Enforcement e regolazione

Ecosistemi digitali sotto la lente Antitrust: come risolvere un problema “mondiale”

Mentre sul fronte internazionale, le Autorità si interrogano sui vantaggi e le criticità degli ecosistemi digitali, in Italia l’Agcm apre tre diversi procedimenti, due nei confronti di Google e uno nei confronti di Amazon. Dal loro esito si capirà se lo strumentario antitrust è adeguato ad affrontare le nuove sfide

Pubblicato il 13 Apr 2021

Valeria Falce

Jean Monnet Professor of EU Innovation Policy; Professor in Digital Transformation and AI Policy; Ordinario di diritto dell’economia nell’Università Europea di Roma e Direttore ICPC – Innovation, Regulation and Competition Policy Centre

digital divide digitale

Gli ecosistemi digitali sono al centro della riflessione antitrust internazionale. Mentre l’OCSE apre i lavori del convegno annuale su opportunità e criticità schiuse in siffatti sistemi, l’ICN-network mondiale delle autorità di concorrenza poco dopo mette a fuoco il tema delle barriere all’ingresso in quei mercati digitali in cui vengono offerti prodotti e servizi tra loro tecnologicamente connessi e funzionalmente complementari.

Anche l’Autorità italiana è impegnata in prima linea su questo fronte, con tre provvedimenti aperti: due contro Google e uno contro Amazon.

Ecosistemi digitali, le caratteristiche

Per capire meglio cominciamo dalle basi.

Come ci ricorda l’economia dei sistemi a rete, l’affermazione di un ecosistema digitale non è casuale.

Condizione necessaria ma non sufficiente è la smaterializzazione e di qui digitalizzazione di servizi e attività, l’interconnessione per accedere alla rete e ai prodotti e servizi scomposti, e l’interoperabilità tra i diversi prodotti, che partecipano al medesimo sistema.

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L’ecosistema poi si caratterizza per la presenza di significative economie di scopo e di altrettante economie di scala che attraversano i mercati, consentono notevolissimi risparmi in termini di costo (perché gli stessi fattori produttivi vengono utilizzati per produrre beni e servizi diversi e perché i risparmi aumentano all’aumentare delle quantità).

Si contraddistingue altresì per gli effetti di rete, in forza dei quali il valore dell’ecosistema e dei suoi servizi aumenta all’aumentare del numero di utilizzatori. Si arricchisce per l’uso dei dati[1], massivo e ininterrotto, che è alla base dei nuovi modelli di business, al punto da diventare input ineliminabile nella definizione delle strategie e degli investimenti sul mercato.

Esempi di ecosistemi “felici” sono Google, che, in aggiunta al motore di ricerca, stella polare del suo business model, si rafforza a raggiera su prodotti e servizi diversi ma collegati, come i browser, cioè i software per navigare su internet, i sistemi operativi e il video streaming, o anche Facebook, che dal relativo social network che ne è il marchio e la cifra distintiva, si è via via “allargato” di prodotti e servizi collegati ma diversi dal gaming alla messaggistica, dalla rivendita al dettaglio ai devices.

Ecosistemi digitali e antitrust

Ebbene, le autorità di concorrenza si interrogano sui benefici e sui limiti degli ecosistemi digitali nella prospettiva del mercato.

I primi sono evidenti. I risparmi di costo ben possono essere trasferiti a valle, così traducendosi in riduzioni, anche non irrilevanti, dei prezzi praticati. Di più, quegli stessi risparmi possono irradiarsi, beneficiandone anche prodotti complementari o comunque collegati. Inoltre, l’uso e il riuso di dati che vengono continuamente aggregati e poi scomposti per definire cluster omogenei consentono di adattare i prodotti e servizi offerti alle specifiche esigenze della clientela, personalizzandoli come un “vestito su misura”, e di qui contribuendo a un’esperienza individuale più completa ed appagante.

Quanto ai secondi, l’ingresso agli ecosistemi digitali rischia di non essere agevole, risultando rallentato, se non precluso, dall’esistenza di barriere all’ingresso.

Così le economie di scopo e di scala, che sono alla base dell’affermazione di un ecosistema, rischiano di non poter essere replicate, per la difficoltà di altri operatori di raggiungere dimensionamento e posizionamento tali da poterle generare.

Gli effetti di rete, che consentono all’ecosistema di comportarsi in maniera efficiente, rischiano di non essere accessibili ai terzi, perché per beneficiarne manca loro la dimensione minima utile. I big data, che consentono attraverso algoritmi intelligenti di adattare l’offerta ai bisogni di ciascuno, rischiano di essere un ostacolo, non perché mancano sul mercato dati pubblici o pubblicamente disponibili, ma perché mancano strumenti, processi, tecniche di IA e risorse adeguate ad analizzarli, elaborarli dinamicamente ed in tempo reale e perché il valore creato rischia di rimanere all’interno del sistema – chiuso e circolare[2].

Infine, a guardarla in controluce, quella stessa caratteristica dell’ecosistema di offrire prodotti tecnologicamente connessi e tra loro complementari, svela un Giano bifronte. Intanto perché a essa spesso corrisponde la presenza della stessa impresa ai diversi livelli della catena produttiva, così rendendo la concorrenza sbilanciata rispetto almeno a chi intende entrare ad un solo livello. E poi perché la possibilità di accedere a un bouquet di beni rischia di rendere i clienti “fatalmente attratti” e locked-in, per via dell’asimmetria informativa che regna sul mercato e della tendenza delle preferenze a radicarsi, così che la ricerca di alternative sfuma (anche quando i costi di ricerca non sono ingenti) e finisce per prevalere un atteggiamento di inerzia.

Disfunzioni degli ecosistemi digitali: come risolvere?

Allora cosa fare, ci si chiede in ambito OCSE e internazionale? La sfida da raccogliere è doppia, e ha a oggetto sia la direzione da imprimere all’enforcement antitrust, sia gli spazi da guadagnare alla regolazione.

Mentre insomma ci si chiede se lo strumentario antitrust sia adeguato a intercettare le disfunzioni degli ecosistemi digitali ovvero sia tempo di un cambio di passo, l’Italia, forte degli approfondimenti in tema di big data[3], apre tre diversi procedimenti antitrust, due nei confronti di Google e uno nei confronti di Amazon.

Con il primo, l’Antitrust si propone di verificare se la società, controllata da Alphabet Inc., abbia violato l’articolo 102 TFUE per quanto riguarda la disponibilità e l’utilizzo dei dati per l’elaborazione delle campagne pubblicitarie di display advertising, lo spazio che editori e proprietari di siti web mettono a disposizione per l’esposizione di contenuti pubblicitari[4].

Con il secondo, intende invece accertare se il rifiuto opposto da Google alla richiesta di integrazione della app sviluppata da Enel per le colonnine di ricarica delle auto elettriche nel sistema Android Auto possa qualificare una condotta abusiva, sempre ai sensi dell’art. 102 TFUE e, infine, con il terzo ambisce a verificare se integri una condotta abusiva, sub specie di discriminazione, la strategia di self-preferencing di Amazon consistente nel conferire unicamente ai venditori terzi che aderiscono al servizio di logistica offerto da Amazon stessa vantaggi in termini di visibilità della propria offerta e di miglioramento delle proprie vendite su Amazon.com, rispetto ai venditori che non sono clienti di Logistica di Amazon[5].

Nei tre casi l’AGCM è chiamata a valutare la valenza concorrenziale degli ecosistemi rilevanti. I riflettori sono puntati sulla tenuta del ragionamento ricostruttivo svolto e sulle conclusioni cui l’AGCM approderà. A breve, dunque, ci renderemo conto se le categorie tradizionali del diritto antitrust sono in grado di cogliere e misurare efficacemente gli eventuali effetti anticoncorrenziali degli ecosistemi digitali ovvero se è tempo di una nuova stagione regolamentare perché, come direbbe Montale, “il calcolo dei dati più non torna”.

_________________________________________________________________________________________

  1. http://www.tostisas.it/?idxPg=68&idBlob=2&idRec=4486
  2. https://www.elgaronline.com/view/edcoll/9781788976213/9781788976213.00006.xml
  3. https://www.agcm.it/dotcmsdoc/allegati-news/IC_Big%20data_imp.pdf
  4. https://www.agcm.it/media/comunicati-stampa/2020/10/A542
  5. https://www.agcm.it/media/comunicati-stampa/2019/4/Amazon-avviata-istruttoria-su-possibile-abuso-di-posizione-dominante-in-marketplace-e-commerce-e-servizi-di-logistica

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