gig economy

Quale destino per i lavoratori delle piattaforme digitali? Scenari futuri in Ue e Usa

Le condizioni dei lavoratori della gig economy potrebbero subire importanti modifiche a seguito di recenti casi giudiziari e dell’attività degli enti regolatori nazionali e internazionali. Ma saranno le scelte dei legislatori a svolgere un ruolo chiave per il futuro

Pubblicato il 06 Mag 2021

Edoardo Mancini

Analista dell’Area Digitale&ICT, AWARE Think Tank

Photo by Paolo Feser on Unsplash

I servizi digitali di trasporto e consegna a domicilio sono ormai parte integrante delle abitudini dei consumatori di tutto il mondo. In Italia soltanto, sono quasi venti milioni le persone che fanno affidamento a compagnie di food delivery, un valore più che quadruplicato rispetto al 2017.

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Queste piattaforme hanno promosso una nuova concezione dell’impiego, per cui l’incontro tra domanda ed offerta è facilitato da individui che mettono a disposizione i propri mezzi e scelgono come, dove, e quando lavorare. L’altra faccia della medaglia consiste tuttavia in maggiori precarietà, soprattutto in caso di malattia, incidenti o licenziamenti, rispetto a lavoratori dipendenti che operano sotto schemi più tradizionali.

Tale contesto potrebbe però subire importanti modifiche, a causa sia di importanti casi giudiziari, sia dell’attività degli enti regolatori nazionali ed internazionali.

I casi di Regno Unito, Spagna e Italia

Un recente colpo al sistema di esternalizzazione delle grandi piattaforme tecnologiche è stato inflitto dalla Corte Suprema britannica. Il tribunale ha respinto la richiesta di Uber Technologies di considerare i propri autisti come lavoratori autonomi, a seguito della causa avanzata da alcuni conducenti per la mancata ricezione dei contributi previdenziali.

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Come conseguenza, gli oltre settantamila autisti di Uber nel Regno Unito saranno inquadrati come ‘workers’, a metà tra i lavoratori autonomi e quelli dipendenti, con diritto a un salario minimo, vacanze pagate e accesso ad un fondo pensione sponsorizzato dall’azienda.

Ciò che più conta non è la sentenza in sé, quanto la logica sottostante e il potenziale impatto sulle attività di altre compagnie nel settore. La Corte ha infatti sottolineato che Uber esercita un discreto livello di controllo sulle attività degli autisti tramite il controllo dei prezzi per ogni tragitto e il sistema di valutazione del servizio da parte degli utenti. La stessa situazione riguarda tante altre multinazionali, come Deliveroo, Glovo, Just Eat/Takeaway.com e il gruppo Delivery Hero, che si potrebbero vedere obbligate a cambiare radicalmente le proprie attività nel territorio britannico.

D’altra parte, simili sviluppi in altri paesi europei non si sono fatti attendere. In Spagna, il governo ha concluso un accordo con le principali sigle sindacali ed industriali, elevando a dipendenti i rider delle piattaforme di consegna a domicilio. L’intesa prevede anche le aziende comunichino ai rappresentanti sindacali i meccanismi alla base degli algoritmi che incidono sulle condizioni di impiego dei lavoratori.

In Italia, il caso più significativo riguarda una sentenza della Corte di Cassazione a inizio 2020, che ha riconosciuto ad un gruppo di ex-fattorini di Foodora il diritto alle tutele del lavoro subordinato. Anche in questa circostanza, l’elemento determinante è stato la modalità con cui avvenivano le consegne, dato che ai fattorini venivano assegnati fasce orarie e zone geografiche ben definite nelle quali svolgere le proprie funzioni.

La decisione della Cassazione si muove nella stessa direzione del contenzioso Uber, e ha affermato che i rider si collocano in un’area grigia tra autonomia e subordinazione, insufficientemente coperta dall’attuale regime giuridico.

Alcune autorità nazionali nel nostro continente stanno quindi cambiando approccio nei confronti della cosiddetta ‘gig economy’. Ed è proprio sulla scia di questi sviluppi che l’Unione Europea si è attivata per regolamentare un fenomeno rimasto, fino ad oggi, incontrollato.

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Nuove regole in arrivo da Bruxelles

Durante l’ultimo discorso sullo stato dell’unione, la Presidente della Commissione Europea Von der Leyen ha annunciato che entro il 2021 sarà presentata un’iniziativa legislativa per migliorare le condizioni dei lavoratori delle piattaforme digitali.

La Commissione intende focalizzarsi sulla classificazione dei lavoratori, il rispetto delle norme sanitarie e di sicurezza, l’accesso alla contrattazione collettiva e la gestione delle mansioni quotidiane tramite gli algoritmi, tra altri aspetti. L’esecutivo europeo ha anche incoraggiato il coinvolgimento degli attori socio-economici operanti della filiera tramite un doppio periodo di consultazioni e discussioni individuali, al fine di valutare la possibilità di un accordo tra le parti sociali.

Uber ha risposto all’invito pubblicando un libro bianco in cui sottolinea le opportunità economiche che ha creato in Europa e l’importanza della flessibilità nella vita di autisti e fattorini. Secondo il colosso di San Francisco, maggiori benefici per i lavoratori autonomi ridurrebbero la loro indipendenza di fatto, disincentivando le compagnie ad effettuare investimenti e rallentando la loro crescita nel continente a causa dei maggiori costi.

Al contrario, la confederazione europea dei sindacati chiede di incrementare la responsabilità delle piattaforme, per garantire salari equi, assicurazione medica e indennità per malattia a tutti i lavoratori, indipendentemente dalle condizioni contrattuali e in collaborazione con i rappresentanti designati.

Entrambi gli schieramenti sono però d’accordo su un punto, e cioè che l’Unione Europea debba imporre delle regole chiare per uniformare gli sforzi normativi degli Stati membri. Dello stesso avviso sono anche gli autori di uno studio incaricato dalla Commissione, che include alcune raccomandazioni su come strutturare un potenziale intervento comunitario.

Rider, lavoro autonomo o dipendente? Le norme e la giurisprudenza

Tra le varie soluzioni proposte, troviamo una classificazione delle prestazioni lavorative in favore delle piattaforme considerate incompatibili con il concetto di auto-impiego, per impedire l’uso puramente nominale della categoria. In alternativa, le norme settoriali sulla concorrenza potrebbero essere modificate per potenziare il potere di contrattazione dei sindacati. A questo proposito, la Commissione ha aperto una consultazione pubblica in cui l’inclusione degli autonomi negli accordi collettivi viene considerata come una soluzione per mitigare l’instabilità dei lavoratori dei colossi digitali. Un’altra opzione consiste nel promuovere misure su base volontaria, un po’ come è successo con il codice di condotta sulla disinformazione su internet.

Nel frattempo, il Parlamento Europeo ha iniziato a sviluppare una relazione d’iniziativa su un ipotetico disegno di legge. La prima versione del documento, affidata a Sylvie Brunet del gruppo Renew Europe, invita la Commissione ad introdurre un sistema imparziale di risoluzione delle dispute in caso di terminazione, restrizione o sospensione dell’impiego. La relatrice chiede anche maggiore trasparenza sui meccanismi usati per determinare i prezzi dei servizi e le derivanti commissioni, mentre tutti i lavoratori dovrebbero beneficiare di elevati standard di protezione sociale.

Il documento non ha carattere vincolante, ma costituisce un buon indicatore delle posizioni degli eurodeputati e potrà esercitare un ruolo importante nell’influenzare la Commissione Europea, assieme ai risultati delle consultazioni.

Se a livello dell’Unione Europea il confronto strutturato tra lavoratori e imprese è appena iniziato, la situazione sull’altra sponda dell’Atlantico è piuttosto differente. Infatti, oltre a fare lobbying, i due schieramenti negli Stati Uniti si sono già sfidati alle urne.

L’approccio USA: tra referendum e venti di cambiamento

L’ordinamento americano prevede un sistema, definito “economic reality test”, per determinare il tipo di rapporto che unisce lavoratore e impresa. Questo meccanismo prende in considerazione elementi come l’incidenza degli investimenti e delle capacità gestionali dell’individuo sul suo reddito, il carattere indefinito o temporaneo dell’impiego, ed il grado di supervisione esercitato dall’azienda in questione.

Prendendo come esempio un autista per una applicazione di ride-sharing, in grado di scegliere il proprio orario lavorativo, il tipo di vettura ed il numero di passeggeri da trasportare ogni giorno, non stupisce che per anni queste figure professionali sono state considerate come meri terzisti.

Eppure, le sfide a questo modello non sono certo mancate. La più significativa è venuta dallo Stato della California, che nel 2019 ha esteso lo status di dipendente ai lavoratori delle piattaforme digitali, obbligando queste ultime ad utilizzare un test molto più stringente per dimostrare la natura autonoma della prestazione.

In risposta alla nuova legge, un gruppo di compagnie tra cui Uber, Lyft, Doordash e Instacart hanno avviato una campagna per introdurre una eccezione ad hoc nell’ambito di applicazione della normativa, conosciuta come ‘Proposition 22’. L’iniziativa, finanziata con oltre 150 milioni di dollari, ha portato le autorità ad indire un referendum che si è concluso a favore dell’emendamento.

L’esito del voto potrebbe produrre effetti su larga scala. Dopo il voto popolare, i gruppi sindacali e alcuni dei lavoratori hanno contestato la costituzionalità del referendum presso la corte suprema statale. Parallelamente, l’amministratore delegato di Uber, Dara Khosrowshahi, ha già annunciato che il gruppo cercherà di espandere il modello ad altre zone degli Stati Uniti, garantendo maggiori benefici economici ai lavoratori ma continuando a considerarli come autonomi.

I sostenitori di Proposition 22 dovranno comunque affrontare un temibile avversario: l’inquilino della Casa Bianca, che si è espresso contro le piattaforme digitali durante la campagna referendaria. Joe Biden potrebbe ribaltare il corso della vicenda se decidesse di appoggiare un disegno di legge federale presentato lo scorso settembre da membri del suo stesso partito, con lo scopo di replicare il modello di classificazione dei lavoratori già adottato in California.

A un’analisi più approfondita, il destino della normativa appare però meno scontato. Innanzitutto, nel Senato i democratici controllano solo cinquanta dei cento seggi, e dovrebbero dunque fare affidamento sul voto della Vicepresidente Kamala Harris (che è anche presidente del Senato) o su defezioni tra le fila repubblicani per far approvare il testo.

Allo stesso tempo, Uber e Lyft supportano attivamente il piano anti-pandemico di Biden, offrendo prezzi di favore per i trasporti verso i centri di vaccinazione. Inoltre, proprio uno dei consiglieri per la sicurezza nazionale del Presidente, Jake Sullivan, ha offerto la sua consulenza alle due aziende in relazione alla disputa californiana.

A rendere le cose ancora più complicate, l’ala progressista del partito democratico ha criticato l’influenza delle compagnie tecnologiche sulla nuova amministrazione, il cui programma elettorale prevede di rafforzare i sindacati, i quali a loro volta hanno sponsorizzato il progetto di legge federale.

La posizione di Biden appare quantomeno complicata, e l’arrivo di nuove norme sulle piattaforme digitali negli Stati Uniti rimane al momento sospeso tra promesse elettorali ed un difficile processo decisionale.

Quale futuro per la gig economy

Alla luce degli eventi analizzati finora, è possibile individuare tre differenti scenari sul futuro della gig economy.

Il primo è che le condizioni di impiego dei lavoratori non cambino. Questa opzione è anche la più improbabile, se non altro perché sentenze giudiziarie come quella della Corte Suprema britannica hanno amplia applicazione e non possono essere ignorate. In aggiunta, le aziende hanno dimostrato di essere disponibili ad offrire commissioni e tutele previdenziali più elevate pur di continuare a collaborare con dei terzisti.

Il secondo scenario, del tutto opposto a quello precedente, è che Unione Europea e Stati Uniti impongano il riconoscimento di fattorini ed autisti come lavoratori subordinati. A Washington, le attuali condizioni politiche rappresentano un serio ostacolo, e per i primi sviluppi concreti si potrebbe attendere fino alle elezioni del Senato nel 2022. A Bruxelles, la tempistica per un input legislativo è più definita. La Commissaria Margrethe Vestager ha comunque escluso l’idea di creare categorie di lavoratori intermedie sul modello britannico, e di conseguenza le compagnie potrebbero essere esposte a costi significativi se gli autonomi fossero equiparati a degli impiegati.

La terza alternativa è che le piattaforme procedano volontariamente a convertire una parte dei lavoratori in veri e propri dipendenti. Una scelta del genere permette di anticipare eventuali rischi legislativi e mantenere il controllo sul costo della forza lavoro. Just Eat ha iniziato ad attuare questa idea tramite il programma ‘Scoober’ che prevede tre differenti tipologie di contratto per i rider: dipendente, part-time o a chiamata. Indipendentemente dal numero di consegne e dal tipo di prestazione, i lavoratori hanno diritto a salario minimo in linea con gli accordi collettivi ed indennità integrative. Il progetto è stato lanciato recentemente in Italia e mira a raggiungere all’incirca mille persone.

Ad ogni modo, le scelte dei legislatori giocheranno un ruolo chiave, dovendo bilanciare fattori apparentemente opposti come la vita di milioni di lavoratori e la crescita dell’ecosistema economico digitale.

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