Uno dei punti più innovativi contenuti nel parere votato dalla IX Commissione della Camera, in merito al PNRR, è la possibilità, sollecitata al Governo, di nominare i governatori come commissari straordinari al digitale. Un commissariamento straordinario, sul modello Genova (a memoria dei viventi si fa fatica a ricordare la costruzione di un ponte così complesso in un anno), servirebbe per superare le troppe pastoie burocratiche che hanno drammaticamente rallentato il piano Bul, aiuterebbe a responsabilizzare gli enti locali e, forse, ad arrivare più velocemente dove c’è assenza di segnale, evitando duplicazioni di reti e spreco di risorse, sia pubbliche che private.
Un grave errore delle politiche di digitalizzazione fin qui adottate (Governo Letta, Governo Renzi, Governi Conte con ministri Di Maio e Patuanelli-Pisano-Gualtieri) è stata l’idea che si potesse cablare l’Italia facendo calare dall’alto le direttive, limitando all’essenziale il dialogo con Anci, Uncem e con la Conferenza delle regioni.
È la stessa filosofia che ha animato prima il progetto “Open Fiber” di Renzi e poi la surreale spavalderia de “la rete la fa lo Stato” con cui il premier Conte si permetteva il lusso di interrompere il cda di Tim con una telefonata. La fibra in casa non arriverà mai negli chalet di montagna, in tante case affacciate sul mare e persino in molti e popolosi palazzi, però in quelle zone, utilizzando la tecnologia FWA e le sue evoluzioni si potranno garantire velocità oltre ai 100 mega e quindi aprire anche là l’epoca della civiltà digitale. Il territorio va conosciuto e va mappato, in modo preciso e serio, come richiesto all’unanimità da tutte le forze politiche sempre all’interno del parere al PNRR varato dalla Commissione Telecomunicazioni.
Senza conoscenza del territorio e confronto con i sindaci ogni piano è destinato a inciampare, rallentare e anche a disperdere inutilmente risorse pubbliche.
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Il piano scuole
Per dimostrare empiricamente queste tesi e ribadire la necessità di un confronto sussidiario con gli enti locali, è sufficiente un piccolo, ma fondamentale racconto che ci arriva proprio dal macchinoso piano di cablaggio del Paese: il piano scuole. Come si legge nei documenti di Infratel, l’obiettivo della misura è quello di dotare 34.000 sedi scolastiche (scuole medie e superiori pubbliche su tutto il territorio nazionale e tutte le scuole primarie e dell’infanzia pubbliche situate nelle aree bianche”) di servizi di connettività con banda fino a 1 Gbit/s in download e banda minima garantita pari a 100 Mbit/s simmetrici. In questi giorni i sindaci hanno ricevuto la comunicazione da Infratel, quindi dallo Stato, relativa al fatto che le loro scuole saranno raggiunte dall’alta velocità elettronica. Una bella notizia, in teoria. Nella pratica ci sono tanti nodi da sciogliere e tanti problemi da risolvere che si sarebbero potuti prevedere dialogando con i Comuni. Ci sono infatti molti plessi scolastici già raggiunti dalla fibra e per cui le Amministrazioni stanno pagando un abbonamento con privati. Cosa è previsto in questo caso? Un rimborso delle spese già sostenute dai sindaci? L’accollamento dell’utenza telefonica? In altri casi le scuole sono state raggiunte (ma non ancora attivate) da Open Fiber. In Lombardia, ad esempio, il bando scuole è stato affidato alla bresciana Intred: come si comporterà dove è già presente la fibra di OF? Al momento del bando non si erano previste queste (numerose) casistiche che potrebbero accelerare molto l’esecuzione del piano ed evitare l’imbarazzante ipotesi che, anche nel prossimo anno scolastico, a settembre 2021, la campanella suoni ancora analogicamente.
Non rete unica, ma strategia unica
Il piano scuole è un laboratorio eccezionale per misurare gli interventi che dovranno consentire al Governo di disegnare un nuovo piano Bul, recuperando il siderale ritardo accumulato fino ad ora (6237 Comuni messi a piano nelle aree bianche ne sono stati raggiunti solo un terzo). Come la Lega ha rimarcato più volte, è inutile animare il dibattito retorico sulla cosiddetta rete unica. Bisognerebbe, semmai (sollecitazione condivisa pubblicamente in audizione dal ministro Colao), parlare di strategia unica, stabilendo una volta per tutte mappature, priorità, tecnologie e tempi. Sentir parlare di 2026 metterebbe in seria difficoltà qualunque sindaco che, quotidianamente, deve spiegare a dirigenti scolastici, imprenditori, liberi professionisti e semplici cittadini perché didattica a distanza, lavoro da casa, innovazione aziendale e anche la semplice fruizione della pay-tv sia per molti una chimera.
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Open Fiber, qualcosa si muove
Qualcosa si è mosso in queste ore. L’Ad di Enel Francesco Starace ha annunciato la cessione di Open Fiber agli australiani di Macquaire, un’operazione che comunque ha accumulato alcuni mesi di ritardo rispetto alle previsioni dell’anno scorso.
Ogni mese perso è un meso sottratto allo sviluppo del paese, alla didattica digitale e alla modernizzazione delle imprese. I ministri Giancarlo Giorgetti e Vittorio Colao hanno annunciato alla Commissione IX della Camera una soluzione rapida. Questa volta, però, dovrà essere davvero rapida e difficilmente la rapidità (come del resto avviene in molte altre infrastrutture) si sposa con il peso e la lentezza dello statalismo. È chiaro che Open Fiber e Tim avranno un ruolo fondamentale nella strategia unica digitale, come del resto non potranno non averlo altri operatori e altre tecnologie alternative alla fibra. Neutralità tecnologica, federalismo digitale e obiettivi a breve termine (scuole, ospedali, aziende) devono essere il faro illuminante di un piano che sia concreto e rapido e non visionario e inattuabile.
Conclusioni
Giorgia Meloni, recentemente, ha chiesto che la rete sia pubblica e in mano agli italiani. Potrebbe essere il progetto dei sogni, ma non il progetto calato nella realtà. “La rete la fa lo Stato” ricorda molto le posizioni di Conte e dei Cinque stelle di questa estate, e da allora non si è mosso nulla. Meglio dire, semmai, che lo Stato spinge perché la rete si faccia in fretta e che la rete la controlla e la governa lo Stato. Perché se lo Stato, al di là dei proclami, non ci mette la testa, andrà a finire davvero che la rete la faranno i francesi, magari utilizzando hardware cinese. Con buona pace di tutti.
La strategia deve prevedere commissari digitali, formazione del personale, un piano torri e un convinto investimento sull’FWA, nella consapevolezza che la fibra in casa (fisicamente) non arriverà mai in tutte le unità immobiliari italiane e che c’è una bella differenza, comunque, tra i 5-6 mega forniti dalla ADSL e i 70-80 di un normale fixed-wireless access (risultati ben superiori saranno garantiti portando la fibra alle torri e con il 5g fwa).
Bisogna fare presto e fare bene. E non è una missione impossibile.