Lo spazio comunicativo riservato ai “moderati” sembra destinato a erodersi online: risulta, infatti, che le notizie politiche di matrice estremistica – provenienti soprattutto da canali di disinformazione gestiti prevalentemente da gruppi di estrema destra – siano condivise su Facebook con un tasso di maggiore coinvolgimento addirittura pari al 65% rispetto ad altri contenuti politici generati dagli utenti.
Lo rileva un recente studio della New York University, a cura del Center for Cybersecurity.
Disinformazione vs informazione affidabile: il confronto è sconfortante
A fronte del monitoraggio di più di 8 milioni di post pubblici, sulla base di un’ingente analisi di 2.973 fonti dotate di almeno 100 follower, processati dai sistemi di NewsGuard e Media Bias Fact Check (fornitori di dati indipendenti che valutano le tendenze politiche e la qualità dei media), nel periodo immediatamente precedente e successivo alle elezioni USA del 2020, le pagine di estrema destra utilizzate per diffondere disinformazione, infatti, hanno ottenuto più coinvolgimento su Facebook rispetto a qualsiasi altra notizia politica di parte.
La media raggiunta è stata di 426 interazioni per mille follower a settimana rispetto alla media generale di 259 interazioni settimanali prodotti da fonti affidabili di informazioni, mentre le fonti informative riferibili a posizioni ideologiche vicine al “centro” hanno ottenuto una media di 79 interazioni settimanali per mille follower di pagine di non disinformazione rispetto a una media di 24 per fonti di disinformazione.
Peraltro, come ulteriore effetto collaterale, si registra un differente trattamento sanzionatorio conseguente all’attività di controllo sulle fake news: le fonti di provenienza estremistica di destra sarebbero meno esposte a rischi di rimozione rispetto a quelle di “centro” e di sinistra.
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L’esempio delle ultime elezioni Usa
In generale, le fonti di notizie classificate come di estrema destra raggiungono la media più alta di interazioni, seguite dalle informazioni riferibili a orientamenti ideologici di estrema sinistra che precedono, come fanalino di coda, le posizioni più vicine al “centro”, evidentemente meno attrattive dal punto di vista della condivisione social.
Tale fenomeno, peraltro, sembra accentuarsi in occasione di eventi particolari (come ad esempio: elezioni, proteste) caratterizzati da una maggiore intensificazione dello scontro dialettico tra i vari orientamenti politici.
Emblematica, in tal senso, l’impennata di viralizzazione delle notizie di estrema destra durante la campagna elettorale USA che ha raggiunto il picco il 6 gennaio 2021 quando, in stretta connessione con la rivolta del Campidoglio degli Stati Uniti d’America organizzata dei sostenitori di Trump, si è registrato un significativo incremento del flusso informativo in grado di coinvolgere un elevato numero di utenti attirati dall’ideologia di estrema destra sulla base di affermazioni complottistiche false fatte circolare sull’ingiusta sconfitta di Trump.
In tale prospettiva, la propaganda politica estremistica online si diffonde grazie a un sistema di polarizzazione dei contenuti che tende a privilegiare orientamenti ideologici più radicali e sovversivi probabilmente in grado di stimolare, con un elevato livello di coinvolgimento, le emozioni degli elettori secondo una narrazione comunicativa massimalistica prevalente fondata su parole chiave come nazione, protezione, sicurezza, rabbia, paura destinate a circolare sui social con maggiore facilità rispetto alle posizioni politiche rassicuranti espresse mediante visioni “moderate” meno coinvolgimenti online.
Come uscire dall’impasse?
Si potrebbe pretendere un maggiore sforzo da parte delle piattaforme social nell’adozione di efficaci misure in grado di vigilare sulla diffusione di notizie false destinate a veicolare informazioni fuorvianti che favoriscono l’incitamento all’odio e alla violenza?
Possono davvero i social network rimuovere le fake news anche andando contro il proprio core business che mira al raggiungimento di elevati livelli di coinvolgimento degli utenti grazie a un costante sistema di condivisione di contenuti legati all’advertising online?
Oppure, prendendo atto di un fenomeno incontrollabile nell’ambiente digitale, la crescente proliferazione della disinformazione online si dovrebbe accettare come effetto collaterale della circolazione virale del flusso comunicativo condiviso sui social?
Sarebbe forse auspicabile un maggiore e più responsabile impegno dei media tradizionali nel compito fondamentale di verificare le fonti informative, piuttosto che “appiattarsi” ai presunti “scoop” lanciati sui social alla ricerca di “like” secondo una logica di visibilità fine a stessa che prescinde dall’accertamento completo, veritiere e corretto dei contenuti diffusi, con ripercussioni negative che incidono sulla qualità del sistema comunicativo generale accessibile alla collettività.
Conclusioni
Di certo, la disinformazione legata alla circolazione di notizie politiche di matrice estremistica sta dimostrando di alterare la regolarità della competizione elettorale in favore di determinati gruppi politici anche disposti a trarre profitto dalla diffusione di contenuti falsi in grado di suscitare forti reazioni negli utenti per ottenere un vantaggio elettorale, con il rischio di realizzare effetti incontrollati di manipolazione dell’opinione pubblica, da cui potrebbe derivare una generale situazione di instabilità sociale.
La disinformazione corre social e per fermarla serve una soluzione globale