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Comunicare i vaccini, come usare bene i social per una campagna efficace

Il monitoraggio delle conversazioni sui social sui brand vaccinali e la loro interpretazione con la sensibilità del marketing potrebbero fornire gli elementi necessari a supporto di una campagna di comunicazione pubblica efficace e risolutiva. I primi insight dalla ricerca Bocconi – ThatMorning

Pubblicato il 27 Apr 2021

Elena Bellio

Dipartimento di Management Università Cà Foscari, Venezia, Docente di marketing ed innovazione nei servizi pubblici

Luca Buccoliero

Docente di marketing dei servizi sanitari e di innovazione digitale in sanità, Dipartimento di Marketing Università Commerciale “Luigi Bocconi” Milano

Michele Civiero

Social media analyst ed esperto di comunicazione digitale - ThatMorning, Milano

Aurelia Murello

Business analyst ed esperta in business intelligence per l’industria farmaceutica e Lifescience - ThatMorning, Milano

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Con l’obiettivo di iniziare a catturare i principali insight che emergono dalle conversazioni in relazione ai brand vaccinali, un team composto da ricercatori del Dipartimento di Marketing dell’Università Bocconi e da analisti della società ThatMorning, specializzata nel monitoraggio di notizie del settore LifeSciences ed Healthcare, ha avviato una prima ricognizione dei sentiment espressi sui principali social media a fronte di menzioni pubblicate sul web in siti di news e magazine, blog e forum in lingua italiana.

Nel corso dell’ultimo mese sono state individuate ed analizzate circa 100.000 distinte menzioni web e di ciascuna è stato analizzato il valore di engagement generato in Facebook (somma di like, commenti e condivisioni). Il numero appare in crescita esponenziale negli ultimi giorni, anche alla luce delle notizie più recenti che hanno riguardato i vaccini di AstraZeneca e J&J.

L’analisi preliminare sin qui condotta ha consentito innanzitutto di confermare l’elevata capacità della tematica in oggetto di generare engagement sui social, ossia di provocare dibattiti articolati e vivaci, qualunque sia l’aspetto specifico oggetto di trattazione con riferimento ai vaccini anticovid.

È stato inoltre possibile individuare preliminarmente alcune menzioni specifiche della tematica “vaccini Covid” a fronte delle quali il dibattito sembra accendersi e che caratterizzano in modo specifico e distintivo i brand, determinandone i diversi posizionamenti. Proponiamo di seguito una prima disamina dei principali insight raccolti in questa prima fase esplorativa e descrittiva della ricerca.

Il fascino della scarsità

La scarsità dei vaccini disponibili rappresenta un argomento di rilevanza prioritaria nel dibattito. Appare interessante osservare che il principio della scarsità è un elemento fondamentale del processo di persuasione e risponde alla cosiddetta “regola dei pochi” (Sacchi 2016): le opportunità appaiono più desiderabili quando sono limitate. Ciò che non è facilmente reperibile assume un valore più elevato e la minaccia di non poter avere qualcosa e di doversi arrendere all’idea di esserne privi aziona un senso di urgenza e un atteggiamento meno normativo da parte del consumatore, mentre la possibilità di accedervi viene letta come un’opportunità esclusiva. Queste considerazioni permettono di ipotizzare che il marketing possa sfruttare questa tensione enfatizzandola con un’adeguata campagna di comunicazione (scarcity marketing) per incrementare un sentiment positivo verso l’adesione alla campagna vaccinale.

Accade infatti che, nel dibattito social, i brand disponibili in quantitativi più limitati (ad esempio Moderna) o addirittura quelli non ancora disponibili per mancanza di autorizzazioni (ad esempio Sputnik o, per un certo periodo, Johnson&Johnson) siano per questo stesso motivo i più desiderabili.

Vaccini “à la carte”

Il tema della “libertà di scegliere” il vaccino da ricevere è sicuramente tra quelli più ricorrenti e dibattuti, soprattutto in quei contesti in cui si esprime una diffidenza di fondo nei confronti della stessa opportunità di sottoporsi a vaccinazione. I cittadini esprimono a gran voce il loro innato desiderio di empowement (ottenere informazione e controllo nei propri processi di consumo) e, soprattutto alla luce del calo di popolarità di alcuni brand a causa di possibili eventi avversi ancora oggetto di studio, sottolineano la frustrazione derivante dall’impossibilità di effettuare una scelta del vaccino soggettivamente ritenuto “ideale”. Si osserva come, in molti casi, proprio questa argomentazione supporti una più generale resistenza al vaccino, che si traduce nel rinvio della vaccinazione a “quando sarà possibile scegliere” il brand prediletto (spesso indicato tra quelli non ancora disponibili o comunque tra quelli più difficili da reperire).

Nomen Omen

Interessante notare che il brand dei vaccini utilizzato nelle conversazioni sui “menu vaccinali” coincide sempre con quello della casa farmaceutica che lo ha sviluppato. Ancora ignorato anche nelle discussioni più recenti, ad esempio, il nuovo brand name commerciale del vaccino AstraZeneca (Vaxzevria), divenuto ufficiale nel mese di aprile probabilmente con l’intento di migliorarne il posizionamento percepito attraverso un’operazione di renaming. L’unico marchio che dispone di un nome proprio del vaccino è il russo Sputnik, il cui brand name è il solo ad avere tutte quelle caratteristiche distintive, anche simboliche ed allusive, che ne hanno decretato una immediata e facile memorizzazione, facendolo divenire di uso comune e contribuendo al suo posizionamento percepito.

Un approccio di marketing strategico: i vantaggi della prima mossa

Il monitoraggio delle conversazioni sui social consente di confermare i vantaggi strategici di cui, come è consuetudine nelle dinamiche di marketing, gode il brand Pfizer in quanto primo occupante del mercato e dunque percepito detentore naturale della leadership tecnologica. La copertura mediatica riservata, già a partire da dicembre, alle notizie delle prime consegne dei vaccini Pfizer ai centri vaccinali, insieme all’immagine di vaccino fortemente innovativo che lo ha contraddistinto sin dalle primissime fasi di sviluppo, hanno senza alcun dubbio contribuito a determinare un forte ed univoco riconoscimento del brand Pfizer.

Gli altri brand, il cui lancio sul mercato è stato posticipato anche per motivazioni legate all’iter autorizzativo, tendono ad essere indistintamente percepiti come “late comers” con la sola eccezione, almeno fino all’annuncio di una sospensione cautelativa della sua distribuzione per possibili eventi avversi (avvenuto il 13 aprile), del vaccino J&J. Anche se è difficile prevedere le prossime evoluzioni, J&J appare ancora in grado, nelle conversazioni sin qui monitorate, di capitalizzare i vantaggi del “second mover” grazie anche ad una sapiente campagna di comunicazione ed allo schema di somministrazione monodose percepito come una fondamentale e risolutiva differenziazione rispetto ai competitor. Questa positiva percezione sembra proteggerlo, più di quanto non sia avvenuto per AstraZeneca, dai rischi di immagine legati ai presunti avversi riscontrati nella fase di vaccinazione massiva. Infine, Sputnik riveste per ora il ruolo di un potenziale nuovo entrante e come tale la seduzione della promessa sembra prevalere sulla valutazione clinica e scientifica.

L’etica del prezzo

Il prezzo dei diversi brand sembra agire, nelle conversazioni esaminate, come elemento di effettiva differenziazione dei vaccini. In generale, proprio attorno a prezzi e costi dei vaccini si sviluppano numerose narrazioni “complottiste” fortemente critiche nei confronti delle aziende farmaceutiche. Tuttavia, il prezzo più elevato dei vaccini Pfizer e Moderna viene interpretato (paradossalmente ma non troppo, dato che si discute di salute pubblica) come un “prezzo di scrematura” inevitabile ed addirittura come indice di una qualità “superiore”; il processo di acquisto europeo è criticato proprio per la negoziazione al ribasso che sarebbe stata adottata in tale sede. Neppure i più recenti rialzi dei prezzi, annunciati e discussi, sembrano far emergere nel dibattito particolari perplessità di ordine etico rispetto ai vaccini più costosi (in merito, ad esempio, alla difficoltà della loro esportazione nei Paesi più poveri). Si riconosce, invece, diffusamente un effettivo maggior valore etico al brand AstraZeneca (in termine di esportabilità grazie alla strategia di “prezzo di costo” adottata) ma, al tempo stesso, proprio la strategia di prezzo etico è interpretata nel dibattito quale indizio di una possibile efficacia limitata. Il collocamento del prezzo di J&J in una fascia intermedia e quello di Sputnik in una fascia probabilmente più elevata sono ulteriori elementi che rafforzano la percezione positiva di questi ultimi e contribuiscono a ridurre ulteriormente il valore percepito nel posizionamento di AstraZeneca.

Influencer, celebrities e haters

Gli influencer (“scientifici” o “mondani” che siano) rappresentano una fonte importante di stimoli alle conversazioni social e dunque rivestono un ruolo fondamentale nell’orientare il dibattito pubblico sul tema. Se il dibattito animato dai virologi tende ad esaurirsi piuttosto rapidamente, le dichiarazioni o le immagini postate dalle “celebrities” determinano un engagement superiore e più duraturo e scatenano anche, molto spesso, le reazioni più accese dei cosiddetti “leoni da tastiera”.

La nostra analisi consente inoltre di apprezzare l’impatto sulle conversazioni generato dai modelli internazionali dei due Stati, Gran Bretagna e Israele, le cui esperienze maturate sul campo rappresentano i riferimenti più avanzati. Anche in questo caso, le conversazioni si polarizzano tra entusiastiche speranze e preoccupate analisi critiche.

Efficacia e rischi

Il bilancio tra rischi ed efficacia del vaccino è infine, come prevedibile, uno dei temi di maggior impatto e rilievo nelle conversazioni e risulta direttamente dalle notizie in continuo aggiornamento con riferimento ai possibili eventi avversi ancora in fase di studio. Quanto pubblicato dai media e le dichiarazioni spesso contraddittorie (e comunque in costante evoluzione) delle diverse autorità di vigilanza hanno determinato l’attuale posizionamento dei diversi brand, che penalizza il vaccino di AstraZeneca ed enfatizza l’efficacia e la sicurezza percepita dei due vaccini a mRNA (Pfizer e Moderna). Meritevole di approfondimento è il posizionamento di J&J, che in prima battuta sembra per ora resistere, come sopra ricordato, alle ultime notizie in merito alla possibilità di eventi avversi e soprattutto quello dell’outsider Sputnik che, pur nell’apparente assenza di studi scientifici incontrovertibili e sebbene sia oggetto di un processo di autorizzazione ancora in corso (senza tempi ben definiti), rappresenta nel dibattito pubblico una “promessa di brand” fortemente suggestiva. Ciò conferma, a nostro avviso, che il posizionamento dei diversi brand lungo le dimensioni discusse, è in parte il risultato delle campagne mediatiche in atto e in parte trova fondamento nelle più tradizionali logiche di marketing sopra ricordate, che hanno determinato la situazione attuale.

Lo sviluppo di questa ricerca dovrebbe condurre in tempi brevi a determinare un modello di posizionamento social dei diversi brand idoneo al loro monitoraggio e a definire le necessarie azioni di supporto alla campagna vaccinale. Il monitoraggio delle conversazioni sui social media e la loro interpretazione con la sensibilità propria del marketing potrebbero fornire molti elementi necessari a supporto di una campagna di comunicazione pubblica davvero efficace e risolutiva in un contesto così inedito, dinamico e complesso.

Lo scenario in cui si posiziona la ricerca

Il marketing adotta ormai sistematicamente le tecniche più raffinate di social monitoring e social listening per definire la propria strategia di consolidamento, sviluppo e difesa dei brand, attraverso l’analisi in tempo reale delle esperienze di consumo, degli atteggiamenti e delle emozioni di chi posta commenti o immagini sui social media.

Sebbene non siano mancate in passato alcune interessanti applicazioni di questa tecnica anche nel settore farmaceutico, oggi osserviamo, proprio in questo contesto, alcune dinamiche inedite e di particolare interesse, con riferimento alla crescita esponenziale del numero di conversazioni che riguardano i diversi vaccini anti-Covid già oggetto di somministrazione o di prossima disponibilità.

Dati gli impatti socioeconomici della pandemia non stupisce che il tema rappresenti un oggetto di dibattito così acceso e totalizzante. L’elemento inedito è, piuttosto, quello dell’articolazione di tale dibattito secondo logiche fortemente legate ai valori dei brand dei diversi vaccini, che consentono di pervenire ad analisi statiche e dinamiche del loro posizionamento del tutto paragonabili a quelle che si realizzano per qualsiasi altra tipologia di brand commerciale. Tali logiche sono peraltro quasi sempre stimolate dall’ampia copertura mediatica delle notizie pubblicate che naturalmente generano un importante buzz sul tema in generale e, più nello specifico, sui brand coinvolti.

I vaccini risultanti della ricerca farmacologica, che auspicabilmente consentiranno di vincere la crisi pandemica mondiale, sono quindi diventati brand fortemente differenziati nelle percezioni dei cittadini a cui sono destinati e, a fronte della medesima promessa salvifica espressa, i diversi brand suscitano reazioni ed ispirano sentiment estremamente eterogenei.

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