramento della stessa; Le comunicazioni tra conducente e passeggero sono limitate alle sole informazioni indispensabili per la corretta esecuzione del servizio. ↑
- In particolare, gli elementi di cui il giudice olandese ha tenuto conto sono: L’assenza di alcuno spazio di autonomia contrattuale nel rapporto tra rider e azienda; La limitata autonomia dei rider per effetto del programma di lavoro imposto dall’azienda; La scelta del rider se accettare o rifiutare la consegna è condizionata dal fatto che un rifiuto pregiudica la possibilità di ricevere nuovi ordini (perdita di priorità per effetto di un algoritmo appositamente congegnato dalla piattaforma), nonché la possibilità di maturare ulteriori forme di retribuzione variabile (bonus); Il rider non ha alcun potere di determinazione della tariffa praticata; Ogni sostituzione richiesta deve essere preventivamente approvata dalla piattaforma; L’attività di consegna costituisce l’oggetto principale dell’attività d’impresa esercitata dalla piattaforma; I rider precedentemente lavoravano sulla base di un contratto di lavoro dipendente.(peculiarità del caso in esame diverso dagli altri). ↑
- La causa sorgeva dall’istanza presentata da un’agenzia interinale, la quale aveva avviato un procedimento sommario contro una società che gestiva un sito web dedicato ai professionisti del settore della ristorazione. Parte ricorrente denunciava la presunta frode della legge commessa dalla convenuta consistente nell’utilizzo di un mezzo legale, quello di una piattaforma di networking, per eludere la disciplina imperativa in materia di lavoro temporaneo, dato che, secondo i ricorrenti, i lavoratori autonomi iscritti alla piattaforma contestata erano in realtà dipendenti. ↑
- Secondo il Board in alcune circostanze l’obbligo a carico del contrattista autonomo di installare il dispositivo di localizzazione GPS non violerebbe la privacy del lavoratore: sebbene il datore di lavoro obblighi il rider a installare il dispositivo, questi lo può spegnere quando non esegue servizi lavorativi. ↑
- di Elena Falletti – Ricercatrice in Diritto privato comparato – estratto articolo per Leggi d’Italia ↑