gender digital mismatch

Un PNRR che ignora le donne fa male al Paese: le nostre proposte

Creare le condizioni culturali, sociali e formative affinché le donne possano lavorare è uno dei problemi prioritari del Paese. Lo dice il PNRR che, però, poi delude le aspettative di rilancio dell’occupazione femminile, lascia le donne ai margini. C’è ancora tanta strada da fare, soprattutto in termini di vision politica

Pubblicato il 11 Mag 2021

Darya Majidi

imprenditrice, speaker, docente, mentore, femminista tecnologica, founder Community Donne 4.0

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In ben 269 pagine, frutto di trattative, accordi e compromessi, il Governo non ha trovato spazio per le donne. È questo il Piano nazionale di ripresa e resilienza, il PNRR, appena presentato a Bruxelles.

Ma qual è la vera e principale leva per la ripresa dell’Italia? A mio avviso, senza dubbio, aumentare l’occupazione femminile. In Italia lavora 1 donna su 2 e studi stimano che se l’occupazione femminile salisse al 60%, avremmo un aumento automatico del PIL del 7%. Con le varie associazioni femminili con cui collaboro, abbiamo lavorato per mesi dietro le quinte per suggerire alla politica strumenti innovativi da introdurre nel PNRR, per la creazione di posti di lavoro qualificati per le donne e sono ansiosa di vedere se siamo riuscite ad impattare il piano con le nostre proposte.

Share of women working in STEM fields in 2020, by country

Le aspettative verso il PNRR

Scorro velocemente il documento con lo strumento “trova” e cerco le parole “donna” e “donne”. In molti documenti di indirizzo politico, la parola “donne” semplicemente non esiste, come se il divario di genere non meritasse di essere affrontato con misure specifiche. In 269 pagine la parola “donne” appare ben 54 volte. Sono incoraggiata. Leggo che le 6 missioni principali individuate, condividono a matrice, le priorità trasversali, relative alle pari opportunità generazionali, di genere e territoriali. Noto anche che c’è un capitolo specifico dedicato alle politiche per le donne, dove si sottolineano le criticità delle donne in Italia. Riporto: “Il tasso di partecipazione delle donne al lavoro è solo il 53,8 per cento, molto al di sotto del 67,3 per cento della media europea. Nel Paese persiste anche un ampio divario di genere nel tasso di occupazione, pari a circa 19,8 punti percentuali nel 2019“. Il problema è evidente ed è ben centrato. Creare le condizioni culturali, sociali e formative affinché le donne possano lavorare è evidentemente uno dei problemi prioritari da affrontare. Scorrendo il capitolo dedicato alle politiche per le donne vedo l’elenco dei problemi ben noti e per le risposte si rimanda ai capitoli successivi delle Missioni.

Il documento presenta infatti 6 Missioni: 1- transizione digitale, 2- transizione ecologica, 3- mobilità sostenibile, 4 -istruzione e ricerca, 5-inclusione sociale, 6 -salute. Scorro gli obiettivi generali del piano e noto che la parola donne appare ben 30 volte. Sono speranzosa. Forse i nostri suggerimenti di coinvolgere le donne nei mestieri del futuro che si creeranno grazie al green, al digitale, all’IOT, all’AI e alle altre tecnologie abilitanti sono stati recepiti.

Un documento che ignora i veri problemi delle donne

Inizio a scorrere il capitolo Missione 1, dedicato alla digitalizzazione del paese, a cui sono destinati circa 40 miliardi, e cerco le misure specifiche su come avvicinare le donne alle tecnologie richieste dai lavori del futuro, ma non c’è. La parola donne semplicemente non appare nel capitolo, come se i problemi del gender digital mismatch e del digital gender gap non esistessero. Alla fine del capitolo, c’è un paragrafo dedicato al divario di genere dove si afferma che la digitalizzazione della PA e lo smart working potrebbero creare dei posti di lavoro alle donne e che il potenziamento dell’offerta turistica e culturale, grazie alla digitalizzazione, potranno creare nuova occupazione femminile. Stupore. In un contesto in cui le tecnologie stanno creando nuovi lavori, nuovi modelli di business, dove le donne potrebbero far esplodere i propri talenti (penso alla sharing economy, alla gig economy,..), dove le donne dovrebbero portare la propria conoscenza, la propria sensibilità verso i temi della robotica, del femtech, dell’etica, della genetica, del fintech, della cybersecurity, dei bias negli algortmi e molto altro ancora, qui si parla solo del fatto che la PA e il turismo digitale potranno creare dei posti di lavoro alle donne? Mi pare un tentativo di pinkwashing. Il termine deriva dal greenwashing, ovvero l’atteggiamento non etico di quelle aziende che, pur non essendo sensibili ad una sostenibilità ambientale nei loro processi, usano invece una comunicazione incentrata sul green per avere un posizionamento favorevole nel mercato. Visto che la Commissione Europea ha raccomandato che ogni investimento avesse ricadute specifiche per chiudere il divario di genere, nel PNRR, alla fine di ogni Missione, è stato creato un capitolo ad hoc dove si cerca di dare risposte al problema del divario di genere, purtroppo in modo non competente e non pertinente. Questo è pinkwashing. Le donne nella Mission 1 dovrebbero avere investimenti specifici per essere supportate per portare i loro talenti nei progetti di trasformazione digitale, portando le proprie competenze peculiari nel sistema industriale ed economico. Altro tema non citato nel documento: nel 2020 le startup innovative, fondamentali per l’innovazione digitale del nostro paese erano 12.068. Le startup innovative a guida femminile solo 1598, ovvero il 13,2%. Come supportare la nascita e crescita di startup innovative digitali femminili?

Continuo a leggere. Nella Missione 2, a cui sono dedicati circa 55 miliardi, idem, la parola donne non c’è. Alla fine del capitolo c’è il solito trafiletto dedicato al divario di genere: “Nella Missione 2 hanno un ruolo di contrasto alle diseguaglianze di genere soprattutto le misure connesse all’edilizia residenziale pubblica, compresa l’estensione del superbonus al 110% agli IACP, posto che la carenza abitativa si riflette differentemente su uomini e donne per via del differente ruolo familiare loro attribuito e del fatto che la maggior parte delle famiglie monoparentali siano affidate a donne”. Rimango allibita. In un contesto in cui i green jobs creeranno i posti di lavoro qualificati, l’impatto sulle donne arriva grazie all’edilizia residenziale pubblica?

Arrivo alla Missione 3, dedicata alla mobilità. Fondi circa 25 miliardi. La parola donne non c’è. Alla fine, c’è il solito paragrafo di divario di genere e riporta: “Sono misure importanti per potenziare la mobilità delle donne, le quali utilizzano più degli uomini i trasporti collettivi e meno l’auto privata. Le donne tendono, inoltre, ad avere delle catene di spostamenti quotidiani più spezzate e complesse degli uomini, i quali si limitano spesso al tragitto casa-lavoro-casa”. E quindi? Studi dimostrano che l’urbanistica e la mobilità hanno strategie e impatti differenti se coinvolgono o meno le competenze di genere nella loro definizione. Inizio ad essere preoccupata.

Missione 4: Istruzione e ricerca. Investimenti per circa 30 miliardi. Spero di trovare qui il capitolo dedicato all’up-skilling e re-skilling delle donne di tutte le fasce di età, per abbattere gli stereotipi tech di genere e avvicinare le donne ai lavori IT e TLC. Il Piano parla genericamente di formazione e investe invece sulle competenze STEM solo delle studentesse delle scuole superiori. Studi dimostrano che già dalle primarie si dovrebbe avvicinare le bambine a questi temi e che la scelta delle superiori ha già creato un divario di genere tra le ragazze. In pochissime seguiranno studi tecnici. Anche il temine STEM, ormai tanto in voga, è da approfondire. Le donne da anni si laureano in numero maggiore rispetto agli uomini in matematica, biologia, scienze e medicina e iI vero problema da colmare sono materie quali l’informatica ed ingegneria, esattamente le materie che stanno creando e plasmando il mondo dove le donne sono sottorappresentate. Appare il termine donne quando si affronta il tema della creazione degli asili nido, dove l’Italia ha un ritardo grave e vergognoso. Gli asili nido dovrebbero essere gratuiti e accessibili per tutti i bambini, e non a pagamento e per una élite. Questo è uno dei reali motivi per cui le donne italiane fanno meno bambini, perché sanno di non avere infrastrutture sociali a loro supporto. Si stima che con i 4,6 miliardi previsti si potrà arrivare ad avere un asilo nido solo per 1 bambino su 3. E gli altri bambini? I congedi parentali, non citati. I bambini sono un problema solo delle mamme. E per le donne non mamme quali strumenti concreti esistono?

Missione 5. Coesione sociale. Circa 19 miliardi di investimento. Qui purtroppo la parola donne appare abbondantemente. Si parla di Imprenditoria femminile, senza mai accennare alla startup innovative. L’imprenditoria femminile viene associata ad aziende di servizi tipicamente femminili. Trovo finalmente una nota positiva: si parla dell’Introduzione di un sistema nazionale di certificazione della parità di genere nelle imprese per ridurre i divari e rafforzare la trasparenza salariale. Mi sembra però di giocare in rimessa. Dove si investe sulla leadership delle donne? Dove sull’empowerment tecnologico femminile?

Missione 6. Si parla di salute a cui su dedica circa 15 miliardi e c’è anche un accenno alla Medicina di genere. Si parla di supportare le donne nei loro ruoli di cura di anziani e disabili. Ancora.

Statistic: Global gender pay gap from 2015 to 2020 (in U.S. dollars) | Statista


Find more statistics at Statista

Conclusioni

Sono delusa. Alla fine, per la chiusura del divario di genere ci sono: 4,6 miliardi per nuovi asili nido, scuole materne e servizi di educazione e cura per la prima infanzia, meno di 1 miliardo per l’estensione del tempo pieno nelle scuole primarie, 400 milioni per favorire l’imprenditorialità femminile (una cifra misera), 1 miliardo per la promozione delle competenze STEM per le studentesse. Non è sufficiente e soprattutto manca un piano organico e strategico.

Mi aspettavo un piano più alleato delle donne, più coraggioso, innovativo, che valorizzasse le competenze delle donne che devono far ripartire l’Italia. Un piano consapevole delle reali opportunità create dalla digital transformation in atto. La rappresentazione della donna che viene fuori è una donna che deve faticare ancora per avere un posto all’asilo nido per il figlio, si deve occupare della cura degli anziani, che deve ambire a lavorare in settori non strategici, tipicamente femminili.

Cosa propongo?

  • Di definire e monitorare degli indicatori quantitativi per misurare in ogni Missione realmente quanti posti di lavoro femminili si creano e introdurre azioni correttive.
  • Di fissare come obiettivo prioritario il raggiungimento del 62% dell’occupazione femminile.
  • Di creare un progetto strategico con strumenti mirati per la formazione specifica delle digital skill per le donne in tutte le face di età
  • Di dare un supporto reale alle aziende femminili (startup e non) con incentivi a fondo perduto
  • Un supporto reale alle professioniste e partite IVA in modo consistente
  • Un congedo di paternità obbligatorio in linea con le migliori prassi europee.
  • Un aumento obbligatorio della presenza delle donne negli organi decisionali privati e pubblici

Siamo solo al primo round e il PRNN stesso cita la creazione di una Piano Strategico Nazionale per la parità di genere. Noto che purtroppo la delega va solo al Dipartimento Pari Opportunità. Non al Lavoro, non al Digitale. Il documento rappresenta un’Italia distante dalla realtà. C’è ancora tanta strada da fare. Soprattutto sulla capacità di vision strategica della classe politica italiana.

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