profili tecnici e normativi

TV, cosa cambia col refarming della banda 700 MHz

Cosa succede con la cessione della banda 700 MHz alle comunicazioni mobili? Facciamo il punto su quella che sarà, a partire dalla seconda metà del 2021, la seconda rivoluzione tecnologica della televisione terrestre

Pubblicato il 30 Apr 2021

Vincenzo Lobianco

Già consigliere per l’innovazione tecnologica dell’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni

telco tv

Siamo di fronte a una seconda trasformazione tecnologica della televisione terrestre. La prima è avvenuta circa 10 anni fa, dal 2008 al 2012 con il passaggio dalla televisione analogica a quella digitale in standard DVB-T. La seconda trasformazione tecnologica, oggetto di questo articolo, comincerà nella seconda metà di quest’anno (in realtà molto è già successo come vedremo dopo) e terminerà -sperabilmente – entro il 30 giugno del 2022.

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Un passo indietro

Prima di descrivere cosa avverrà a partire dalla seconda metà del 2021, appare utile presentare un breve riepilogo di cosa è stato fatto a partire dal 2009 per la prima conversione, o come si chiamò allora lo “switch-off”. Il termine, che significava sostanzialmente lo spegnimento della TV analogica, ha indicato un processo di trasformazione tecnica che, seppur lungo e complicato, è avvenuto in un contesto molto diverso e con aspettative differenti. Mi si passi il termine, fu quasi una “passeggiata di salute” rispetto a quello che ci aspetta a breve termine.

Allora la televisione in banda UHF poteva contare su 49 canali (dal 21 al 69) sui quali era possibile trasmettere altrettanti programmi nazionali o locali. La conversione da analogico a digitale avrebbe moltiplicato di almeno 5 volte[1] la capacità trasmissiva e gli operatori si ritrovarono la capacità trasmissiva incrementata – quasi a costo zero almeno sotto il profilo delle risorse frequenziali – con la possibilità, quindi, di arricchire la propria offerta di differenziarla – con la PayTv e il canale di ritorno nell’MHP- e di migliorare la qualità di visione. Questo ultimo aspetto è molto importante in quanto lo switch-off coincise con una riduzione dei prezzi dei televisori a schermo piatto, plasma e poi led, i quali erano in grado di offrire una qualità dell’immagine ben superiore a quella a tubo catodico: HD Ready (1280×780 Pixels) e Full HD (1920×1080 Pixel) a fronte dei 720×576 pixel offerti dalla televisione analogica. Gli utenti-consumatori, pur potendo ricevere il digitale terrestre sul vecchio televisore attraverso un decoder o Set Top Box esterno di costo ridotto, approfittarono dello switch off per sostituire i vecchi apparecchi a tubo catodico con apparecchi molto più grandi dei precedenti e che offrivano una qualità di immagine migliore in particolare con i programmi HD.

L’accettazione da parte degli utenti della conversione tecnologica e l’entusiasmo dei broadcasters decretarono, in fin dei conti, il successo dell’operazione di switch-off anche se il processo non fu poi così semplice e indolore per tutti i soggetti coinvolti: governo, regolator, operatori televisivi e utenti.

Successivamente la risorsa trasmissiva si ridusse perché i canali dal 61al 69 (la cosiddetta banda a 800 MHz) furono destinati nel 2011 alla telefonia mobile attraverso un’asta onerosa che contribuì a migliorare i conti pubblici in un momento – si ricorderà – molto delicato. La riduzione della risorsa a 40 canali, tuttavia, non creò particolari problemi, sia per l’abbondanza dalla capacità in digitale sia per la lungimiranza del pianificatore che aveva già previsto per la banda 800 MHz l’assegnazione alla sola emittenza locale. Il rilascio della banda fu quindi facilitato poiché riguardava i soli operatori locali che riuscirono a trovare destinazione in altri canali o decisero di dismettere la propria attività a fronte dei rimborsi ottenuti per il rilascio delle frequenze a valere su quanto incassato nell’asta (circa 3 Miliardi di euro per la sola banda 800 MHz).

Occorre peraltro dire – ma è un tema che potrà meglio essere affrontato nei paragrafi successivi- che già nei primi anni successivi allo switch-off la competizione tra canali nazionali e locali favorì nettamente i primi che poterono contare, con la moltiplicazione della risorsa, sull’incremento dell’offerta attraverso la nascita di canali tematici oltre a quelli generalisti già presenti, canali che trasmettevano spesso programmi di qualità migliore rispetto a quelli disponibili su buona parte dell’emittenza locale. In pratica, su quasi tutto il territorio nazionale potevano essere ricevuti oltre 300 programmi differenti, di cui almeno 60-70 distribuiti dagli operatori nazionali. È evidente che con una siffatta offerta di canali nazionali, gli operatori locali più piccoli e meno dotati finanziariamente trovavano difficoltà a farsi largo nel mercato. Questo comportò che al momento del refarming della banda 800 MHz, un certo numero di operatori locali decise di uscire dal mercato senza particolari problemi o strascichi amministrativi.

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Il refarming della banda 700 MHz

Passiamo ora descrivere la seconda conversione tecnologica della TV terrestre che partirà a breve e che risulta necessaria per sopperire a un’ulteriore riduzione della banda UHF riservata alla televisione a causa della cessione di parte della risorsa (la cosiddetta banda 700 MHz, ossia i canali dal 49 al 60) alla telefonia mobile. Il trigger, per così dire, del cambio di destinazione è stata l’Unione Europea che con la Decisione 2017/899 del Consiglio e del Parlamento europeo ha imposto, a partire dal 30 giugno 2020, il passaggio della banda 700 MHz alle comunicazioni mobili. Il dibattito sulla conversione della banda 700 MHz alle comunicazioni mobili era iniziato, in realtà ben prima, nel 2012, alla Conferenza Mondiale delle Radiofrequenze dell’ITU (WRC) dove si cominciò a discutere sull’individuazione di nuove e pregiate frequenze per le necessità dei servizi mobili e per l’allora futura tecnologia 5G. Il dibattito trovò conclusione nella WRC 2015 che decise tale cambio di destinazione d’uso. A livello europeo, la discussione inizio nel 2013 con l’istituzione della Commissione Lamy[2] e si concluse con la decisione del 2017 che adattò a livello europeo le decisioni dell’ITU, tenendo in conto la specificità della televisione digitale terrestre in Europa rispetto ad altre regioni mondiali. Tuttavia, l’UE non poteva non considerare la sempre minore centralità della risorsa terrestre per la televisione, per effetto della diffusione di cavo, satellite e dello streaming su internet e alle modifiche delle modalità di fruizione dei programmi televisivi (catch-up tv, on-demand, etc.). Questa situazione era (almeno nella prima metà degli anni 2010) vera per paesi diversi dal nostro mentre in Italia la TV veniva fruita ancora in massima parte sulle frequenze terrestri per la mancanza di reti via cavo, per la allora ridotta penetrazione della televisione via satellite e per il ritardo nella diffusione della banda larga e ultra-larga.

La decisione europea quindi, nel riconoscere l’importanza che il digitale terrestre rappresenta in parecchi Stati membri europei per diffusione dei programmi televisivi, ha previsto alcune tutele ulteriori per regolare la cessione della banda 700 MHz ai mobili. In primo luogo, è stata contemplata la possibilità di richiedere una deroga fino a 2 anni della data di cessione alle comunicazioni mobili per quegli Stati che a causa della situazione nazionale avrebbero avuto difficoltà a rispettare il termine originario per la liberazione della banda dalla TV. Inoltre, al fine di facilitare il processo, erano stati previsti termini puntuali, in anticipo rispetto al 2020, per concludere gli accordi di coordinamento internazionale e per definire la roadmap di transizione nazionale. L’Italia ha richiesto questa deroga e quindi entro il 30 giugno 2022 le frequenze in banda 700 MHz, che – ricordiamo- sono state oggetto anche loro di un’asta onerosa svoltasi nel 2018 e che ha incassato circa 2 miliardi di euro per le sole frequenze UHF, cesseranno l’uso televisivo per passare agli operatori mobili. Infine, l’Unione Europea ammette la possibilità di fornire indennizzi per la liberazione anticipata della banda sia agli operatori sia agli utenti che devono dotarsi di nuovi ricevitori.

Introdotto così l’argomento vediamo in pratica cosa succede con la cessione della banda 700 MHz alle comunicazioni mobili.

La riduzione delle risorse per la televisione digitale terrestre

La prima considerazione da fare è che con la cessione della banda 700 MHz, a partire dal 30 giugno 2022 il servizio televisivo si ritroverà con 12 canali in meno sui 40 attualmente in uso. Questi canali sono adesso utilizzati per trasmettere 8 multiplex[3] nazionali e circa 50 multiplex locali.

La risorsa frequenziale a disposizione della TV in banda UHF risulterebbe quindi ridotta di circa il 30% e questo fa subito emergere la necessità di affrontare tale riduzione con accorgimenti tecnici – ma non solo – atti a garantire che gli operatori attualmente in esercizio possano – tutti – continuare a offrire i loro programmi pur in presenza di una diminuzione della risorsa frequenziale. In realtà, come apparrà evidente più avanti, la riduzione della risorsa trasmissiva conseguente alla cessione della banda 700 MHz risulta essere ben superiore al 30% e pertanto è ancora più impellente la necessità di introdurre innovazioni tecnologiche e modifiche normative per far sì che tutti gli operatori (o almeno la maggior parte di essi) possano continuare la loro attività dopo il repurposing[4] della banda.

Il Governo e Parlamento con le leggi di stabilità 2018 e 2019 hanno quindi delineato la cornice normativa entro la quale il Ministero dello Sviluppo Economico (MiSE) e l’AGCOM hanno svolto le attività di rispettiva competenza, per la verità iniziate già nel 2017 con lo svolgimento dei negoziati di coordinamento internazionale, per definire le disposizioni tecniche e regolamentari necessarie per attuare il refarming della banda 700 MHz.

Le modifiche normative per attuare il refarming

Il quadro normativo per la conversione della banda 700 MHz è stato definito in prima istanza dalla legge di Stabilità 2018 (legge 27 dicembre 2017, n. 205, Art.1, commi 1026-1045) successivamente modificata dalla legge di Stabilità 2019 (legge 30 dicembre 2018, n. 145, Art. 1 commi 1101-1110) la quale ha anche provveduto a modificare il Testo unico dei servizi di media audiovisivi e radiofonici (TUSMAR, decreto legislativo 31 luglio 2005, n. 177). Queste disposizioni legislative modificano le norme relative all’assegnazione e l’uso delle frequenze terrestri per il servizio televisivo e introducono nuove previsioni riguardanti la tempistica, le procedure e le condizioni tecniche ed economiche per la liberazione della banda 700 MHz da parte della televisione e la vendita dei relativi diritti d’uso agli operatori mobili. Con riferimento in particolare al settore televisivo le disposizioni prevedono:

  • il divieto di pianificare e assegnare frequenze per i servizi televisivi non internazionalmente e anticipatamente coordinate;
  • la modifica dei diritti d’uso delle frequenze degli operatori attivi al 1° Gennaio 2018 attraverso una conversione degli stessi in diritti d’uso della capacità trasmissiva realizzata in DVB-T2 ai fini ai fini della successiva assegnazione dei nuovi diritti d’uso delle frequenze;
  • la definizione da parte dell’Autorità dei criteri per l’assegnazione dei nuovi diritti d’uso delle frequenze per gli operatori nazionali;
  • il superamento della riserva di un terzo delle frequenze da assegnare agli operatori locali;
  • la rottamazione onerosa (previsti 300 milioni di euro per il racquisto dei diritti d’uso) di tutte le reti locali attualmente operanti e l’indizione di gare per l’assegnazione di frequenze per il servizio in ambito locale a nuovi operatori di rete i quali poi procedono ad assegnare la capacità trasmissiva agli attuali operatori locali che diventano fornitori di contenuti di servizi SMAV;
  • la definizione delle modalità di realizzazione del multiplex della concessionaria di servizio pubblico (RAI) prevedendone l’uso nella banda UHF e la decomponibilità del multiplex in macroaree regionali per assicurare la diffusione dei contenuti regionali, cui l’emittente è tenuta ai sensi della Concessione di servizio pubblico;
  • la riserva dell’uso della banda III VHF primariamente al servizio radiofonico digitale (DAB+) e solo in via residua al servizio televisivo;
  • la definizione della tempistica e delle condizioni di rilascio anticipato dei canali 50-53 sul territorio nazionale per consentire l’avvio dei servizi mobili in banda 700 nei paesi confinanti a partire dal 1° gennaio 2020;
  • la determinazione degli indennizzi agli operatori di rete che rilasciano le frequenze e i sussidi per i cittadini per l’acquisto dei nuovi ricevitori e televisori in tecnologia DVB-T2.

Come si può vedere il quadro normativo-regolamentare della televisione digitale terrestre è stato profondamente modificato da queste disposizioni, superando in tal modo decenni di stratificazioni legislative e da ultimo il TUSMAR del 2005, ossia la versione coordinata della cosiddetta legge Gasparri. D’altronde il refarming impatta profondamente sulla disponibilità delle risorse per il settore e pertanto solo una profonda riforma delle relative norme avrebbe potuto assicurare una transizione al post-refarming garantendo il mantenimento, per quanto possibile, dell’assetto televisivo attuale. Questo approccio è risultato essere di complessa e difficile implementazione, ne sono prova i ritardi nella attuazione di alcune previsioni, e ha suscitato reazioni contrastanti da parte dei soggetti interessati, in primis i broadcasters, in un contesto in cui la fruizione della televisione digitale terrestre deve affrontare la concorrenza dei nuovi media di diffusione quali in particolare streaming, come registrato anche in questo ultimo anno a causa delle restrizioni imposte dal COVID-19. Inoltre, non è stata fatta, a nostro avviso, sufficiente chiarezza sulla questione della tecnologia di codifica di sorgente da utilizzare con il DVB-T2 che, come approfondito più avanti, influenza in maniera determinante la capacità trasmissiva complessiva a disposizione del sistema. L’assenza di un obbligo esplicito di utilizzare l’HEVC (l’ultima e più efficiente tecnologia di codifica disponibile) accompagnata anche al ritardo (2017) con cui è stato stabilito, in altri provvedimenti legislativi e successive deroghe al 2018 e oltre, l’obbligo di mettere in vendita solo ricevitori e televisori DVB-T2 porta a ipotizzare l’insorgere di criticità anche sul lato della domanda in quanto si prevede al 30 giugno 2022 una notevole percentuale di utenti ancora senza un ricevitore DVB-T2.

Conclusioni

Non si possono pertanto sottacere le criticità contenute nella legge di stabilità 2018, quali ad esempio la rigidità dei termini o il suo essere troppo prescrittiva in alcune delle previsioni, criticità che sono state riviste e corrette almeno in parte con la successiva legge di stabilità 2019. Tuttavia, tale riforma ha comunque avuto il merito di avviare il processo di transizione rispettando quanto previsto a livello comunitario.

Nella II parte dell’articolo vedremo quindi in dettaglio alcune di queste previsioni, la loro attuazione e l’impatto sul settore televisivo.

_____________________________________________________________________________________________

  1. Un canale UHF, 8 MHz di banda, se trasmesso in analogico può trasportare un programma TV. Con la tecnologia digitale DVB-T lo stesso canale ha mediamente una capacità trasmissiva di circa 19 Mbit/s e può trasportare un numero di programmi TV variabile in base alla qualità dell’immagine e al tipo di codifica. La qualità più comune analoga a quella della TV analogica a 576 righe, è definita Standard Definition (SD – 720×576 pixels) e richiede circa 3 Mbit/s in codifica MPEG-2. Pertanto su un canale UHF in DVB-T con MPEG-2 possono essere trasmessi almeno 5 o 6 programmi SD.
  2. Nel Dicembre 2013 la Commissione Europea ha istituito un High Level Group (HLG), composto di alti rappresentati dell’industria europea mobile e televisiva e di alcune associazioni, coordinato dall’ex-Commissario UE francese Pascal Lamy, con il mandato di proporre suggerimenti concernenti la fornitura di servizi terrestri dati e audiovisivi nell’ambito dello spettro UHF ed il relativo impatto, con riguardo particolare alla banda 700 MHz. In data 1° settembre 2014 è stato presentato alla Commissione UE, a conclusione dei lavori dell’HLG, il c.d. Rapporto Lamy. “Report to The European Commission: Results of the work of the High Level Group on the future use of the UHF Band (470-790 MHz)”.
  3. Si definisce multiplex la tecnica di trasmissione tramite la quale più canali televisivi vengono diffusi insieme sul medesimo canale televisivo (8 MHz di banda) grazie all’uso combinato di tecniche di compressione dei dati e multiplazione. Il termine multiplex è a volte usato come sinonimo di canale televisivo.
  4. Repurposing o refarming: termini utilizzati internazionalmente per indicare il processo di modifica della destinazione d’uso di una banda di frequenza da assegnare, a parità di servizio, a tecnologie più efficienti (p.e. dal mobile 2G al 4G) e/o a servizi diversi (come nel caso della banda 700 MHz)

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