la riflessione

Brevetti covid sì o no? Una terza via è possibile per il bene di tutti

Viviamo la contrapposizione tra due fazioni, dopo che il presidente Usa ha proposto la sospensione dei brevetti sui vaccini per favorire la lotta al covid. Ci sono pro e contro in entrambe le tesi, ma lo scontro tra le due rischia di fare danni. Sarebbe bene valutare una proposta Oms per i Paesi poveri

Pubblicato il 11 Mag 2021

Marco Martorana

avvocato, studio legale Martorana, Presidente Assodata, DPO Certificato UNI 11697:2017

Zakaria Sichi

Studio Legale Martorana

super green pass

Sospendere i brevetti sui vaccini fa gli interessi dell’umanità oppure no? Il tema è sul tavolo ora, ma forse la questione è mal posta. Brevetti sì o no è forse una falsa alternativa – ognuna delle due posizioni ha pro e contro, come vedremo – e sarebbe meglio immaginare una terza via, come del resto già ventilato dall’Oms, ossia la costituzione di un fondo comune internazionale per i Paesi svantaggiati.

Le due posizioni, pro e contro brevetti

L’analisi delle opposte fazioni può in effetti mostrare quanto questa contrapposizione tra i due mondi sia pericolosa. E quanto sarebbe utile quindi uscire dalle pastoie di questa alternativa, brevetti sì o no.

Come noto, il Presidente degli Stati Uniti Joe Biden ha recentemente proposto la sospensione temporanea dei brevetti sui vaccini per permettere una produzione in quantità maggiori ed accelerare la campagna vaccinale dal cui esito dipendono le sorti della situazione pandemica, accendendo però lo scontro con i giganti del settore farmaceutico pronti a difendere il proprio monopolio.

La tesi è che bisogna soprattutto accelerare la vaccinazione nei Paesi poveri, per parare il rischio di pericolose varianti che potrebbero persino aggirare gli anticorpi prodotti dal vaccino.

La proposta di Joe Biden, come facilmente prevedibile, ha sollevato un acceso dibattito nella comunità internazionale, registrando opinioni contrastanti. Il premier italiano Mario Draghi e il Presidente francese Emmanuel Macron si sono schierati col presidente statunitense, considerando i vaccini come un bene comune, da cui la necessità di rimuovere gli ostacoli alla loro produzione. Sulla stessa linea anche l’ONU, che ha accolto con favore la proposta, ritenendo la rinuncia alla proprietà intellettuale un sacrificio proporzionato al bisogno di proteggere la salute globale di fronte alla pandemia. Anche il Presidente russo Vladimir Putin ha affermato di sostenere l’idea di Biden.

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Di segno opposto, invece, l’opinione di Angela Merkel, secondo la quale la revoca dei brevetti sui vaccini provocherebbe complicazioni per la produzione. Una linea, quella della Cancelliera tedesca, che coincide con quella delle aziende farmaceutiche. Queste ultime, infatti, negli ultimi giorni si sono compattate per fare fronte comune contro ogni sospensione dei brevetti. Esse infatti ritengono, in primo luogo, di non dover rinunciare ai propri diritti sulle scoperte scientifiche che hanno condotto alla produzione dei vaccini, ed in secondo luogo sostengono la dannosità a livello qualitativo di un’iniziativa di questo tipo.
Due fazioni, quindi, ed uno scontro aperto tra i sostenitori della sospensione per la tutela della salute pubblica e i difensori della proprietà intellettuale.

Tutela della salute e proprietà intellettuale

Nel diritto internazionale – così come nelle Costituzioni di pressoché tutti gli Stati che a tale diritto sono soggetti – la salute è considerata un diritto fondamentale ed inalienabile dell’individuo, che appartiene all’uomo in quanto tale sin dalla nascita, ed è un corollario del più ampio diritto alla vita e all’integrità fisica.

L’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), che rappresenta il punto di riferimento a livello internazionale in materia di salute pubblica, ha quale obiettivo fondamentale “il raggiungimento, da parte di tutte le popolazioni, del più alto livello possibile di salute”, definita come “stato di totale benessere fisico, mentale e sociale” e non semplicemente “assenza di malattie o infermità”. Sulla stessa linea, tutte le principali Convenzioni internazionali collocano il diritto alla salute tra i principali diritti fondamentali, tanto dell’individuo quanto delle collettività, e stabiliscono che ciascuno Stato ha l’obbligo di tutelarlo. A titolo esemplificativo è possibile citare l’art. 25 della Dichiarazione Universale dei diritti umani adottata dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite il 10 Dicembre 1948 e l’art. 12 del Patto Internazionale sui diritti Economici Sociali e Culturali adottato dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite il 16 dicembre 1966.

Tuttavia tale diritto, come ogni altro, può trovarsi di fronte altri diritti tutelati dagli Stati e dalla comunità internazionale, rendendo necessarie riflessioni in tema di bilanciamento tra gli interessi coinvolti. Tra questi, vi è senza dubbio la tutela della proprietà intellettuale e la legislazione sui brevetti, attraverso la concessione dei quali viene conferito un diritto esclusivo – c.d. monopolio – su un’invenzione, in base al quale si può vietare a terzi di produrre, usare, mettere in commercio, vendere o importare l’oggetto dell’invenzione.

Il rapporto complicato con la tutela della salute non è una novità, ma è un tema già emerso in passato.
Il dibattito sulle implicazioni della tutela della proprietà intellettuale sul diritto alla salute è infatti iniziato con l’adozione dell’Accordo TRIPS (Trade Related aspects of Intellectual Property rights), nato contestualmente alla sua sottoscrizione nel 1994 da parte dei Paesi aderenti all’Organizzazione Mondiale del Commercio (WTO).

Nel TRIPS vengono stabiliti gli standard minimi internazionali di protezione dei diritti di proprietà intellettuale. Viene cioè definito che cosa può essere considerato proprietà intellettuale, quali diritti sono ad essa collegati, quali sono le eccezioni permesse e qual è la durata minima dei brevetti. Tra gli ambiti più controversi regolamentati dall’accordo TRIPS e che avevano scatenato il dibattito internazionale all’epoca della sua entrata in vigore vi era proprio il settore farmaceutico, per i cui prodotti la durata minima di brevetto era ed è pari a 20 anni. Infatti, molti tra i Paesi più poveri del mondo non solo non avevano ancora una legislazione coerente con gli standard internazionali, ma nonostante fossero di fatto “fuori” dalle rigide regole internazionali, gli effetti dell’accordo si ripercuotevano anche su tali Paesi, in quanto dipendenti dalle importazioni di merci prodotte dove la proprietà intellettuale era fortemente difesa.

Prima dell’Accordo TRIPs, ogni Paese poteva liberamente decidere sulla propria politica sanitaria in base al suo sviluppo interno e produrre farmaci generici prima ancora che il brevetto diventasse di pubblico dominio. Ciò ha permesso al diritto alla salute di prevalere sulla protezione dei diritti brevettuali in alcuni casi di emergenze sanitarie nazionali, nonostante la riluttanza dell’industria farmaceutica. Con la firma dell’Accordo però questa pratica è stata compromessa dall’istituzione di standard identici nei confronti dei diversi Paesi firmatari al fine di conseguire la globalizzazione dei diritti di proprietà intellettuale, anche per quanto riguarda i brevetti sui medicinali. Il risultato è stato l’impennata dei prezzi dei farmaci, che ha compromesso in tal modo la distribuzione dei prodotti sanitari per i meno abbienti. Questo è vero anche per i vaccini che, come gli altri farmaci, sono brevettabili.

Le possibili deroghe alla legislazione sui brevetti

Le regole rigide sui brevetti possono effettivamente avere ripercussioni sul pari accesso alla tutela del diritto alla salute. Tuttavia, nell’Accordo TRIPS sono presenti numerose eccezioni che possono facilitare l’accessibilità ai farmaci e che rappresentano un dato importante sul quale poter lavorare.

Per superare fare ciò, gli Stati potrebbero attivare diversi strumenti giuridici. Uno primo strumento è quello delle licenze obbligatorie ex art.31, che prevede il diritto degli Stati membri del World Trade Organization (WTO) di includere nella loro legislazione una disposizione per l’uso del brevetto senza autorizzazione del titolare per facilitare l’accesso ai farmaci in circostanze di emergenza e altre situazioni non convenzionali. Ciò consentirebbe la produzione e l’esportazione di brevetti sui vaccini o vaccini in corso di brevettazione senza il previo consenso del titolare del monopolio e verso Stati privi della capacità necessaria a produrli localmente.

Per attivare le licenze obbligatorie è necessario, prima di tutto, che ci sia effettivamente un’emergenza sanitaria nazionale e, in secondo luogo, si può richiedere formalmente al titolare del brevetto un’autorizzazione immediata alla produzione dei farmaci necessari. Qualora quest’ultimo rifiuti, diventa possibile procedere all’imposizione di una licenza obbligatoria a fronte della disponibilità al pagamento di un corrispettivo congruo al titolare del brevetto stesso e a condizione che l’obbligatorietà della licenza sia circoscritta temporalmente e geograficamente.

Molti Paesi in via di sviluppo hanno fatto ricorso allo strumento delle licenze obbligatorie per far fronte alla scarsità di vaccini ed ai costi dei farmaci, facendo così sorgere aspri contenziosi. Nei contenziosi in esame, però, i giudici nazionali finivano spesso per favorire i diritti fondamentali quali il diritto alla vita, alla salute, alla dignità umana, legittimando le politiche economiche dei Paesi accusati di applicazione troppo estensiva e pretestuosa delle clausole di limitazione della proprietà intellettuale previste dal TRIPS. Ad ogni modo, l’iter procedurale per l’attuazione del meccanismo è lungo ed articolato, ed il tempo non è sicuramente a favore della lotta alla pandemia.

Un’altra modalità più rude – e che difficilmente si vedrà – per limitare i brevetti sui vaccini è quella dell’espropriazione, in Italia prevista dall’articolo 141 del Codice della proprietà industriale (d.lgs. 30/2005). Quest’ultima permette allo Stato di impossessarsi di qualsiasi brevetto nell’interesse della difesa militare del Paese o per altre ragioni di pubblica utilità, a fronte di un’indennità al titolare. Lo Stato può espropriare il diritto nel suo complesso, ovvero anche soltanto il diritto di utilizzare l’invenzione nell’interesse nazionale e per un periodo determinato di tempo. Inoltre, l’espropriazione può essere limitata al diritto di uso per i bisogni dello Stato, fatte salve le previsioni in materia di licenze obbligatorie, in quanto compatibili. Ciò rende quest’ultimo strumento poco appetibile nella gestione di una pandemia globale, soprattutto se si tratta di sostenere i Paesi che hanno meno possibilità di accedere ai vaccini.

Le possibili conseguenze della sospensione

Il dibattito sui pro e i contro di una sospensione dei brevetti sui vaccini, non è che la cartina di tornasole dello scontro tra i sostenitori e gli oppositori di questa iniziativa.
In effetti, è molto complicato dare una risposta in termini assoluti, ma è possibile quantomeno accennare alle prospettive più verosimili.

Iniziando dai critici, le ragioni che spingono l’industria farmaceutica – ma anche molti esperti – ad opporsi alla sospensione dei brevetti sono numerose. Innanzitutto, sostengono che se ad oggi vi sono limiti produttivi, ciò non è dato da ostacoli posti dalle aziende stesse, ma da una scarsità di alcune componenti necessarie a realizzare i vaccini.

Infatti, per produrre un vaccino servono più di 200 componenti prodotte in diversi luoghi del pianeta, e se ne manca anche una soltanto il processo di produzione si interrompe. Effettivamente, una deroga alle regole in materia di proprietà intellettuale non risolverebbe comunque il problema di reperire le componenti essenziali e quello della loro scarsità intrinseca. Inoltre, produrre un vaccino è un processo biologico molto complesso: liberare i vaccini dai brevetti non rende qualunque impresa in una produttrice degli stessi. Occorrono strutture, capitale umano competente e attrezzature adeguate, purtroppo non sempre accessibili nei contesti più svantaggiati. Oltretutto, bisogna tenere in considerazione anche i rischi alla salute di chi riceve dosi mal prodotte.

Infine, la sospensione potrebbe allungare i tempi della campagna anche per le opposizioni legali che sarebbero pressoché scontate, in quanto le case farmaceutiche non sembrano voler arretrare rispetto alle posizioni assunte.

Dall’altro lato, i fiancheggiatori del Presidente Biden sostengono che il monopolio sui vaccini rappresenta un ostacolo alla conclusione rapida della campagna vaccinale. In effetti, secondo questo schieramento che avanza con il vessillo del diritto alla salute, nell’ambito di una pandemia globale, bisognerebbe far prevalere i diritti umani rispetto ai diritti economici – il che è un bilanciamento che trova d’accordo le giurisdizioni nazionali ed internazionali – di coloro i quali rappresentano interessi privati. Nella loro opinione, quindi, una sospensione dei brevetti delle case farmaceutiche permetterebbe in primo luogo di allargare la cerchia dei produttori di vaccini aumentando la curva dell’offerta allineandola a quella della domanda, ed in secondo luogo di ridurre i prezzi rendendoli più accessibili anche a chi ha meno possibilità economiche.

La terza via possibile

Lo scontro tra i sostenitori dell’iniziativa del Presidente degli Stati Uniti e i giganti della farmaceutica è appena iniziato ma è già durissimo, e più sarà forte la convinzione dello schieramento pro-sospensione, più rischia di inasprirsi. Al di là di ogni considerazione soggettiva sul tema, risulta comunque difficile – come accennato nel paragrafo precedente – dare risposte certe a chi si chiede quali vantaggi potrebbero scaturire dalla “vittoria” dell’uno o dell’altro schieramento. C’è da dire però – a dimostrazione di quanto complessa sia la situazione – che seppure sia indiscutibile che l’uscita definitiva dalla pandemia sarà possibile soltanto se tutti potranno accedere ai vaccini, è anche vero che la sospensione dei brevetti non risolverebbe tutti i limiti a tale accesso.

I Paesi che hanno bisogno di accedere alle dosi e che stanno rimanendo indietro sono gli stessi che si trovano a rincorrere sotto altri punti di vista. Si tratta cioè di Paesi con poche disponibilità economiche, problematiche a livello di censimento della popolazione, privi delle strutture, delle competenze e delle attrezzature adeguate per poter produrre vaccini. In Africa, ad esempio, solo cinque Paesi hanno dimostrato la capacità di poter produrre vaccini (Egitto, Marocco, Senegal, Sud Africa e Tunisia).

A questo punto, quindi, sarebbe forse necessario ipotizzare soluzioni alternative per raggiungere l’obiettivo in tempi brevi e senza scontri, tenendo fermo il principio per cui una pandemia globale è per forza di cose una fase critica che concerne ogni Stato del pianeta.

Una strada come quella caldeggiata da Tedros Adhanom Ghebreyesus, direttore generale dell’OMS, ossia la costituzione di un fondo comune internazionale per finanziare l’acquisto delle dosi necessarie per i Paesi svantaggiati, accompagnata dall’invio di personale sanitario qualificato, potrebbe essere non solo una via pacifica e priva di attriti, ma anche una dimostrazione di solidarietà importante per ripartire verso tempi migliori.

Ci auguriamo che le Nazioni possano valutare con serenità, scevri da contrapposizioni ideologiche, questa soluzione. La lotta al covid-19 ha bisogno di unità tra i popoli. Che si faccia fronte comune, per ridurre le diseguaglianze che – come si vede adesso con chiarezza ineludibile – danneggiano tutti, non solo i Paesi poveri. 

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