La scommessa

Apple paladina della privacy, ma a spese delle piccole imprese

Con il prossimo rilascio della release 14.5 di iOS Apple intende fare dell’attenzione alla privacy un proprio tratto distintivo rispetto alla concorrenza, cavalcando l’aumento di consapevolezza e preoccupazione dei cittadini. Ma quali saranno le (reali) conseguenze di questa strategia sui piccoli inserzionisti?

Pubblicato il 26 Apr 2021

Riccardo Berti

Avvocato e DPO in Verona

Franco Zumerle

Avvocato Coordinatore Commissione Informatica Ordine Avv. Verona

Apple pay commissione ue

È ormai alle porte l’atteso rilascio della release 14.5 di iOS, aggiornamento che oltre alle consuete novità tecniche e di interfaccia porta con sé novità privacy dirompenti: sugli utenti, sul mercato pubblicitario e anche sulle aziende che dipendono molto dalla resa della pubblicità online. In particolare sulle pmi, alcune delle quali stanno sposando ora la causa di Facebook contro questa mossa di Apple.

Com’è noto, con l’aggiornamento entrerà in funzione l’App Tracking Transparency (ATT), innovazione che consentirà agli utenti di decidere quali applicazioni potranno accedere al loro IDFA (Identifier for Advertisers), l’identificativo univoco contenuto nel loro dispositivo e che ad oggi è accessibile dalle app installate sui dispositivi di casa Apple e la cui condivisione può essere esclusa solo con un meccanismo di opt-out (disattivando l’opzione “Richiesta tracciamento attività”).

Con iOS 14.5 il sistema cambierà drasticamente e si passerà ad un meccanismo di opt-in con il software che chiederà per ogni app di consentire al tracking e renderà disponibile agli utenti un menù nelle impostazioni dedicato alla privacy delle app installate, dove sarà possibile intervenire sul settaggio iniziale.

L’innovazione, che inizialmente avrebbe dovuto essere distribuita lo scorso settembre con il roll-out di iOS 14, è stata prorogata fino ad oggi per lasciare tempo agli inserzionisti di adattarsi al cambiamento.

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L’opposizione di Facebook

Tra i più agguerriti oppositori della misura si registra Facebook, che lamenta come una simile innovazione potrebbe stravolgere il suo modello di business.

Facebook ha però condotto la sua battaglia contro Apple con oculata strategia, senza puntare sulle perdite a cui il social network andrà incontro, bensì ponendo l’accento sulle perdite a cui andranno incontro i piccoli inserzionisti, che hanno strutturato il loro modello di business sulla possibilità di raggiungere selettivamente gli utenti potenzialmente interessati ai loro prodotti.

Secondo le stime di Facebook, questi utenti perderanno il 60% dei loro guadagni derivanti dalle inserzioni personalizzate quando entrerà in funzione il sistema ATT.

Ed in effetti è facile prevedere (quantomeno nel breve termine) che una simile possibilità di scelta per gli utenti fra condividere o meno il proprio identificativo porti ad una netta diminuzione del traffico di dati a favore degli inserzionisti, anche se non è detto che questa situazione rimarrà stabile.

Ad oggi circa il 70% degli utenti iOS condivide l’IDFA con gli sviluppatori di app, ma secondo alcune stime questo numero scenderà al 10-15% quando si passerà al meccanismo di opt-in proposto con iOS 14.5.

Non bisogna però pensare che questo drastico calo degli utenti che condividono il loro identificativo con gli sviluppatori rimanga stabile nel tempo.

A lungo termine è infatti presumibile che qualcuno di quegli utenti che rifiuteranno la condivisione dell’IDFA con determinate app torneranno sui propri passi, in quanto vedere pubblicità ritagliata sui propri interessi, per quanto comporti un’invasione della privacy, è comunque una comodità se si è consapevoli del tracciamento avvenuto, fa risparmiare tempo perché consente di vedere annunci di proprio interesse ed esclude quelli del tutto al di fuori delle nostre opzioni di spesa in maniera automatica.

Lo stratagemma del browser fingerprinting

Mentre in molti casi queste misure a tutela della privacy sono state accompagnate da comode scappatoie per gli inserzionisti (che del resto sono tra i principali “finanziatori” dell’ecosistema iOS e sviluppano app dedicate al sistema operativo anche in virtù del ritorno in termini pubblicitari che questo garantirà loro), questa volta la casa di Cupertino sembra fare sul serio e a fare il paio con l’introduzione del sistema ATT c’è un generale divieto di adottare strategie per determinare aliunde l’utente in maniera univoca, come appunto il browser fingerprinting, strategia su cui molte imprese nei mesi scorsi sembravano essersi, più o meno celatamente, orientate.

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Gli effetti sulle piccole aziende

È chiaro però che non tutte le piccole imprese che commerciano online saranno toccate da questa misura, ad esempio quelle imprese che propongono prodotti e servizi solo ad una piccola nicchia di utenti individuabile con sicurezza attraverso i sistemi di tracciamento in-app potrebbero subire delle perdite a causa delle nuove impostazioni di iOS, mentre ad esempio un bar o un ristorante verosimilmente perderanno poca dell’incisività del loro advertisement.

Ancora, è evidente che un’azienda che punta con forza sul posizionamento online e ha in organico professionisti dedicati all’individuazione della base di utenti che ne costituisce il mercato potenziale e alla creazione di offerte il più possibile declinate sul singolo destinatario dell’annuncio potrà subire ingenti perdite, non altrettanto può dirsi per l’azienda il cui titolare cura senza esperienza nel settore l’online advertising aziendale, che verosimilmente avrà perdite contenute considerando l’approssimazione che già contraddistingueva l’attività.

Inoltre, il calo di appeal delle inserzioni di Facebook e di altri grandi intermediari (ora meno “personalizzabili”) dovrebbe regolare i prezzi verso il basso consentendo così alle piccole e medie imprese di ridurre le perdite.

Le innovazioni introdotte da Apple (che, non dimentichiamolo, avranno come principale effetto quello di aiutare gli utenti a fare scelte consapevoli in tema privacy) creeranno quindi un quadro a tinte meno fosche di quelle dipinte da Facebook nella propria campagna contro l’App Tracking Transparency, ma d’altro canto non si può negare che delle conseguenze negative ci saranno e che queste inevitabilmente colpiranno le piccole imprese più intensamente di quelle grandi.

Le soluzioni per le piccole aziende

È quindi inutile cercare di nascondere il fatto che questo cambiamento avrà degli effetti significativi sull’advertisement online delle piccole aziende che contano sull’eCommerce.

Mentre le grandi compagnie possono contare sui dati che le stesse collezionano direttamente, su programmi fedeltà invitanti e su un database di clienti strutturato, le piccole aziende non hanno molte soluzioni per aggirare le novità Apple a tutela degli utenti.

Persino il browser fingerprinting, tecnica contraria alla policy di Apple oltreché di fatto illecita in Unione Europea, difficilmente è alla portata delle realtà di dimensioni minori, che non possono quindi resistere alle innovazioni di Apple e non possono nemmeno “barare”, mentre i grandi player hanno a disposizione entrambe queste (pur parziali) soluzioni.

Questa novità comporta quindi un necessario ripensamento della strategia commerciale online per le piccole imprese (da iniziare quanto prima) che passa per un “ritorno” al SEO per migliorare il posizionamento del proprio sito web nei motori di ricerca e per una più efficiente raccolta dei dati di prima parte dei soggetti che entrano nel sito web (anch’essa soggetta però a consenso da raccogliere attraverso il c.d. “cookie banner”).

Le piccole imprese dovranno agire con maggior consapevolezza anche nel “coltivare” l’esperienza del cliente, così da assicurare il ritorno di un soggetto individuato o il passaparola positivo (soprattutto online) e creare occasioni e contenuti per intercettare nuovi potenziali soggetti interessati (come corsi o eventi).

Queste soluzioni, se adottate subito, aiuteranno le imprese a prepararsi per tempo ad una evoluzione del settore dell’online advertisement che probabilmente nel tempo estenderà la sua portata e questo vale specialmente per le aziende europee e questo perché quello che farà Apple in iOS 14.5 è già, di fatto, obbligo di legge in Europa con il GDPR che prescrive di raccogliere il consenso dell’interessato in caso di trattamento per finalità di marketing (salvo limitate eccezioni) e che tale consenso deve essere libero, inequivocabile ed informato.

È quindi solo questione di tempo prima che gli altri produttori di OS si adeguino a questo trend o vengano costretti a farlo dalle autorità nazionali.

Prospettive future

È evidente che Apple intenda fare di questa attenzione alla privacy un proprio tratto distintivo rispetto alla concorrenza, cavalcando in maniera molto intelligente l’aumento di consapevolezza e preoccupazione dei cittadini.

Resta però da vedere se le mosse di Apple la ripagheranno nel lungo termine.

É, infatti, evidente che tra un ecosistema rispettoso della privacy ed uno con poche app gli utenti (come dimostrano alcuni esperimenti -dagli scarsi risultati e consensi- in ambito Android) finiranno per preferire l’ecosistema più funzionale.

La scommessa di Apple è quindi rischiosa, anche se c’è da dire che il colosso USA gioca la sua carta in un momento di grande forza sul mercato e di forte appeal delle caratteristiche privacy dei dispositivi e conta sul fatto che l’importanza di un approccio privacy by default continuerà progressivamente ad aumentare per gli utenti (nonché per i legislatori).

Insomma, parliamo di una scelta coraggiosa (ma pur sempre di una scelta dettata da criteri squisitamente economici) con la quale Apple che gli utenti preferiranno un ecosistema con molte app.

Verosimilmente queste innovazioni sono solo agli albori e in iOS 15 vedremo un ulteriore consolidamento di questa direttiva, finalizzata a restituire agli utenti il controllo dei propri dati (sempre che abbia i soldi necessari per comprarsi un iPhone).

La mossa di Apple fa nuovamente affacciare il problema di cui si discuteva prima che Google introducesse la crittografia di default sui propri dispositivi Android.

La privacy non può infatti essere una prerogativa legata al reddito, ma un imprescindibile requisito di base, peraltro previsto per legge in moltissimi dei paesi in cui Apple e Google commerciano i loro OS, requisito ad oggi vituperato dalle prassi dei colossi del settore tecnologico, che non si sono saputi finora rimettere alla libera scelta degli utenti in tema di riservatezza, rinunciando così ad una porzione di quei dati che popolano (senza consenso) i loro modelli matematici.

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