scuola e pandemia

Un anno di didattica a distanza, quali effetti sulla psiche

La digitalizzazione della scuola, seppure indotta dalla pandemia, va mantenuta e valorizzata. Da non sottovalutare, però, sono le ripercussioni a livello psicologico della prolungata assenza di contatti umani e a livello corporeo. Vanno perciò ampliati gli interventi di supporto e psicologico nelle istituzioni scolastiche

Pubblicato il 04 Mag 2021

Roberto Pozzetti

Psicoanalista, Professore a contratto LUDeS Campus Lugano, Professore a contratto Università dell'Insubria, autore del libro 'Bucare lo schermo. Psicoanalisi e oggetti digitali', già referente per la provincia di Como dell'Ordine degli Psicologi della Lombardia

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Uno degli argomenti relativi alla pandemia di coronavirus che suscita il più vivo e acceso dibattito è senza dubbio quello dell’emergenza psicologica e psichiatrica in età evolutiva, indotta o acuita da questa situazione. Ne parlano e ne scrivono genitori, insegnanti, clinici specializzati in psicopatologia dello sviluppo, politici, studenti stessi. Al centro di tutte queste infiammate riflessioni troviamo la Dad, acronimo di Didattica a Distanza.

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Ho già scritto qui un articolo, su questo argomento e sui limiti delle forme didattiche d’emergenza nella prima infanzia, pubblicato il 2 giugno 2020. In quell’occasione, miravo a compiere una disamina sui punti a favore e sui punti contro la DaD al termine della prima ondata e di una primavera di totale chiusura delle scuole. Dal 22 febbraio 2020, pochissimi giorni dopo l’individuazione dello “pseudopaziente 1” in provincia di Lodi, le scuole venivano chiuse in Lombardia e in Veneto.

Un paio di settimane dopo, arrivava il primo lockdown nazionale come sforzo per fronteggiare un’epidemia inedita. Dopo la chiusura totale delle attività in presenza lo scorso anno, con l’eccezione dell’esame di stato sostenuto in forma orale, la politica dello stop and go ha contraddistinto la scuola quest’anno. Zone gialle, arancioni e rosse hanno caratterizzato i vari mesi con normative non del tutto chiare. Se risulta trasparente la scelta di limitare molto la presenza in aula degli allievi delle scuole superiori per evitare assembramenti non tanto negli edifici scolastici quanto sui mezzi pubblici da loro utilizzati per spostarsi, ci si spreme le meningi per capire quale sia la ratio del permettere la scuola in presenza sino alla prima media e non per la seconda o la terza. Sovente bambini e adolescenti sono dovuti restare a casa altri giorni, anche in zona gialla, quando un compagno o un docente risultava positivo al tampone Covid. Di fatto, allievi e docenti hanno svolto un anno scolastico e mezzo principalmente in DaD oppure in DDI, acronimo di Didattica Digitale Integrata coniato nell’estate scorsa.

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Didattica Digitale Integrata

In data 26 giugno 2020, il decreto n.39 del Ministro dell’Istruzione forniva un quadro entro il quale progettare la ripresa delle attività scolastiche dal mese di settembre, dopo oltre sei mesi di interruzione. Si riferiva alla necessità per tutte le scuole di dotarsi di un Piano per la DDI, Didattica Digitale Integrata, attraverso una piattaforma di riferimento con adeguate caratteristiche di privacy. Tale organizzazione sarebbe dovuta divenire strutturale nelle scuole superiori di secondo grado, per adottarla in forma complementare alla didattica in presenza, ma fruibile anche nelle altre scuole in caso di ulteriori restrizioni volte a limitare la diffusione dei contagi. La proposta didattica di un singolo docente si sarebbe connotata come parte di una cornice pedagogica e metodologica condivisa con il resto dell’istituzione; a questo proposito, si sottolineava l’importanza di favorire l’interazione, i debate e il protagonismo degli studenti anziché le più tradizionali lezioni frontali. Una speciale attenzione veniva riservata ad allievi con fragilità e con Bisogni Educativi Speciali con il prosieguo di attività in presenza e, eventualmente, a livello domiciliare. Le implicazioni relative al rispetto dell’altro e alla condivisione di dati sensibili venivano esplicitamente menzionate nel suddetto decreto.

La Didattica Digitale Integrata costituisce, dunque, lo spostamento in modalità online dell’ambiente di apprendimento per almeno 10 ore settimanali al primo anno della primaria e per almeno 15 negli altri anni. Questo ha permesso la frequentazione delle lezioni a chi si trovava in quarantena, attraverso un’implementazione di dispositivi digitali in scuole di diverso ordine e grado. Le Linee Guida relative alla DDI, pubblicate il 7 agosto 2020, la definiscono come uno strumento utile a svolgere attività scolastiche in modo sincrono e asincrono.

Le attività sincrone favoriscono una certa partecipazione alle dinamiche di apprendimento con interventi nelle discussioni del gruppo-classe, con esercizi di educazione motoria e con l’esecuzione di ricerche o verifiche; di fatto, si tratta della stessa condizione di una normale giornata di studio, che viene semplicemente vissuta dalla propria abitazione. Vi abbiamo visto momenti umanamente molto toccanti: gli applausi dell’intera classe dopo la comunicazione da parte di una bimba, che si trovava confinata a casa, della negatività al Covid di sua mamma; le interazioni con animali domestici e con oggetti transizionali à la Winnicott come dei peluche in bimbi di 6/7 anni; la lettura di un diario circa i propri disturbi alimentari aggravatisi in questi mesi da parte di un’adolescente, che probabilmente non avrebbe trovato il coraggio per parlarne in aula. Certi aspetti di collaborazione e solidarietà vengono accentuati in fase emergenziali.

Le attività asincrone, ovvero senza interazione in tempo reale, consentono l’elaborazione di materiale digitale a livello individuale, in coppia o in piccoli gruppi da riportare poi attraverso slide alla classe e la ricezione di videolezioni in forma analoga a quanto avviene da tempo nelle ormai consolidate esperienze delle università telematiche.

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I Legami Educativi a Distanza

Negli asili nido e nelle scuole dell’infanzia, per il mantenimento di una minima continuità educativa con i bimbi, la Commissione per il sistema integrato di educazione e di istruzione dalla nascita ai sei anni ha introdotto dal maggio 2020 i LEaD ovvero Legami Educativi a Distanza. La proposta inedita consiste in un modo diverso per fare nido e scuola dell’infanzia, apprendendo dalle sperimentazioni già attuate e valorizzando le buone pratiche approntate in modo autonomo dal personale educativo nel corso della prima ondata di coronavirus. Pratiche imperniate sui tre assi miliari della relazione educativa vale a dire spazi, tempi e relazioni affettive o motivazionali. Se nelle attività in presenza sono le famiglie a entrare nelle istituzioni educative, di solito come primissima occasione di separazione dal nucleo domestico, nei LEaD sono le educatrici a entrare nelle abitazioni delle famiglie. Al cuore dei LEaD vi è la mediazione dei genitori dal momento che le attività online ne richiedono la collaborazione, data la giovanissima età dei bimbi, di solito un paio di volte la settimana per qualche decina di minuti, mediante iniziative focalizzate sul fare esperienze e sul giocare.

Alcune controindicazioni

Non vi sono soltanto rose e fiori nella digitalizzazione delle istituzioni scolastiche. Abbiamo constatato anche difficoltà nel corso di attività sincrone: la carente attenzione di qualche teenager che trova le lezioni online fastidiose. La rete è a volte instabile, difettosa, cade. Pur con il miglioramento delle connessioni, pur con il contributo delle istituzioni e di volontari che hanno messo a disposizione tablet e computer, non tutte le famiglie hanno dispositivi digitali di pari qualità.

Come fingere di non vedere che i minori sono sovente tutt’altro che concentrati? I bambini si distraggono, non riescono a seguire con attenzione, giocano con oggetti che hanno a disposizione in casa. I ragazzi spesso si dedicano ad attività parallele: aprono altre schede, guardano film, chattano in privato, si fissano su video pornografici, si cimentano nei videogiochi con amici connessi nello stesso momento e così via. A poco vale l’accortezza degli insegnanti di chiedere loro di accendere la videocamera per accertarne la postazione davanti allo schermo. Non che questi fenomeni non vi siano con la scuola in presenza. Vi sono stati e vi saranno sempre: io stesso, da allievo di liceo, coglievo il momento delle interrogazioni a miei compagni per leggiucchiare libri di Sigmund Freud e di Erich Fromm che tenevo nascosti sotto il banco. Nella scuola in presenza sono tuttavia sicuramente più rari, se non altro per la maggior difficoltà di compierli.

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Come tralasciare le difficoltà di valutazione nelle interrogazioni dal momento che i ragazzi si giovano di bigliettini, slide, appunti? Gli insegnanti provano a creare modalità per rendere maggiormente attendibili i momenti di valutazione. Ha suscitato indignazione e un’interrogazione parlamentare a questo proposito, l’intervento estremo di una docente del liceo classico di Scafati, in provincia di Salerno, la quale ha imposto a una studentessa di “bendarsi” nel corso di un’interrogazione. Lo screenshot di questa scena è stato inoltrato su Whatsapp dagli allievi salvo venire in parte ridimensionato quando gli stessi ragazzi hanno descritto la vicenda come caratterizzata da risate generali e confermato la professionalità della docente. L’atto del “bendarsi” costituisce la cifra del buio nel quale brancola la relazione educativa fra professori e allievi ai tempi della pandemia. La questione cruciale rimane infatti la difficoltà di coltivare un legame nel quale l’apprendimento del sapere si articoli con l’amore, imprescindibile soprattutto in età adolescenziale.

Resta inoltre il problema dei minori con disabilità o con Bisogni Educativi Speciali, i quali vanno comunque a scuola ma si trovano spesso da soli o in gruppi davvero esigui e ristretti, secondo delle modalità che stridono con il principio di integrazione di ogni studente.

Le tonalità affettive nelle ondate della pandemia

Per cogliere le conseguenze indotte dalla pandemia sulle condizioni psicologiche, risulta fondamentali situarle nell’ambito del clima affettivo più generale.

Se vi era una tonalità affettiva che caratterizzava in particolar modo la prima ondata di marzo e aprile 2020, questa era la paura, era un’angoscia di morte affine alla paura del contagio. In assenza di dispositivi di protezione individuale, si era tutti timorosi. Le strade erano deserte, le città spettrali. Vi era un’atmosfera di solidarietà collettiva. I clinici ospedalieri venivano ammirati, idealizzati, considerati degli eroi. Gli adolescenti rispettavano le regole senza trasgredirle, forse per paura di contagiare genitori e nonni.

La tonalità affettiva della seconda ondata, forse anche per le corte, fredde e cupe giornate autunnali era quella della tristezza. Si incrinava la speranza di essersi lasciati alle spalle la letalità del Covid, come sembrava probabile in estate. L’ammirazione dei medici si tramutava in delusione. I ragazzi erano tristi ma sopportavano passivamente questa situazione faticosa e persino deprimente, sperimentandosi nell’alternanza di scuola in presenza e in modalità online.

L’affetto prevalente in questa terza ondata è quello dell’insopportabilità. I ragazzi non ne possono più della scuola in versione DaD o DDI, di rinunciare a frequentare amici e compagni di classe, di restare in casa in occasione di giornate primaverili serene, belle, che invogliano a uscire e a divertirsi. Non a caso, la decisione di chiudere nuovamente le scuole nel mese di marzo, sino alle vacanze pasquali, è stata vissuta spesso con rabbia, a volte con crisi di pianto, talora con agiti autolesionistici. Del resto, credo sia sotto gli occhi di tutti il minor rispetto delle regole in quest’ultima fase e l’aggregarsi di adolescenti e preadolescenti in svariati contesti informali.

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L’emergenza clinica

Cosa sognano i ragazzi in questo periodo? I sogni sono evidentemente i più vari ma, se vi è un canovaccio onirico, questo si impernia sulla scuola in presenza. Sognano di giocare nel giardino della scuola, sognano di stare seduti in aula, sognano le interrogazioni svolte in classe, sognano di baciarsi e abbracciarsi negli anfratti degli edifici scolastici. La trama può variare ma sognano ciò che a loro manca. Sognano la scuola in presenza. Quel libro insuperabile che è l’Interpretazione dei sogni di Sigmund Freud intende a chiare lettere, come titolo di un capitolo, il sogno come appagamento di un desiderio insoddisfatto nel corso della vita diurna e che rinvia a un desiderio inconscio radicato sin dall’infanzia.

Elisa Carolina Puccetti e Valerio Luperini dell’Università di Perugia hanno sottolineato, oltre a una probabile crescente povertà educativa, i rischi di una disaffezione psicologica verso l’istituzione scolastica nel loro recente testo Quale scuola dopo la pandemia? In effetti, brevi periodi di svolgimento delle lezioni online incrementano spesso il desiderio di socialità scolastica, che affiora appunto nei sogni; una prolungata assenza della frequentazione di questi ambienti relazionali rischia, invece, di determinare disinvestimento e dispersione scolastica.

La Presidente dell’Ordine degli Psicologi delle Marche, Katia Marilungo, stigmatizza i rischi della sindrome da on-line brain con riduzione della memoria a breve termine e difficoltà a concentrarsi. Ne abbiamo scritto qui, in un articolo pubblicato il primo aprile 2021, circa l’affiancare la DaD e la frequentazione di social di cittadinanza come TikTok. Per questo, l’Ordine delle Marche ha preso espressamente posizione nel marzo 2021 auspicando di far rientrare a scuola al più presto bambini e adolescenti.

L’esperienza della DaD e della DDI si dimostra del resto faticosa anche per gli insegnanti. Una ricerca pubblicata nel 2020, a firma di Maria Cristina Matteucci, professoressa associata di psicologia dello sviluppo e dell’educazione all’Università di Bologna, ha indagato il punto di vista degli insegnanti di Emilia-Romagna, Marche e Sardegna intervistandone oltre mille. L’età media di coloro che hanno risposto al questionario è di 49 anni; per il 48% lavorano nelle scuole superiori, per il 16% alle medie, per il 35% alle primarie. Ben il 34% dei docenti ha fornito risposte che indicano bassi livelli di benessere psicologico; fra i fattori di tale disagio, addirittura un 87% riporta un incremento del carico di lavoro relativo alla preparazione delle attività. A fronte di questo onere aumentato, il 56% racconta di una diminuzione dei momenti relazionali con gli allievi mentre solo il 32% parla di un aumento di spazi relazionali: molti insegnanti sottolineano dunque la mancanza di contatti tra loro e gli allievi. I ragazzi si trovano di fatto a essere spesso maggiormente abbandonati a loro stessi, senza il supporto di figure adulte che, come scriveva già Freud nel suo Psicologia del ginnasiale, vengono spesso vissute come sostituti dei genitori nella preadolescenza e nell’adolescenza. Non a caso, il 37% dei docenti cui è stato sottoposto il questionario citato trova prezioso un supporto di tipo psicologico per l’intera comunità scolastica.

Inquietante è quanto recentemente riferito da Stefano Vicari, responsabile di Neuropsichiatria dell’Infanzia e dell’Adolescenza dell’Ospedale Pediatrico Bambin Gesù di Roma, in un’intervista al quotidiano La Repubblica. Dalla seconda ondata in poi, i posti letto della loro struttura risultano tutti occupati. Questo fatto non ha precedenti; non era mai accaduto. Egli riporta appunto un 25% di aumento di tentativi di suicidio e di atti di autolesionismo e un incremento del 28 per cento di disturbi alimentari in preadolescenza, fra i 12 e i 14 anni. I posti letto nei reparti di neuropsichiatria infantile non sono aumentati e, in alcune regioni, non ve ne sono proprio.

Quello di cui maggiormente si avverte la mancanza è sempre e comunque l’incontro fra i corpi: fra i corpi dei docenti e i corpi dei discenti, fra i corpi dei compagni di classe e di scuola, fra i corpi degli avversari nelle partite di calcio, di pallavolo o di basket, fra corpi che non sono tutti uguali, fra i corpi che si desiderano, si sfiorano, si toccano, si abbracciano, si baciano.

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Conclusioni

L’esperienza della digitalizzazione della scuola, sia pure indotta dal protrarsi di un tristissimo evento come il Covid, va sicuramente mantenuta e valorizzata. Permette, fra l’altro, agli allievi assenti di ascoltare le lezioni dal proprio domicilio e di rimanere al passo con l’avanzamento del programma anche in caso di malattia o di eventi atmosferici come le nevicate; implica un upgrade di competenze digitali negli studenti e, soprattutto, negli insegnanti che risulta sicuramente prezioso.

Comunque, rimangono di tutta evidenza le ripercussioni a livello psicologico di questa prolungata assenza di contatti umani e soprattutto di contatti a livello corporeo. Per questo, già adesso ma ancor di più una volta conclusa l’emergenza sanitaria, andranno rafforzati e ampliati gli interventi di supporto e orientamento psicologico nelle istituzioni scolastiche.

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