il commento

Il pasticcio degli incentivi fiscali a startup, ecco le correzioni urgenti per il nuovo Governo

Nella conversione del decreto per gli incentivi 50% a startup e pmi si sono fatti grossi errori. Vanno corretti. Ma in generale è fondamentale che lo Stato smetta di trattare questi temi in modo casuale e occasionale, e si doti invece di un centro di competenza specifico sull’ecosistema startup

Pubblicato il 12 Mar 2021

Gianmarco Carnovale

Serial tech-entrepreneur

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Tra la stesura originaria del Decreto Rilancio contenente l’incremento dell’incentivo della detrazione al 50% per gli investitori in startup e la sua attuazione, sono successe alcune cose che hanno prodotto un pasticcio con effetti pregiudizievoli e distorsivi.

Proviamo a ripercorrere i fatti e a capire come si potrebbe risolvere, con il nuovo Governo.

Incentivi fiscali a chi investe in startup e PMI, ecco come ottenerli

Un po’ di storia e di retroscena

L’incremento della percentuale di detrazione fiscale sull’investimento in startup (e PMI innovative) al 50% è un principio che in Italia si tenta di introdurre mutuandolo dal Regno Unito, dove vigono da molto l’incentivo SEIS (credito di imposta al 50%, per chi investe fino a 150.000 euro) ed EIS (al 30%, per investimenti di taglio superiore), schemi che tanto hanno fatto per sviluppare gli investimenti nelle startup britanniche riducendo il rischio delle fasi iniziali, perfino potenziati da un ulteriore abbattimento a posteriori in caso di perdita del capitale da parte dell’investitore privato.

L’adozione di una logica simile in Italia, richiesta a gran voce dalle associazioni di settore, era già stata tentata in via temporanea per un anno con la Legge di Bilancio 2019, solo che nella forma adottata al tempo era necessario notificare la misura a Bruxelles per renderla operativa.

Peraltro la storia ufficiale del mancato perfezionamento della misura dice che il Ministero dello Sviluppo Economico non l’abbia portata avanti perché non sarebbe stata gradita alla UE, ma fuor di ufficialità si viene a sapere che la notifica non fu fatta perché il dirigente responsabile dei procedimenti di notifica era andato in pensione e fu sostituito in gran ritardo, rendendo di fatto inutile fare una notifica sul finire dell’anno.

Incentivi per start up e PMI innovative 2020-2021, a chi spettano e come funzionano

Il Decreto Rilancio

Giunti nel 2020 il Ministro Patuanelli, entrato in ruolo successivamente alla vicenda, a pandemia iniziata decise che le startup necessitavano di una serie di interventi urgenti di supporto ed inserì nuovamente la misura nel Decreto Rilancio ma, informato delle difficoltà già occorse con il tentativo precedente, propose stavolta di legarla al quadro comunitario del regime de minimis che fissa un limite all’agevolazione rendendolo in tal modo automaticamente compatibile con il regime dell’Unione e quindi assicurandone l’immediata efficacia senza necessità di chiedere una autorizzazione a Bruxelles.

La norma passò quindi, correttamente, nel pacchetto di misure di sostegno all’innovazione promulgato dal Governo.

La Conversione degli incentivi pmi e startup in Parlamento

I decreti però, come noto, attraversano sempre un passaggio parlamentare per poter essere convertiti definitivamente in Legge dello Stato, e nel caso della conversione di questo decreto furono presentati da diversi parlamentari numerosi emendamenti, in un iter che – vista l’urgenza – fu parzialmente blindato.

Nella scrematura delle proposte emendative, tra le varie ne era stata presentata una a firma Marianna Madia e Mattia Mor che era purtroppo molto parziale nell’affrontare questo incentivo: innalzava la soglia di detrazione individuale a 300mila euro per periodo di imposta e fissava un automatismo di fruizione del vecchio incentivo del 30% per l’eventuale eccedenza rispetto alla soglia… ma per le sole PMI innovative, capovolgendo del tutto la logica che vorrebbe i maggiori incentivi sugli investimenti in startup che sono ovviamente più rischiosi di quelli in PMI.

Purtroppo, tra i molti, su indicazione del Ministero dell’Economia e Finanze fu indicato questo come emendamento da ammettere, scartando altri presentati che affrontavano l’articolo del Decreto in modo molto più esteso e coerente. La legge dello Stato, dunque, diventava definitiva in questa formulazione parziale – con l’automatismo solo in favore degli investimenti in PMI – ed incoerente sulla gestione del rischio.

Il decreto attuativo ed i problemi che apre

Ma come noto, una volta che una Legge è pubblicata in Gazzetta Ufficiale si è arrivati a sancire un diritto ma non ancora le modalità per fruirne, che vanno stabilite da decreti attuativi – cioè norme secondarie che vengono stese non più dalla politica e sancite dal Parlamento, ma elaborate dalle direzioni dei ministeri.

Le discussioni nelle community e tra addetti ai lavori sul decreto attuativo di questa norma oggi sono abbastanza infuocate, in parte alimentate dalla delusione di chi sperava di poter offrire la detrazione al 50% agli investitori senza aver capito che era naturalmente riservata a imprese nelle fasi molto preliminari, cioè che non avessero fruito del de minimis, ma soprattutto per la modalità stabilita per fruire di questo incentivo: essere costretti a passare per un portale costruito ad hoc attraverso il quale l’investitore deve verificare la disponibilità del de minimis sulla impresa target e richiederlo preliminarmente rispetto all’investimento da fare.

Questa modalità, pensata da qualcuno che si è preoccupato solo di agevolare la propria funzione di regolamentazione e gestione delle pratiche, impedisce strutturalmente di poter usare l’incentivo per chi investe nelle campagne di equity crowdfunding, creando una grave discriminazione se non un effetto distorsivo rilevante – e forse anche illegittimo, se qualcuno a questo punto impugnasse la norma – verso questa tipologia di investimenti.

Come si potrebbe risolvere e migliorare

Le soluzioni possibili ovviamente c’erano, anche nel perimetro di questa legge.

  • Si poteva comunque per via di un decreto ministeriale concedere l’automatismo della fruizione del 30% una volta superata la soglia del 50%, seguendo un principio di estensione della norma per le PMI innovative.
  • Inoltre, nel caso delle campagne di crowdfunding si sarebbe potuto fissare un criterio di attribuzione della detrazione pro-quota agli investitori nel caso di superamento della soglia.
  • Oppure ancora si sarebbe potuto inserire un principio di “primo arrivato” nelle campagne che determinasse il diritto alla detrazione agli investitori solo fino alla soglia, rendendo visibile sulle piattaforme vigilate da Consob la disponibilità residua, riducendo poi la detraibilità al 30% per la raccolta eccedente.
  • O infine si sarebbe potuto fissare un obbligo di aprire campagne di equity crowdfunding chiudendole entro il de minimis, ove disponibile, differenziando così le campagne con detrazione al 50% da quelle con detrazione al 30%. Qualsiasi altra soluzione tra queste sarebbe stata migliore dell’idea di richiedere la detrazione ex ante.
  • Ma i limiti da rimuovere sulle modalità di fruizione di questo incentivo sarebbero anche altri: al di là dell’insensatezza come già detto del favorire maggiormente gli investimenti in PMI Innovative, che è norma primaria, grida vendetta l’esclusione della fruibilità della detrazione nel caso si investa per il tramite di veicoli societari come holding di partecipazioni e club deal, che invece sono possibili per l’agevolazione al 30%.
  • Infine, e qui c’è un grave limite che riguarda sia il vecchio incentivo che quello nuovo, è insensata e forse anche illegittima per discrimine tra persone fisiche la detrazione a valere esclusivamente sull’IRES, escludendo così le persone fisiche che hanno redditi tassati sotto regimi alternativi come rendite finanziarie tassate come capital gain e rendite da locazione in cedolare secca. Quest’ultima è una limitazione del tutto insensata che taglia fuori dall’incentivo quei soggetti più abbienti, che spesso vivono proprio di entrate di tal genere, che più di tutti andrebbero incentivati ad investire in capitale di rischio.

Soluzioni che ora il nuovo Governo farebbe bene a valutare.

Conclusioni

L’assurdità di tutta questa vicenda va ricondotta al processo legislativo italiano: per quanto il livello politico emetta una buona legge che fissa dei princìpi, poi questa viene massacrata nella sua applicabilità da direzioni e dipartimenti dei Ministeri che prescindono completamente dell’efficacia di una misura nell’avere l’effetto che il legislatore si proponeva, e la stendono con la sola finalità di liberarsi di un problema procedurale.

Come scrivo da tempo, è fondamentale che lo Stato smetta di trattare questi temi in modo casuale ed occasionale, e si doti invece di un centro di competenza specifico sull’ecosistema startup.

Tutto questo:

  • sia a livello di ruolo politico con un sottosegretario ad hoc
  • sia con una direzione dedicata e specializzata, che sia dotata di un know-how oggi del tutto assente nei Ministeri.

Qui circola ancora la convinzione preistorica che le startup siano qualcosa a cavallo tra la micro e la piccola impresa, che il venture investing sia un figliastro del Private Equity e che i Business Angel siano degli ‘scappati di casa’ – come li ritengono in Banca d’Italia dove da due anni continuano a non dare seguito alla legge dello Stato che ne costituisce il registro.

C’è bisogno di un passaggio evolutivo, c’è bisogno di accountability nel processo legislativo, e c’è bisogno che questo venga coordinato da qualcuno con le competenze corrette.

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