Videogame e salute

Gacha Game: il confine sottile tra videogiochi e gambling

I Gacha game sono videogiochi che contengono item shop, in cui acquistare oggetti e sbloccare funzionalità con toy money, soldi virtuali dal corrispettivo reale. Come funzionano le microtransazioni? Cosa sono le loot box? Esiste un legame con il gioco d’azzardo?

Pubblicato il 18 Giu 2021

Antonio Guadagno

Ingegnere, consulente informatico, docente, formatore

gacha game

I Gacha Game, come Genshin Impact e Princess Connect! RE, sono giochi ispirati ai Gachapon giapponesi. I Gachapon sono quelle specie di distributori che, in cambio di una moneta (il cui valore è cambiato nel tempo), distribuivano in maniera casuale sferette con oggetti di ogni tipo. Una questione di “fortuna”: ricevere il gadget desiderato era un dono, altrimenti occorreva ritentare la sorte con un’altra monetina.

Il meccanismo, a distanza di anni, è rimasto identico, ma applicato al digitale. Sono cambiati i target, ma gli elementi più ambìti rimangono legati a percentuali molto basse di comparsa, al contrario di quelli considerati più comuni che compaiono in “lotti” molto più di frequente.

Per fare un esempio, Genshin Impact ha guadagnato talmente tanto da potersi ripagare lo sviluppo di aggiornamenti o nuovi contenuti per altri due lustri.

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Gacha Game: il ruolo di microtransazioni e loot box

I videogiochi sono da sempre considerati un enorme potenziale economico, soprattutto con l’introduzione del modello delle microtransazioni.

Il termine microtransazioni indica tutti quei pagamenti che possono essere effettuati all’interno di un videogioco, acquistabili tramite moneta reale: ci si riferisce generalmente ai DLC – DownLoadable Content, quell’insieme di funzioni extra per migliorare le prestazioni all’interno di un videogioco.

In realtà, occorre distinguere tra due diversi tipi di microtransazioni presenti nei videogiochi: quelle certe e quelle aleatorie. Le prime attribuiscono all’acquirente un oggetto virtuale certo: il giocatore potrà scegliere cosa ottenere a seguito dell’acquisto. Le aleatorie, al contrario, attribuiranno un elemento di gioco non certo, poiché le probabilità di “uscita” sono stabilite da regole definite dagli sviluppatori stessi.

Sono microtransazioni aleatorie le loot box, denominate tecnicamente RCP – Random Chances Purchases (RCP), ovvero acquisti con probabilità randomica: l’utente non può scegliere l’elemento da comperare, ma acquista solo un “contenitore” digitale, che ha al suo interno un oggetto virtuale, a cui è associata una determinata probabilità.

Le loot box hanno un costo molto contenuto, normalmente non superiore a pochi euro: ciò spinge l’utente a compiere tanti acquisti fino a quando l’oggetto desiderato non verrà estratto spendendo, a volte inconsapevolmente, cifre smisurate.

Cosa sono gli item shop e i toy money

Tutto è nato da quando i grandi sviluppatori dell’industria videoludica come Ubisoft, Square Enix ed Electronic Arts, sono passati dal modello di business P2P – Pay-to-Play a quello più remunerativo del F2P – Free-to-Play, soprattutto per gli MMO – Massively Multiplayer Online Game o MMORPG – Massively Multiplayer Online Role-Playing Game.

La logica alla base di questo genere di videogioco è quella di creare qualcosa che venga costantemente aggiornato e arricchito di contenuti per molti anni, in modo da coinvolgere e trattenere più facilmente i giocatori, agevolando di conseguenza le vendite in-game di oggetti virtuali avvalendosi delle microtransazioni.

Gli sviluppatori offrono la possibilità di acquistare centinaia di articoli differenti attraverso negozi incorporati direttamente all’interno del gioco: gli item shop, dall’implementazione per niente casuale.

Uno dei trucchi più insidiosi, come indicato già da qualche anno sul sito dell’azienda di cybersecurity Kaspersky, riguarda i cosiddetti toy money, ovvero l’uso di soldi fittizi, virtuali: gli utenti spendono le monete virtuali con maggiore facilità rispetto ai soldi veri e propri, anche se, ovviamente, esiste un corrispettivo effettivo.

Dal punto di vista psicologico, ricevere tot vite per 2 euro è diverso che riceverle per un numero di toy money: anche se, conti alla mano, si spende di più. Più lunga è la catena di passaggio tra il mondo virtuale e i soldi reali, più il trucco diventa efficace.

Gacha Game e loot box: l’intervento dell’Agcom

L’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni non ha tralasciato che i giochi free to play, pur essendo presentati come gratuiti, prevedono acquisti in-game all’interno del gioco, in assenza di indicazioni contestuali che chiariscano la presenza di tali acquisti.

Con i bollettini n. 41 del 19 ottobre 2020 e n. 48 del 7 dicembre 2020, l’Agcom ha avviato dei procedimenti in relazione alla promozione e vendita di videogiochi che offrono la possibilità di effettuare acquisti in-game e acquisti tramite loot box.

In particolare, l’Agcom ha ravvisato elementi tesi a falsare in misura apprezzabile il comportamento economico dei consumatori in relazione alla promozione e vendita dei videogiochi ostacolando di fatto l’esercizio di diritti contrattuali dei consumatori.

Il problema di fondo è che quando si è online, ovvero fuori da locali commerciali, si è portati al cosiddetto acquisto di impulso: per tale motivo occorrono regole e dichiarazioni su ciò che si acquista molto più chiare e trasparenti.

Gacha game: c’è legame tra loot box e gioco d’azzardo?

GambleAware, una associazione inglese attiva nell’assistenza e supporto gratuiti nel settore del gambling, ha pubblicato recentemente, in collaborazione con le Università di Plymouth e di Wolverhampton, un rapporto sugli eventuali collegamenti tra “loot box” dei videogiochi e gioco d’azzardo problematico.

A tal proposito, James Close, Senior Research Fellow dell’Università di Plymouth, ha dichiarato: «Il nostro lavoro ha stabilito che il coinvolgimento con le loot box è associato a comportamenti problematici di gioco d’azzardo, con i giocatori incoraggiati ad acquistare attraverso tecniche psicologiche come la” paura di perdere”. Abbiamo fornito una serie di suggerimenti politici per gestire meglio questi rischi per le persone vulnerabili, sebbene possano essere necessarie anche protezioni più ampie per i consumatori».

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