L’emergenza pandemica ha riacceso il dibattito sull’opportunità di costituzionalizzare il diritto di accesso a Internet, al fine di renderlo davvero universale e fruibile per tutti.
Anche il nuovo ministro all’innovazione Vittorio Colao la scorsa settimana ha sottolineato come il gap di copertura banda ultra larga sia inaccettabile, soprattutto nelle scuole, causando diseguaglianze future ai danni degli abitanti delle zone sfortunate.
Se è vero che, in seguito al lockdown imposto nel marzo 2020, si è registrata una crescita più che significativa della domanda di servizi digitali, colpisce il numero di italiani che continuano a rimanere esclusi dalla rivoluzione digitale o che, comunque, non sono in grado di sfruttarne pienamente le opportunità, neppure in circostanze così estreme. I dati forniti dall’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni (AGCOM) appaiono in questo senso piuttosto evocativi.
L’emergenza ha sì fatto lievitare il traffico di dati, cresciuto del 44,4% nella rete fissa e del 56,4% in quella mobile nei primi nove mesi del 2020, ma ha anche determinato un aumento relativamente contenuto di linee connesse. Se si osserva l’andamento degli accessi con reti FTTC, FTTH e FWA, si nota che a settembre 2020 questi erano aumentati solo del 18,3% rispetto allo stesso mese del 2019 (un incremento percentuale decisamente minore rispetto a quello registrato nei tre anni precedenti, mediamente pari al 50,2%).
Accesso a Internet come diritto universale: il momento è ora
La multidimensionalità dell’accesso a Internet
Secondo l’ultima Relazione Annuale AGCOM, soltanto il 37,2% delle famiglie italiane aveva sottoscritto un abbonamento Internet a banda ultralarga, con un divario medio tra disponibilità di connettività e abbonamenti attivati (in altre parole, tra offerta e domanda) pari a un esorbitante 51,7%. In altre parole, la disponibilità di connettività veloce era sfruttata per meno della metà. Non si può certo escludere che siano varie le ragioni dietro questo risultato disarmante ma certamente, quale che sia il motivo che spinge o meno a fruire di un servizio, è perfino tautologico ricordare che un individuo (o una famiglia) decide di sottoscriverlo solo se il valore atteso che ne ricava è almeno pari rispetto al suo costo. Dunque, la dimensione economica non può che rivestire una centralità primaria nella questione e questa osservazione è confermata dalla circostanza che, insieme all’età e all’istruzione, il reddito è una delle principali variabili esplicative dell’uso di Internet.
Sarebbe utile interrogarsi sui motivi che hanno fatto trascurare la variabile economica dell’accesso a Internet nel dibattito relativo alla digitalizzazione e alle cause del digital divide. Una prima spiegazione potrebbe risiedere nel fatto che i prezzi delle tlc, sia fisse che mobili, contrariamente a quelli delle altre utility, siano diminuiti negli ultimi 15-20 anni, di fatto mitigando progressivamente la salienza del problema. Eppure, nel bilancio delle famiglie, la spesa relativa ai servizi di comunicazione non è affatto trascurabile. Secondo l’ultima indagine ISTAT sulla spesa per i consumi delle famiglie, nel 2019 le famiglie italiane hanno speso mensilmente, in media, 59,3 euro per i servizi di comunicazione (fissa e mobile), 57,8 euro per il gas, 51,2 euro per l’elettricità. Per il servizio idrico, secondo l’Autorità di regolazione per energia reti e ambiente (ARERA), le spese nel 2018 sono ammontate complessivamente a 306,3 euro (equivalenti a 25,5 euro al mese). Ma mentre per elettricità, gas e acqua sono previsti strumenti permanenti ad hoc rivolti ai consumatori in stato di disagio economico e sociale (rispettivamente, bonus elettrico, gas e idrico), per quanto riguarda i servizi digitali non si è finora pensato a nessun meccanismo strutturale di sostegno (anche tenendo conto che naturalmente solo una parte della spesa in servizi di comunicazione è associata al consumo di dati e dunque ad Internet ma si tratta di una percentuale ormai del tutto prevalente e destinata senz’altro ad aumentare ulteriormente).
Le misure di contrasto alla povertà digitale tra servizio universale e piano voucher
Lo strumento storicamente usato nell’ambito delle telecomunicazioni per garantire a tutti, anche agli utenti più svantaggiati per condizioni geografiche o sociali, servizi di qualità a prezzi accessibili è come noto il servizio universale, disciplinato in Italia dal Codice delle comunicazioni elettroniche del 2003. Nonostante si prevedesse un aggiornamento con cadenza biennale dei servizi soggetti agli obblighi di servizio universale da parte del Ministero dello Sviluppo economico, sentita l’AGCOM, l’elenco attuale appare un monumento al passato che fu. Si contemplano infatti il servizio di fornitura di un accesso alla rete di comunicazione pubblica da postazione fissa, per voce, fax e dati (ad una velocità pari a 56 kbps), il servizio di telefonia pubblica, che permetta anche chiamate gratuite d’emergenza e infine i servizi per i quali siano previste agevolazioni economiche riservate a categorie disagiate, quali famiglie a basso reddito (sconto 50% canone voce) e persone sorde (esenzione totale canone voce).
La principale novità degli ultimi anni, dopo un dibattito durato fin troppo, è stata dunque rappresentata dal “Piano voucher per la connettività in banda ultra larga”, finalmente approvato nel maggio 2020 dal Comitato per la Banda Ultralarga (COBUL).
Il Piano, che ha messo a disposizione più di un miliardo di euro per l’erogazione di voucher per la connessione a banda ultralarga, destinati fino a 2,2 milioni di famiglie e a 450.000 imprese in tutta Italia, è articolato in due fasi: una prima, lanciata a novembre 2020 e dedicata esclusivamente alle famiglie in condizioni economiche più disagiate (con reddito ISEE fino a 20.000 euro), per le quali è previsto l’acquisto contestuale di un servizio di connettività e di un dispositivo (pc/tablet); una seconda, che dovrebbe partire nella prima metà del 2021, aperta anche a famiglie più abbienti (con reddito ISEE fino a 50.000 euro) e alle imprese, per le quali il bonus offerto riguarda solo la sottoscrizione di un abbonamento Internet.
Se per tutte le famiglie vengono previsti 200 euro per la connettività ad almeno 30 Mbps, per le famiglie con ISEE inferiore a 20.000 euro il voucher sale a 500 euro, collegandosi anche all’acquisto di un dispositivo (tablet o pc). Per i voucher riguardanti la connettività, la pre-condizione è che si tratti di nuove attivazioni o di connessioni che implichino un salto di velocità significativo (da meno di 30 a 30-100 Mbps o da 30-100 a 100-1000 Mbps).
Pur rappresentando un passo in avanti significativo, se paragonato agli strumenti in campo in altri settori e in un’ottica di medio-lungo periodo, il Piano Voucher non può che ritenersi insufficiente ad affrontare strutturalmente la dimensione economica del digital divide, data la sua natura al momento una tantum ma anche alle restrizioni previste. Tra le tante spiccano quelle francamente assurde poste da alcune Regioni (Emilia Romagna, Friuli Venezia Giulia, Lazio, Liguria, Toscana), che, basandosi ancora una volta su una chiave di lettura esclusivamente geografica della questione dell’accesso a Internet, hanno tagliato fuori dalla misura i principali centri abitati (tra i quali, per inciso, troviamo 4 tra le prime 10 città del Paese per popolazione). Con impatti fortemente negativi sul successo del Piano e senza considerare le esigenze delle famiglie a basso reddito, molte delle quali localizzate nelle periferie delle principali città.
Perché e come rivedere il servizio universale
In una prospettiva di scenario, il pericolo di questo decoupling intellettuale tra la dimensione economica e quella fisica dell’accesso a Internet è che nel prossimo futuro digital divide e diseguaglianze sociali possano aggravarsi anziché ridursi. Con il progressivo miglioramento della copertura infrastrutturale e in assenza di strumenti stabili ad hoc, con ogni probabilità i benefici andranno prevalentemente a chi è meglio posizionato dal punto di vista socio-economico per fruirne appieno mentre potrebbero aumentare i ritardi di chi non può permettersi di accedere a Internet (rispetto al proprio concittadino che finalmente può connettersi alla velocità desiderata, perché nel frattempo la sua abitazione è coperta da una linea veloce).
Per risolvere o quantomeno mitigare questi effetti, è necessario pensare a un mix di strumenti. Ma il primo passo non può che essere una riforma profonda del servizio universale, guidata dall’atteso recepimento del Codice europeo delle comunicazioni elettroniche, che prevede “un accesso adeguato e a prezzi accessibili a Internet a banda larga”. Per i consumatori a basso reddito, gli Stati membri “potrebbero offrire un sostegno diretto a fini di comunicazione, che potrebbe rientrare nelle indennità sociali o buoni o pagamenti diretti destinati a tali consumatori”.
Il Codice non esprime dunque una chiara preferenza per uno strumento rispetto a un altro, lasciando al singolo Stato membro decidere quello più adatto. Tuttavia, nel caso degli utenti a basso reddito, la scelta sembra restringersi principalmente a due possibili opzioni:
- un bonus digitale (che darebbe luogo di fatto a una tariffa sociale), che andrebbe a ridurre proporzionalmente il costo della connessione a Internet e scatterebbe ex post, sulla base della spesa complessiva,
- oppure un voucher, che si esprimerebbe in un sussidio monetario ex ante (tendenzialmente a diretto beneficio del consumatore) e che potrebbe essere differenziato per tecnologia, bundle di acquisto o caratteristiche ulteriori.
Dal punto di vista economico, senza peraltro poter escludere modelli ibridi, i due strumenti non sono così differenti, anche se come sempre il diavolo si nasconde nei dettagli. Ad esempio, il bonus potrebbe essere automatico, a prescindere da una richiesta del consumatore che ne ha diritto, mentre il voucher dovrebbe richiedere un’attivazione da parte dell’utente, che ne potrebbe limitare l’utilizzo effettivo. Allo stesso tempo, il voucher potrebbe più facilmente adeguarsi alle singole caratteristiche e preferenze delle famiglie, peraltro coprendo sia la spesa in connettività che nei device. Ma proprio per questo, la gestione potrebbe risultare più complessa, facilitando potenziali frodi.
Di fronte a situazioni di particolare disagio, è possibile e talvolta necessario esplorare strumenti ulteriori, specie nei casi più critici nei quali è difficile ipotizzare che basti un contributo, sia pure significativo, alla spesa. In questi casi, sono ipotizzabili altri meccanismi, come la fornitura in natura. È il caso, ad esempio, di famiglie a basso reddito con diversi figli in età scolare, per i quali si possono prevedere soluzioni ad hoc. Si è provato ad andare in questa direzione con il cosiddetto “kit digitalizzazione”, approvato con la legge di bilancio 2021. La misura prevede che ai nuclei familiari con un reddito ISEE non superiore a 20.000 euro annui, con almeno uno dei componenti iscritti a un ciclo di istruzione scolastico o universitario non titolari di un contratto di connessione internet o di un contratto di telefonia mobile, che si dotino del sistema pubblico di identità digitale (SPID), sia concesso in comodato gratuito un dispositivo elettronico dotato di connettività per un anno o un bonus di valore equivalente.
Conclusioni
Naturalmente si può disquisire se andassero delimitate meglio le caratteristiche dei dispositivi ammessi alla misura, anche per evitare usi impropri o comunque per incoraggiare device più appropriati (es. pc e tablet anziché smartphone), e se questo tipo di interventi andasse modulato in base al numero dei componenti del nucleo familiare in età scolare.
Quel che è certo è che occorrerebbe ragionare su queste questioni in maniera organica, individuando soluzioni stabili che consentano di contemperare principi di efficienza ed equità, contribuendo a ridurre i divari digitali del nostro Paese, per i quali la dimensione economica e sociale è già oggi altrettanto importante e in prospettiva ancora più cruciale di quella geografica. Per questo, oltre a un’eventuale costituzionalizzazione del diritto di accesso a Internet, occorre mettere urgentemente mano a una profonda revisione del servizio universale.
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