Verso il gigabit

Reti a banda ultralarga, la vera sfida è culturale: gli interventi necessari per la crescita

Le proposte di riforma che l’Antitrust ritiene prioritarie per l’ammodernamento delle reti di tlc e la conseguente crescita del Paese sono condivisibili, ma non sufficienti. Quello che serve, primariamente, è un cambio culturale che investa cittadini, formatori, imprenditori professionisti e amministratori pubblici

Pubblicato il 07 Apr 2021

Carmelo Iannicelli

Presidente della commissione TLC - Ordine degli Ingegneri della Provincia di Milano

ultrabroadband

Nei giorni scorsi l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM) ha inviato al Presidente del Consiglio dei ministri una segnalazione in merito a proposte di riforma concorrenziale ai fini del DDL 2021 per il Mercato e la Concorrenza. Il tutto mentre il ministro all’innovazione Vittorio Colao ha anticipato al 2026 il target italiano per una rete gigabit, riconoscendo che la nostra banda ultralarga è in forte ritardo e ipotizzando tra l’altro anche l’uso maggiore di tecnologie wireless per migliorarla.

Il documento dell’Antitrust può essere un punto di partenza per trovare risposte a questa sfida.

Partendo dall’assunto che l’ammodernamento delle reti di telecomunicazione costituisca una leva strategica significativa per promuovere la crescita del paese, il documento ne individua la principale fonte propulsiva nella concorrenza infrastrutturale che induce gli operatori a migliorare la qualità e la velocità del servizio mantenendo, d’altro canto, prezzi bassi.

Le proposte dell’Agcm per promuovere le reti ultrabroadband

Esemplificando, le principali proposte contenute nel documento sono nel seguito sintetizzate:

  • promuovere la concorrenza infrastrutturale mediante il recepimento della Direttiva (UE) 2018/1972 del Parlamento Europeo che istituisce il Codice Europeo delle Comunicazioni Elettroniche; attivando strumenti di supporto pubblico ovvero incentivi economici e introduzione di leve fiscali come stimolo all’infrastrutturazione delle reti nelle aree grigie; definendo strategie pubbliche volte a preservare gli incentivi alla co-realizzazione di reti di telecomunicazione in concorrenza nelle aree non a fallimento di mercato
  • semplificare i processi amministrativi ed autorizzativi riducendo, mediante una modifica del codice delle telecomunicazioni elettroniche, le barriere burocratiche e autorizzative nella realizzazione delle reti fisse e mobili in aree pubbliche e demaniali e prevedendo meccanismi di conciliazione nelle controversie relative all’accesso in proprietà privata.
  • agevolare lo sviluppo delle reti mobili di nuova generazione allineando il Codice delle Comunicazioni Elettroniche ai principi europei di certezza e stabilità ad esempio in tema di definizione dei canoni per l’utilizzo delle frequenze e dei rinnovi; verificando la validità dei limiti emissivi ai livelli di campo elettromagnetico previsti dal D.P. C.M. 8 luglio 2003, nonché fornendo maggiori strumenti operativi alle ARPA regionali per la risoluzione delle situazioni di inquinamento elettromagnetico.
  • stimolare la domanda di connessioni a banda ultra-larga agendo sulla flessibilità nella mobilità contrattuale tra operatori e sulla portabilità della numerazione tra fornitori e tecnologie differenti; semplificando l’accesso ai voucher per la connettività a banda ultra-larga per famiglie e imprese.

Il cambio culturale che serve

Le proposte formulate dall’authority forniscono certamente spunti fondamentali per la realizzazione di reti a banda ultra-larga fissa e mobile e costituiscono la precondizione ineludibile all’accelerazione digitale ma, a mio modesto avviso, ove non contestualizzate con una visione olistica dello stato di digitalizzazione del nostro paese, potrebbero non produrre appieno gli effetti desiderati aggravando ulteriormente il divario esistente con gli altri paesi europei (nel 2020 l’Italia è al 25° posto su 28 in termini di digitalizzazione ed è in peggioramento rispetto all’anno precedente – Fonte DESI 2020).

Lo stimolo primario per l’accelerazione dei processi di trasformazione digitale, a mio parere, è costituito dal cambio di marcia che il nostro paese è costretto a mettere in atto nella crescita della cultura digitale di cittadini, formatori, imprenditori professionisti e amministratori pubblici. Sarebbe, inoltre, opportuno superare le logiche massive tipiche del mercato consumer e prendere in considerazione i bisogni di target specifici di interesse strategico per il paese quali imprese, filiere produttive, scuole e uffici pubblici.

Concorrenza infrastrutturale e gap tra infrastrutture e utilizzo

Per quanto concerne la promozione della concorrenza infrastrutturale prendiamo spunto dall’esempio riportato nel citato documento dell’Antitrust che ipotizza un nesso causale tra l’ingresso di nuovi operatori, lo sviluppo di accordi di coinvestimento e l’incremento della copertura dal 31,7% nel 2015, all’ 88,9% nel 2020 (Fonte DESI). Va precisato, innanzitutto, che tali percentuali non sono riferite alla copertura delle abitazioni bensì al numero delle famiglie raggiunte. Non sono, pertanto, considerati nel computo, parametri fondamentali quali il livello di infrastrutturazione digitale delle aziende, degli uffici pubblici e delle scuole. Per quanto concerne le famiglie il vero problema è che, a fronte di livelli di copertura territoriale che, come abbiamo detto, nel 2020 consentono all’88,9% delle famiglie italiane di accedere a servizi internet con velocità maggiori o uguali a 30 Mbps, solo il 37,2% di esse possiede ed utilizza tale connessione (Fonte relazione AGCOM sullo stato delle comunicazioni del 2020).

La causa è da individuare nello scarso livello di competenze digitali posseduto nel nostro paese (siamo all’ultimo posto nell’UE – fonte DESI 2020), con un elevato numero di persone che non ha mai utilizzato Internet (17% degli individui contro il 9% della media UE). Come illustrato in figura 1, tratta dall’allegato alla relazione AGCOM sullo stato delle comunicazioni del 2020, il gap tra infrastrutture e utilizzo presenta, inoltre, profonde differenziazioni territoriali e evidenzia che non è affatto scontato che territori che hanno goduto in passato di significativi investimenti infrastrutturali di stato, quali Sicilia e Calabria, presentino percentuali significative di utilizzo dei servizi digitali.

La figura 2 mostra inoltre che, per quanto riguarda il livello di digitalizzazione delle imprese, il nostro paese non ha registrato significativi progressi negli ultimi tre anni(fonte DESI 2018-2020) mentre il divario tra l’Italia e l’UE si sta allargando (fig. 3) con specifico riferimento a servizi bancari, shopping on line (-30% Vs media UE), commercio elettronico (- 50% Vs media UE) dove solo il 10% delle PMI italiane vende online (Vs 18% media UE) e trae in media l’8% del proprio fatturato dalle vendite online (Vs 11% nell’UE). In fig. 4 è schematizzato il confronto tra le 5 dimensioni del rapporto DESI e il corrispondente valore della media UE da cui si evince chiaramente che le maggiori criticità per il nostro paese sono correlate al capitale umano e all’uso dei servizi internet.

Semplificazione amministrativa: non sempre è sufficiente

La semplificazione dei processi amministrativi e autorizzativi nel nostro paese è certamente un fattore critico di successo nella realizzazione delle reti a banda larga, pertanto, ben vengano le proposte individuate; ma, se prendiamo in considerazione i 1436 comuni interessati al progetto BUL di Regione Lombardia ci rendiamo conto che a distanza di 5 anni dall’avvio, 147 comuni non hanno ancora optato per la sottoscrizione della convenzione con Infratel mostrando, pertanto, la scarsa volontà di aderire alla realizzazione di infrastrutture a banda ultra-larga a titolo totalmente non oneroso. La loro adesione non è, pertanto, assolutamente scontata anzi molto probabilmente, ove consentito, sarà necessario dirottare tali fondi su altri interventi infrastrutturali se non vogliamo rischiare di perderli definitivamente nel 2023.

Le motivazioni di tali scelte sono, ancora una volta, correlate a motivazioni culturali. Chi ha esperienza nella costruzione di reti di telecomunicazioni sa bene che i lavori di scavo per la realizzazione di una infrastruttura di posa potrebbero in alcuni casi compromettere la durata nel tempo della pavimentazione stradale, a meno di interventi di ripristino totale del manto stradale con costi insostenibili vista la dimensione nazionale del progetto. Molte amministrazioni locali preferiscono, pertanto, evitare problematiche manutentive e condannare il proprio territorio ad un gap tecnologico che difficilmente verrà colmato in futuro. È, pertanto, necessaria una forte azione divulgativa nei confronti di amministratori e uffici tecnici locali coniugata ad un forte committment governativo per il superamento di tale condizione per certi aspetti paradossale. D’altro canto, va però detto che non possiamo più permetterci la realizzazione di due distinte infrastrutture di posa sui due lati di una stessa sede stradale come accade di vedere a volte nelle aree non a perdita di mercato. E’, pertanto, necessaria una programmazione più stringente degli interventi e un maggiore coordinamento tra gestori dei sottoservizi sin dalle prime fasi progettuali, anche al fine di consentire l’utilizzo efficiente, sistematico e strutturato delle numerose infrastrutture presenti sul territorio molte delle quali di proprietà comunale, realizzate dai privati a scomputo degli oneri urbanistici.

Reti mobili di nuova generazione

Per quanto riguarda il terzo punto analizzato dall’Antitrust ovvero agevolare lo sviluppo delle reti mobili di nuova generazione, il punto cruciale, a mio avviso, è la verifica trasparente e non discriminatoria dei limiti emissivi di intensità di campo elettromagnetico previsti dal D.P.C.M. del 8 luglio 2003. Premesso che 20 paesi su 27 della UE presentano valori limite dieci volte superiori (60 v/m contro i 6 v/m previsti dalla legislazione italiana, valore più basso in assoluto nello scenario UE), il mantenimento dei limiti nazionali determina il mancato riutilizzo di siti esistenti nella progettazione di infrastrutture di rete mobile e la contestuale difficolta nell’individuarne di nuove. L’effetto è quello di causare un significativo incremento di costi e rallentamento per la realizzazione delle reti mobili di nuova generazione, in aperta contraddizione con gli indirizzi europei che prevedono, invece, la copertura con tecnologia 5G di tutte le zone abitate entro il 2030.

Interventi di stimolo alla domanda

Nel documento dell’Antitrust è, infine, ipotizzata, in coerenza alla mission dell’Agenzia, la diminuzione delle barriere alla mobilità per stimolare domanda e offerta nonché una semplificazione della gestione dei voucher per la connettività. Anche in tal caso, a mio avviso, è necessario affiancare a tali azioni, il consolidamento dell’ecosistema digitale diffuso creato dal distanziamento sociale durante l’emergenza sanitaria. Non dobbiamo buttare al vento gli sforzi fatti in questo periodo dalle amministrazioni, dalle aziende, dalle scuole e delle strutture commerciali nell’erogare i servizi di competenza, bensì perseverare nell’obbiettivo di creare cittadini e aziende dotati di competenze digitali e professionisti altamente qualificati nel settore digitale. Gli obbiettivi europei prevedono, difatti, che entro il 2030 almeno l’80% della popolazione adulta dovrebbe possedere competenze digitali di base e 20 milioni di specialisti dovrebbero essere impiegati nell’UE nel settore delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione, con un aumento del numero di donne operative nel settore.

Conclusioni

In conclusione appare, quindi, chiara la necessità di attivare, nel rispetto dei principi di libera concorrenza sanciti dall’Agenzia, meccanismi di governance e controllo partecipativo territoriali che coinvolgano amministrazioni centrali, locali, operatori di rete, associazioni datoriali, università e ordini professionali, con l’obbiettivo di accrescere la cultura digitale, e la conseguente domanda e offerta da parte di imprese, pubbliche amministrazioni e cittadini nonché raggiungere gli sfidanti obbiettivi europei previsti dalla Comunità Europea per il 2030

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