In un generale clima di censura della libertà in rete, con una crescente proliferazione di tecnologie implementate per controllare i flussi veicolati online nell’ambito di una preoccupante involuzione di internet verso l’“autoritarismo digitale”, continuano a far discutere le politiche repressive della Cina, il cui approccio draconiano alla repressione del dissenso e alla sorveglianza di massa è stato se possibile ancora più esacerbato dalla pandemia di covid-19.
Cina e censura, così viene represso il dissenso
Ultimo caso a far discutere, Facebook ha annunciato di aver bloccato hacker cinesi che sfruttavano il social per diffondere malware ad attivisti, giornalisti e dissidenti della minoranza islamica degli uiguri, allo scopo di sorveglianza. Facebook era usato per carpire la loro fiducia e quindi fare loro installare il malware.
Pochi giorni prima è emersa l’esistenza di un foglio di calcolo online utilizzato in Cina, con finalità repressive, per perseguitare coloro che mettono in discussione gli “eroi” nazionali proclamati secondo la “verità” della propaganda governativa, come riporta un recente articolo del “The New York Times”.
A conferma dei dati riportati dal rapporto “Freedom on the Net 2020” che individua in Cina, per il sesto anno consecutivo, le peggiori violazioni della libertà di Internet a causa di livelli di filtraggio dei contenuti “senza precedenti” grazie all’uso pervasivo di sistemi automatizzati di sorveglianza per favorire la circolazione di contenuti a “senso unico” di sostegno al regime politico, nel paese, viene repressa qualsivoglia critica di dissenso, cresce il numero di persone minacciate, indagate e arrestate, colpevoli di aver infangato la memoria di “eroi” e “martiri”, dopo aver messo in dubbio il resoconto ufficiale del governo sulla morte di soldati cinesi durante uno scontro con le truppe indiane.
Lo rileva un database disponibile online ove risultano elencati i crimini per i quali il governo ha punito le persone ritenute responsabili di fatti penalmente rilevanti sulla base di una massiccia profilazione di informazioni dettagliate che, processando dati sulle caratteristiche familiari, sociali, etniche, linguistiche, politiche e religiose degli individui e sulla cerchia di amici e parenti che hanno avuto problemi con la legge, serve a decidere chi trattenere in custodia in carcere o sotto controllo a casa, mediante un sofisticato sistema di calcolo in grado di abbinare i nomi delle persone a una serie di incisivi criteri di identificazione comportamentale.
Si tratta di un’iniziativa che interferisce sulla libertà di parola delle persone soggette a meccanismi di censura funzionale a evitare la diffusione di opinioni percepite come attacchi al governo, prevedendo la possibilità di misure sanzionatorie per il minimo accenno di critica, specie se in grado di veicolare flussi comunicativi caratterizzati da un elevato clamore mediatico.
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La scomparsa del pluralismo
Lo spazio di pluralismo sembra così notevolmente circoscritto rispetto a qualsivoglia tentativo di opposizione comunicativa finalizzata a contestare le scelte politiche del governo, soprattutto riguardanti argomenti politici, economici e militari.
All’interno di un ecosistema del genere, si favorisce la proliferazione di un conformismo ideologico di massa orientato a supportare la visione governativa come insindacabile priorità collettiva a presidio di valori collettivi inderogabili che incidono sulla metamorfosi della Rete, da potenziale infrastruttura emblema della libertà di espressione a pericoloso strumento di censura, al punto da plasmare anche il tessuto imprenditoriale high-tech nazionale, caratterizzato dalla creazione di società specializzate nel controllo dei contenuti online e da media asserviti alle esigenze editoriali del governo mediante l’adozione di un sistema di filtri, permessi e autorizzazioni restrittive nella selezione dei contenuti da pubblicare online che impediscono agli utenti, privi di account validati da credenziali certificate, la possibilità di pubblicare notizie specie su politica, economia, affari militari e diplomatici.
Emblematica, in tal senso, la notizia diffusa sul blocco dei siti web che documentavano gli scontri avvenuti nel corso di una protesta politica, ottemperando alle richieste del governo di oscurare le relative piattaforme di disturbo mediante il ricorso a campagne di pulizia online rivolte alla rimozione dei contenuti visibili sui motori di ricerca, piattaforme di social media e browser per soddisfare le richieste del governo.
L’escalation della censura legata al covid
La pandemia “Covid-19” sembra aver ulteriormente incrementato la rigidità di tali politiche, con l’intento di contenere il rischio di disinformazione a causa di notizie non attendibili suscettibili di alterare la stabilità sociale.
Come ulteriore effetto comportamentale collaterale si riscontra altresì il crescente aumento di utenti che, spinti da motivazioni nazionalistiche di supporto incondizionato al governo (per paura di ritorsioni o per convinta adesione politica), segnalano contenuti che ritengono offensivi con denunce provenienti dal basso direttamente indirizzate alle forze di polizia secondo un circolo vizioso di sorveglianza diffusa in nome della cosiddetta “sovranità digitale” più volte invocata dal governo cinese per giustificare l’esistenza di limiti predisposti sulla circolazione delle informazioni immesse nello spazio virtuale della Rete, con l’intento di “standardizzare” la concezione dell’opinione pubblica secondo processi formativi eterodiretti aventi finalità di manipolazione persuasiva.
Internet risulta, così, sottoposto a strategie massive di sorveglianza generale motivate dall’esigenza di assicurare la tutela della sicurezza nazionale, con una severa repressione delle voci di dissenso esistenti ritenute non in linea con la “narrazione” ufficiale dei resoconti comunicati a senso unico, senza alcuna possibilità di pluralismo informativo indispensabile per promuovere il rispetto di efficaci standard democratici sempre più esposti al rischio di erosioni nell’ambiente digitale.