il progetto di ricerca

Quantificare i diritti e le libertà in scenari critici: come bilanciare tutti gli interessi in campo

I diritti e le libertà fondamentali hanno una natura che ne rende la calcolabilità più complessa e sono, di solito, esclusi dal raffronto con gli aspetti economici, occupazionali, sociali, sanitari, che invece sono esprimibili in termini quantitativi. Un team di ricerca italiano sta esaminando il problema

Pubblicato il 26 Apr 2021

Giulia Pinotti

Assegnista di Ricerca e PhD in Diritto amministrativo e Droit Comparé

Amedeo Santosuosso

IUSS Pavia e Dipartimento giurisprudenza UNIPV

digital-rights

Attori pubblici o privati possono trovarsi a dover prendere in tempi molto rapidi decisioni che tengano conto di una pluralità di fattori. La pandemia da Covid-19 ha reso drammaticamente chiaro tutto ciò. Ma, e questa è la nostra domanda, le decisioni sono state prese sulla base di elementi fattuali sicuri (dati completi e correttamente elaborati) e in un contemperamento adeguato tra i diversi interessi sottostanti?

Se si pensa, per esempio, alla questione della chiusura delle scuole è interessante scoprire che dall’inizio della pandemia a livello internazionale le scuole sono state chiuse «senza sufficiente evidenza del loro ruolo nella trasmissione del Covid-19 e senza sufficiente considerazione dei danni per i bambini», secondo quello che riporta uno studio pubblicato sul British Medical Journal del febbraio 2021, ripreso da Vincenzo Galasso e Paola Profeta (Università Bocconi di Milano)[1].

Ecco il punto: non sono stati considerati gli effetti dannosi per i bambini e anche per l’occupazione femminile. E perché? Se la mancanza di considerazione per gli effetti sull’occupazione delle donne può essere frutto di colpevole incuria (i dati ci sono e sono chiari!), sugli effetti sulla salute dei bambini potrebbe aver giocato un qualche altro aspetto intrinseco, come la mancanza di dati quantitativi sui danni alla salute dei bambini. Ma come mettere in comparazione la salute dei bambini, e il loro diritto alla salute, con i dati quantitativi sui contagi e sui morti di Covid-19? Questi ultimi si esprimono in termini numerici, i diritti invece no, o almeno così si pensa comunemente.

Un gruppo di ricerca interdisciplinare italiano è al lavoro per analizzare il problema: di esso fanno parte gli autori di questo articolo (che afferiscono al Centro di ricerca ECLT dell’Università di Pavia), il professor Riccardo Bellazzi (Direttore del dipartimento d’ingegneria industriale e dell’informazione, Università̀ di Pavia), il professor Alberto Monti (Scuola Universitaria Superiore di Pavia, IUSS), la dottoressa Marta Tomasi (Università di Trento) e Francesco Mondora (mondora srl). E di questo lavoro hanno parlato il 19 marzo 2021, in un evento della Milano Digital Week dal titolo “Rights and Risks. Quantificazione dei diritti in scenari critici”.

Il problema

Dicevamo prima che attori, tanto pubblici quanto privati, possono essere chiamati a prendere in tempi molto rapidi decisioni che tengano conto di una pluralità di fattori. Di questi fattori alcuni sono immediati, e soprattutto agevolmente esprimibili in termini quantitativi, mentre altri hanno una natura che rende le loro definizioni e calcolabilità più complesse, o persino, nell’opinione tradizionale, impossibile, in quanto suscettibili di apprezzamento solo qualitativo. Questi secondi fattori sono, tuttavia, essenziali affinché la decisione (atto pubblico di un’istituzione o determinazione di un ente privato) risulti il più possibile corretta, in quanto frutto di un bilanciamento che tenga conto di tutti gli interessi in campo. I diritti e le libertà, specie quelli fondamentali, appartengono a questa seconda categoria e sono, di solito, esclusi dal raffronto con gli aspetti economici, occupazionali, sociali, relativi alla salute, che invece sono esprimibili in termini quantitativi (per esempio, il numero di occupati, di ricoveri, l’entità della produzione di beni e servizi, e altro).

Questa disomogeneità e, quindi, incompletezza della visione, è una carenza rilevante dal punto di vista sia della gestione politica e sociale, sia degli equilibri costituzionali. Infatti, nella gestione di un’emergenza, i diritti fondamentali possono incontrare limitazioni o compressioni che, tuttavia, non devono mai essere sproporzionate rispetto all’obiettivo emergenziale da fronteggiare. Quanto più grave è la compressione di un diritto o di un principio costituzionale, tanto più essa deve essere circoscritta nel tempo.

Tradizionalmente ai diritti e alle libertà si riserva, per lo più, un’aura di intangibilità e, soprattutto, di non riducibilità quantitativa, per la quale si paga però il prezzo dell’esclusione dalla considerazione e comparazione con altri aspetti sociali quantificabili. La prima questione è, quindi, se sia del tutto vero che i giuristi e gli operatori del diritto non facciano ragionamenti di tipo quantitativo sui diritti e sulle libertà.

Il bilanciamento dei diritti fondamentali

Che i diritti fondamentali siano oggetto di un giudizio di bilanciamento è evidente nella giurisprudenza costituzionale, come si vedrà nel paragrafo successivo. È interessante però preliminarmente riferirsi alle “parole” che la Corte utilizza per affrontare il tema della necessaria composizione fra diritti contrapposti: dai primi riferimenti, nel 1988, a una ragionevolezza che, «lungi dal comportare il ricorso a criteri di valutazione assoluti e astrattamente prefissati, si svolge attraverso ponderazioni relative alla proporzionalità̀ dei mezzi prescelti»[2] si approda a una dimensione di «razionalità pratica»[3].

Razionalità pratica che consente un passaggio ulteriore: la compressione di un diritto, per essere costituzionalmente legittima, deve comportare un vantaggio misurabile al diritto contrapposto. O meglio, osserva la Corte, non è conforme a Costituzione una norma che introduca la compressione di un diritto a cui «non corrisponde, prima facie, un paragonabile incremento della tutela del contrapposto interesse alla salvaguardia dell’ordine pubblico e della sicurezza dei cittadini»[4].

In un passaggio esemplare, nel 2013, i giudici costituzionali, a proposito del caso ILVA, affermano la necessità del giudizio di bilanciamento, non potendosi affermare la prevalenza tout court di alcuni diritti su altri: difatti «tutti i diritti fondamentali tutelati dalla Costituzione si trovano in rapporto di integrazione reciproca e non è possibile, pertanto, individuare uno di essi che abbia la prevalenza assoluta sugli altri. La tutela deve essere sempre «sistemica e non frazionata in una serie di norme non coordinate ed in potenziale conflitto tra loro» (sentenza n. 264 del 2012). Se così non fosse, si verificherebbe l’illimitata espansione di uno dei diritti, che diverrebbe “tiranno” nei confronti delle altre situazioni giuridiche costituzionalmente riconosciute e protette, che costituiscono, nel loro insieme, espressione della dignità̀ della persona»[5]. Questo approdo, però, è frutto di una complessa evoluzione compiuta sia dalla giurisprudenza, sia dagli studiosi di diritto costituzionale cui ha dedicato il suo intervento la dottoressa Tomasi.

Gli sviluppi del diritto costituzionale

Tradizionalmente, ha osservato Tomasi, si sono contrapposte due posizioni: da una parte vi era chi negava la possibilità che i diritti costituzionali entrassero in conflitto, perché la Costituzione avrebbe disegnato una gerarchia stabile, con criteri logici fissi, all’interno della quale ciascun diritto ha un peso specifico che consente di decidere se esso prevalga o soccomba quando confrontato con un altro. Dall’altra parte, vi erano coloro che sostenevano che un conflitto fra diritti costituzionali è ineludibile e che ritenevano necessario procedere a continui bilanciamenti variabili. I diritti quindi non solo sarebbero “pesabili”, ma il loro peso varierebbe al variare di tutta una serie di condizioni a contorno.

Se questa seconda posizione si può dire ormai prevalente, la questione importante è individuare quali siano le variabili che incidono sul peso di un diritto. In primo luogo vi sono quelle che potrebbero essere qualificate come interne: viene in rilievo, ad esempio, la concretezza della posizione considerata o dell’interesse in gioco. Questo primo elemento attiene alla struttura dei diritti: vi sarebbe un nucleo centrale, irriducibile, che non può mai essere intaccato, e un perimetro di protezione, che è composto da diverse posizioni con forza minore rispetto al nucleo, ma variabili fra loro. Da un punto di vista strettamente giuridico, ad esempio, il diritto all’educazione dei bambini molto piccoli cede di fronte al generale interesse alla tutela della salute, e infatti i bambini in età prescolare non possono frequentare la scuola materna se non vaccinati. Diversamente, lo stesso diritto allo studio, in una sua diversa configurazione, prevale sull’interesse alla salute collettiva, a partire dai sei anni. Difatti in questo caso è sufficiente il pagamento di una sanzione per poter partecipare alle attività scolastiche. Quindi una diversa declinazione concreta dello stesso diritto ne può cambiare il peso anche in maniera rilevante. E vi sono poi variabili esterne, come ad esempio il sentire sociale, che muta nel tempo (è stato il caso dell’evoluzione giurisprudenziale sulla legittimità costituzionale del reato di bestemmia) o lo stato delle conoscenze scientifiche, che possono incidere sulle forme di tutela del diritto alla salute. Due variabili esterne, però, sono essenziali nel quadro che stiamo ricostruendo – anche con riferimento alla recente pandemia:

  • L’emergenza. In diverse occasioni la Corte costituzionale ha ritenuto accettabile una limitazione dei diritti costituzionali derivante da misure che avessero, però, natura temporanea e che quindi consentissero – dopo un certo lasso di tempo, rientrata la situazione di emergenza o di crisi – la riespansione del diritto.
  • La limitatezza delle risorse. A partire dagli anni ’90, mostrando una crescente sensibilità al contenimento della spesa pubblica, la Corte costituzionale ha introdotto l’impiego di formule quali quella dei “diritti finanziariamente condizionati”, al fine di bilanciare la tutela dei diritti fondamentali con le esigenze delle finanze pubbliche.

L’analisi economica del diritto può aiutare?

Nella tradizionale impostazione dell’analisi economica del diritto gli esercizi di misurazione quantitativa partono dal presupposto che il diritto sia una fonte di costi (transattivi) oppure funzioni come strumento allocativo delle risorse scarse, sicché la misurazione riguarda precipuamente gli effetti delle regole giuridiche sull’economia e sul mercato, in chiave di efficienza.

Qui invece, lo ha rilevato Monti, la prospettiva è diametralmente opposta, in quanto l’oggetto della misurazione è la compressione dei diritti e delle libertà fondamentali, i quali sono dati esogeni al “modello di analisi” e di per sé oggetto di tutela, la cui meritevolezza non può essere, appunto, messa in discussione.

Gli strumenti per la misurazione del loro sacrificio sono quelli consueti delle Scienze sociali, i quali derivano dati quantitativi da indicatori o proxy (nella specie attinti dalle modalità concrete di estrinsecazione del diritto, ossia il suo atteggiarsi in forma pratica) dell’oggetto della misurazione che di per sé non risulta immediatamente “misurabile”.

Questo chiarimento consente di fugare ogni possibile dubbio su un punto delicato. Quello di cui si sta discutendo, e la proposta del gruppo interdisciplinare, non è di quantificare i diritti e le libertà tout court, ma di individuare quelle loro estrinsecazioni pratiche che possano funzionare come indicatori esprimibili in termini quantitativi. Quindi, non il diritto all’istruzione in sé, ma il numero di giorni di scuola aperta/chiusa, se accompagnati da didattica a distanza o meno, se questa è di qualità didattica improvvisata o consapevole, se la connessione alla rete è veloce o meno, e ancora.

Un progetto di ricerca e un modello di previsione

Se, da un lato, è manifesta l’esigenza pratica di tradurre sul piano quantitativo variabili che altrimenti sfuggirebbero all’analisi dei decisori istituzionali (soprattutto quando tali decisioni debbono essere prese d’urgenza e sotto pressione, come nel caso di un’emergenza epidemiologica), dall’altro detta traduzione è attività assai delicata, in quanto richiede l’individuazione, la calibrazione e l’utilizzo di indicatori e parametri che possano riflettere in un calcolo quantitativo valori – quali quelli espressi dai diritti e dalle libertà – che sono pienamente apprezzabili soltanto sul piano qualitativo.

Ciò posto come monito, il progetto di ricerca si propone di indagare se sia possibile, e in quale modo, delineare modelli che consentano di effettuare previsioni – probabilistiche o deterministiche – valide circa l’impatto che una legislazione emergenziale può avere sulla compressione di diritti e libertà fondamentali. L’elaborazione di affidabili modelli di previsione che consentano di far emergere ex ante correlazioni tra regola giuridica dettata dall’emergenza e limitazione di diritti e libertà fondamentali è di fondamentale importanza per il legislatore, il quale avrebbe così a disposizione strumenti utili che lo orientino e lo supportino nella delicata fase della individuazione di un equo bilanciamento tra interventi dettati dall’emergenza e salvaguardia dei diritti e delle libertà fondamentali.

Da tempo, a livello mondiale si sono sviluppate ricerche giuridiche transdisciplinari volte a far emergere affidabili predizioni sugli effetti di una data riforma in un dato ordinamento giuridico di riferimento. Questa attività di misurazione degli effetti è efficace in ambiti ove è possibile individuare una chiara correlazione quantitativa, come, ad esempio, quella che sorge tra qualità della regolamentazione dell’attività delle imprese ed efficienza dal punto di vista economico di un dato sistema giuridico. Questo tipo di analisi consente di rendere predicibili gli esiti di scelte istituzionali e normative del sistema giuridico oggetto di indagine (fondamentalmente ai fini di rendere l’ordinamento attraente, e ciò nel tentativo di facilitarne lo sviluppo economico e lo svolgimento dell’attività di impresa).

In questo panorama, manca un’analisi quantitativa che sia in grado di individuare la ricaduta della compressione di diritti e libertà fondamentali, laddove invece l’emergenza sanitaria in corso ha messo in evidenza come determinate scelte di diritto emergenziale abbiano avuto e abbiano ancora un effettivo impatto sulla capacità di fruire di diritti e libertà fondamentali. Riuscire a individuarne un “peso”, consentirebbe di poter inserire anche questa componente nella misurazione complessiva degli esiti di una legislazione d’emergenza. A tale profilo, infatti, non pare essere stata dedicata la dovuta attenzione dalle istituzioni e, peraltro, neanche dagli studiosi nel mondo accademico, e ciò crea una lacuna importante. Lacuna che il progetto di ricerca del gruppo interdisciplinare di cui sopra intende colmare, anche elaborando un modello di attività di previsione pro futuro.

Dataset, algoritmi e software analysis

Raccogliere dati/indicatori in dataset di adeguato volume, di buona e omogenea qualità, ben organizzati e privi di vizi sistematici (bias) è il problema ben noto in qualsiasi ricerca quantitativa. Come ha ricordato Bellazzi nella raccolta e organizzazione dei dati noi proiettiamo, anche inconsapevolmente, le nostre visioni e i nostri pregiudizi. È necessaria una grande attenzione critica su questo punto così come sugli algoritmi applicati.

Tra i diversi profili si possono ricordare i seguenti. L’algoritmo è solo una delle due componenti fondamentali nelle applicazioni dell’IA, mentre l’altra è costituita dal set di dati sui quali l’algoritmo

viene applicato. Il bias si può celare nel set di dati (da dove provengono i dati? Come vengono raccolti e selezionati?) oppure negli algoritmi applicati, per i quali si pone un analogo problema di qualità e caratteristiche, oppure nell’interazione tra dati e algoritmo, tanto che si può ipotizzare che un dataset

accurato e un algoritmo in sé corretto producano un risultato erroneo o biased a causa, per esempio, della inidoneità del dataset a fornire le risposte cercate dall’algoritmo.

Nel caso della ricerca di cui si sta parlando la prima operazione che è stata avviata è stata quella di un’analisi concettuale di uno specifico diritto, quello all’istruzione, e delle sue principali estrinsecazioni pratiche, alle quali sono state affiancate quelle di diritti confliggenti, come il diritto al lavoro degli adulti oppure il diritto alla privacy di professori e studenti che si incontrano in un’aula virtuale. Qui di seguito si riportano alcune immagini (opera di Marco Bertoni di Mondora srl), che mostrano proprio questo primo tentativo di concettualizzazione.

La prima immagine mostra una scala di compressione del diritto allo studio, dove si suggeriscono dei parametri quantitativi per effettuare la valutazione.

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Sarebbe errato però – ed è l’oggetto della seconda immagine – effettuare una valutazione sul grado di compressione, come se il diritto allo studio fosse un’unica inscindibile entità. Esso è composto da diversi elementi e ciascuno ha una più o meno ampia portata a seconda del grado di istruzione che si analizza, dalla materna fino all’università. Ad esempio, il diritto al lavoro degli studenti (inteso come diritto di accesso al medesimo) comincia ad essere considerato come entità autonoma soltanto a partire dalle scuole superiori.

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In quest’ultima immagine si vede il diritto allo studio calato nella dimensione conflittuale, in un’arena dove si scontra non solo con il diritto alla salute ma anche con i dati tipici della pandemia.

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Tutto ciò costituisce solo una proof of concept di quantificazione, con oggetto il diritto allo studio. Le immagini appena mostrate vogliono essere il punto di partenza della riflessione di questo gruppo di lavoro, che si pone come obiettivo lo sviluppo di analisi concettuali delle estrinsecazioni di diritti e libertà confliggenti, che possano, come illustrato da Francesco Mondora, portare pensiero sistemico e del service design nel banco di lavoro del diritto, con matrici informative e relazioni fra dati e informazioni. Il passo successivo è la progettazione di servizi con intelligenza artificiale per classificare e attuare servizi a supporto delle decisioni, quindi un primo pezzo di una piattaforma software come strumento orientato a favorire la decisione per istituzioni pubbliche e privati.

Una nuova sfida per l’intreccio sempre più fitto tra tecnologie digitali e diritto.

_____________________________________________________________________________________

  1. Sarah J. Lewis et al, Closing schools is not evidence based and harms children, BMJ 2021; 372 doi: https://doi.org/10.1136/bmj.n521 (Published 23 February 2021). L’articolo di Vincenzo Galasso e Paola Profeta è apparso sul Corriere della sera dell’8 marzo 2021, a p. 6.
  2. Sentenza della Corte costituzionale n. 1130 del 1988
  3. Sentenza della Corte costituzionale n. 172 del 1996
  4. Sentenza della Corte costituzionale n. 143 del 2013. Il caso in esame verteva sulla legittimità di una norma che limitava i colloqui dei detenuti con i loro difensori. Secondo i giudici la compressione del diritto di difesa non era giustificata da una sufficiente tutela garantita dalla disposizione alla sicurezza e all’ordine pubblico.
  5. Sentenza della Corte costituzionale n. 85 del 2013

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