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Il sindacato non entra: Amazon vince, ma il suo “incantesimo” rischia di svanire

Amazon vince la battaglia contro l’ingresso del sindacato in azienda, ma dovrà continuare a combattere per proteggere il suo lato oscuro. Quello che garantisce un ciclo sempre più veloce tra desiderio dei consumatori, ordine e consegna, ma si gioca sulla pelle dei lavoratori in un clima politico non più troppo favorevole

Pubblicato il 14 Apr 2021

Sabino Di Chio

Docente di Media e Consumi Culturali, Università degli Studi di Bari

amazon

Bessemer, Alabama ha detto no: non sorgerà in quello stabilimento la prima sezione di lavoratori Amazon iscritti ad un sindacato. Un voto dal risultato non sorprendente: negli Usa la sindacalizzazione nel settore privato è scesa negli ultimi anni al 6,4%[1], quasi alla soglia di sopravvivenza, e l’azienda si sarebbe resa protagonista di una dura campagna di ostruzionismo che ha spinto la Retail, wholesale and department store Union ad annunciare ricorso in appello.

La notizia conferma l’egemonia possente della corporation guidata dall’uomo più ricco del mondo, al termine di un anno pandemico che l’ha vista splendere sulle macerie[2]. In Alabama come negli altri stabilimenti continueranno i ritmi convulsi di lavoro, il rischio infortuni, l’allarme sicurezza Covid. Allo stesso modo, però, dovrà proseguire la battaglia difensiva di Amazon per proteggere quel che ha più caro: il silenzio sul lato oscuro, i passaggi intermedi tra ordine e consegna, sul cui oblio si fonda l’incanto che rende i suoi servizi irresistibili.

Come nasce l’egemonia di Amazon

Dove nasce l’egemonia di Amazon? Il cuore pulsante risiede nel rapporto immediato tra domanda e offerta che riesce a creare. È una vera e propria alleanza quella che Amazon riesce a stringere con l’utente, mostrandogli tutti i vantaggi della disintermediazione: consumatori e venditori, in contatto diretto su piattaforma senza mediatori umani portatori di diversivi e distorsioni. Al centro un algoritmo efficiente in grado di connettere le due vaste popolazioni di acquirenti e fornitori con un’approssimazione vicina alla perfezione, che fa sentire i consigli quasi intimi, i suggerimenti amichevoli nell’anticipare gusti ed esigenze, senza gli sforzi dello shopping in centro, la taglia che non c’è, la commessa invadente. L’algoritmo è un prodigio tecnico costruito intorno all’intuizione precoce di Bezos sulle potenzialità dell’utilizzo secondario dei dati, da incrociare, comparare e correlare oltre il loro semplice accumulo. A correggere la proposta elettronica, il conforto più caldo di una vox populi fatta di migliaia di pari, recensori e dispensatori di stelline. Solo l’essenziale dell’esperienza dell’acquisto, dunque, in una dematerializzazione magica che a 25 anni di distanza ancora “re-incanta” perché fa implodere lo spazio ed il tempo, come spiegava George Ritzer, con la spettacolarità del ciclo sempre più accelerato tra desiderio, ordine e consegna.

È noto da tempo quanto la magia di questo cuore pulsante sia più simile ad un incantesimo che fa dimenticare la complessa organizzazione che ogni giorno permette al miracolo di riprodursi con puntualità. La piattaforma in 26 anni ha mostrato una forma sempre meno piatta e rigida ma più inclinata ed elastica.

L’abuso di posizione dominante e il processo di “automazione umana”

La forza matematica dell’algoritmo ottimizza sì l’esperienza ma recintando il giardino della compravendita che, gradualmente, diventa un pendio scivoloso soprattutto per i fornitori terzi costretti ad accettare pratiche audaci di contrasto alla concorrenza pur di restare in vetrina. Fino all’abuso di posizione dominante, accusa formale della Commissione Europea[3], che sottolinea la mancanza di neutralità della piattaforma e la confusione di ruolo tra arbitro e giocatore. La storia raccontata dal Wall Street Journal a dicembre 2020 sui treppiedi per fotocamera della Pirate Tradings[4], prima ospitati nelle bacheche elettroniche poi, visto il successo, copiati e venduti sotto il marchio AmazonBasics fino alla sospensione del concorrente, offre uno spaccato completo delle potenzialità del monopolio, pur nel recinto opaco del rispetto delle regole. Come dimostrato nel report dell’avvocato Lina Khan, probabile nomina di Biden all’Antitrust, Amazon ha raggiunto una posizione che le permette ingenti investimenti in perdita pur di eliminare i competitor e aumentare la base clienti (fonte preziosa di dati), tutto a scapito dell’interesse generale all’innovazione. I monopoli si pagano così, con le opportunità mancate.

L’attenzione ad un concorrente minuscolo come Pirate Tradings mostra la fame da startup di Amazon che impregna tutta la filiera organizzativa a partire dalla casa madre di Seattle. Nel 2015 il New York Times ha raccontato il “darwinismo calcolato”[5] dei colletti bianchi, invitati a seguire un decalogo che prevede come prima regola “essere ossessionati dal cliente”. Linguaggio ostile, interazioni aggressive, inviti alla resistenza, velocità e superamento costante dei limiti delle performance, suggeriti dalla stella polare dei dati che non profilano solo il cliente ma misurano anche la performance alla scrivania e in magazzino. Negli ultimi dieci anni il racconto delle condizioni di lavoro tra i corridoi dei centri di smistamento ripete un mesto standard fatto di palmari che contano passi[6], sorveglianza dei movimenti, gamification per evitare distrazioni[7]. La sfida è quella di motivare il lavoro umano nella competizione con la robotica. Si predilige ancora assumere lavoratori perché più efficienti nello smistamento degli articoli ma i ruoli sono integrati in un processo di “automazione umana”. Il tutto in hub insediati in territori in declino, in cui le amministrazioni facciano a gara per dare contributi e la disoccupazione faccia da deterrente per gli abbandoni.

La condizione dei lavoratori

La breve rassegna delle solide tappe intermedie che scandiscono la magia della disintermediazione mostra quanto la materialità possa incunearsi nella scenografia dell’apparente parità tra consumatore e venditore. Il faccia a faccia digitale si inclina inesorabilmente in un’asimmetria ripida dove in cima la piattaforma gode di una concentrazione di conoscenza, potere e ricchezze inedita a fronte dello scivolamento verso il basso della classe media dei consumatori. Non peggiora, infatti, solo la qualità del lavoro ma anche l’habitat. Le città affrontano sfide per cui non sono state progettate: prive di commercio di prossimità, attraversate dal traffico dei furgoni, saturate di scatole sorridenti da smaltire. Le consegne sono garantite da fattorini sui quali ricade la responsabilità dell’ultimo miglio, quello più ricco di incognite per il mantenimento dell’incanto. In Italia, è questa la categoria oggi più presente nel dibattito, dopo lo sciopero del 22 marzo, il primo al mondo della filiera indetto da Filt Cgil, Fit Cisl e Uiltrasporti con adesione dichiarata al 70-75%.

I sindacati da questa parte dell’oceano non devono chiedere l’autorizzazione per avviare una mobilitazione che denunci ritmi e tempistiche troppo sfidanti, dettati da una pianificazione di percorso elettronica secondo la quale in strada “non c’è mai traffico e c’è sempre il sole”[8]. A fronte di stipendi che si collocano nella fascia medio-alta del settore, si maneggiano 180 pacchi al giorno, per ognuno sarebbero previsti 3 minuti di pausa[9], ma le testimonianze raccontano di intervalli insufficienti anche per le più elementari esigenze. La scorsa settimana, l’azienda negli Usa ha ammesso[10] che i suoi driver fossero costretti a pratiche poco dignitose, chiedendo scusa al congressman democratico Mark Pocan[11] precedentemente attaccato con sdegno su Twitter sul tema.

La propaganda social deli Amazon ambassador

E i social sono l’ultima frontiera dell’egemonia di Amazon. Mai solo tecnologica o economica ma profondamente culturale perché risposta ad una accelerazione e personalizzazione delle scelte del consumatore tardo moderno che il negozio tradizionale non poteva più soddisfare. Come afferma Shira Ovide sul New York Times[12], non sono le dimensioni dell’azienda a colpire ma il fatto che “Amazon guida l’attenzione della gente, delle altre compagnie e dei governi perché è influente nel dare forma nuova al mondo”. Amazon ha cambiato i comportamenti domestici, ha promosso la domotica con Echo, gli ebook con Kindle, lo streaming con Twitch, ma l’influenza culturale è un terreno scivoloso, perché contendibile al di là del dominio economico. Il dibattito pubblico sul lato oscuro potrebbe rompere l’incantesimo della trinità utente/piattaforma/merce affiancando alla magia le immagini e i sentimenti della disuguaglianza.

È anche per questo che, come rivelato da The Intercept[13], il territorio dell’opinione va presidiato, esportando gli stessi metodi rodati in ufficio, in magazzino e sui furgoni. Nel 2018 è stato lanciato il programma Amazon Ambassador che organizza un esercito di twittatori tra i dipendenti dell’azienda incaricati di intervenire nelle conversazioni e rispondere colpo su colpo ad eventuali accuse. La propaganda infiltrata nelle conversazioni spontanee è un altro tassello della “cultura orizzontale” della rete smantellato da una internet company in nome della calcolabilità estrema. Nel 2018, una campagna chiamata sobriamente Veritas ha reclutato collaboratori con spiccato senso dell’umorismo e amore per l’azienda, pronti a seguire un manuale di istruzioni al dibattito in cui gli esempi facevano troppo spesso riferimento alle tesi dei senatori con simpatie socialiste Bernie Sanders ed Elizabeth Warren.

Conclusioni

L’operazione appare contemporaneamente un atto di forza e una dimostrazione di debolezza. La capacità di intervenire sulla percezione dell’opinione pubblica è una delle caratteristiche delle big tech ma una militarizzazione difensiva come quella raccontata da Intercept svela un riflesso di preoccupazione negli occhi del gigante. Sensazione che si dilata con l’ammissione dell’autogol rispetto alle dichiarazioni di Mark Pecan che interrompe l’orgoglioso e puntuale elenco dei meriti dell’innovazione che di solito contraddistingue la comunicazione dell’azienda.

La convergenza tra le rivendicazioni dei lavoratori, l’impatto emotivo dei loro racconti che si irradia nella quotidianità di ognuno, la mutazione del clima politico negli Usa e in Europa riguardo la regolazione dei monopoli in rete e la presa di consapevolezza del lato oscuro da parte di un numero sempre più ampio di cittadini sfiancati dalla pandemia rischia di coagulare un dissenso che va oltre il danno d’immagine per diventare appoggio, anche silenzioso, alle proposte politiche sempre più diffuse di redistribuzione degli utili e riordino fiscale. Chi ne recita la formula sa che a volte basta poco per rompere un incantesimo.

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  1. https://www.ilo.org › publication › wcms_760106
  2. https://www.reuters.com/article/us-amazon-com-results-idUSKCN24V3HL
  3. https://ec.europa.eu/commission/presscorner/detail/en/ip_20_2077
  4. https://www.wsj.com/articles/amazon-competition-shopify-wayfair-allbirds-antitrust-11608235127
  5. https://www.nytimes.com/2015/08/16/technology/inside-amazon-wrestling-big-ideas-in-a-bruising-workplace.html
  6. https://www.ft.com/content/ed6a985c-70bd-11e2-85d0-00144feab49a
  7. https://www.lastampa.it/tecnologia/news/2019/05/25/news/amazon-sfrutta-la-gamification-per-rendere-il-lavoro-un-gioco-1.33704198
  8. https://www.ilfattoquotidiano.it/2021/03/22/amazon-schiavi-di-un-algoritmo-abbiamo-3-4-minuti-a-consegna-andare-in-bagno-ci-arrangiamo-una-giornata-con-un-driver-videoracconto/6139146/
  9. https://www.ilsole24ore.com/art/la-filiera-40mila-amazon-presidio-tutta-italia-societa-risponde-dipendenti-nostra-priorita-ADPbQ7RB#U301181455089GV
  10. https://theintercept.com/2021/03/25/amazon-drivers-pee-bottles-union/
  11. https://www.aboutamazon.com/news/policy-news-views/our-recent-response-to-representative-pocan
  12. https://www.nytimes.com/2021/03/30/technology/amazon-market-size.html
  13. https://theintercept.com/2021/03/30/amazon-twitter-ambassadors-jeff-bezos-bernie-sanders/

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