C’era da aspettarselo. Le iniziative di Confindustria Radio Televisioni (CRTV) nei confronti del Ministero dello Sviluppo Economico (MiSE) per segnalare la necessità di rimodulare l’avvio dello switch-off del DVB-T e del refarming della banda 700 MHz erano nell’aria. Come già previsto in queste pagine, troppi erano ancora i punti critici in sospeso del processo e i ritardi nell’attuazione della roadmap definita dal Ministero per immaginare che la transizione potesse avvenire senza ostacoli o rallentamenti.
La prima scadenza è il primo settembre 2021 ed è previsto, a tale data, che gli operatori nazionali e la Rai regionale dismettano la codifica MPEG-2 per passare alla codifica MPEG4, ricevibile solo dai televisori HD. Questa scadenza è molto ravvicinata e lascerà con lo schermo nero molte famiglie che hanno a disposizione solo televisioni o ricevitori SD, non dotato di decodifica MPEG-4. Eppure, potrebbe esserci una soluzione che permetterebbe di evitare il peggio.
Il quadro d’insieme
Il quadro d’insieme è abbastanza critico.
La diffusione di televisori e set-top box compatibili con il nuovo standard DVB-T2 non è soddisfacente. L’ultimo aggiornamento dell’indagine dalla Fondazione Ugo Bordoni del mese di marzo 2021, pubblicato sul sito del MiSE ci informa che circa il 50% delle famiglie non è dotato di ricevitore DVB-T2 mentre le proiezioni più ottimistiche (campione “oggettivo” e trend supportato attraverso incentivi statali all’acquisto) a settembre 2021 danno ancora il 29,2% delle famiglie prive di almeno un ricevitore T2. Si tratta di circa 6,9 milioni di famiglie, un dato molto alto che dovrebbe auspicabilmente tendere a zero al 30 giugno del 2022 ma difficilmente lo sarà. Si prevede poi che al 1° settembre ancora 0,9 milioni di famiglie avranno ancora solo il televisore SD anche se lo scenario più ottimistico – forse lo è eccessivamente – prevede che questo numero si azzeri a tale data.
Sul fronte poi degli adempimenti amministrativi le cose non vanno molto meglio. Si apprende che devono essere ancora completate le procedure di assegnazione delle frequenze locali, le gare per l’assegnazione delle autorizzazioni ai fornitori di servizi media (FSMA) locali che dovranno occupare queste frequenze e per i numeri LCN. Inoltre, non risulta che si siano ancora completate le gare per l’assegnazione della ulteriore capacità trasmissiva disponibile a livello nazionale e delle relative frequenze e nemmeno conclusi gli accordi per condividere i c0siddetti “mezzi” multiplex da assegnare agli operatori nazionali con un multiplex in DVB-T.
Insomma, un quadro piuttosto scuro che non può far pensare che il completamento della transizione al DVB-T2 e del refarming della banda 700 MHz possa avvenire senza scossoni.
Le richieste di Confindustria Radio Televisioni
Le richieste di Confindustria Radio Televisioni vanno nella direzione di concedere maggior flessibilità alle scadenze previsti nella roadmap di transizione. In primo luogo, abolire l’obbligo per tutti gli operatori nazionali di passare contemporaneamente dall’MPEG-2, lo standard ricevibile dai televisori non HD, all’MPEG-4 il 1° settembre 2021. Come prima detto, l’indagine FUB prevede che ancora a questa data circa 0,9 milioni di famiglie avranno solo un televisore non-HD, rappresentando circa il 4% delle famiglie ma la forchetta di questa stima sembra essere abbastanza ampia. Secondo CRTV, il passaggio dovrebbe essere progressivo per rete e territorio in maniera da non lasciare nessuna famiglia con lo schermo nero. Inoltre, viene richiesto di non obbligare gli operatori a trasmettere in DVB-T2 dopo il 30 giugno 2022, lasciando agli stessi la facoltà di scegliere se continuare ancora a usare il DVB-T fino a quando la diffusione del dei ricevitori T2 non avrà raggiunto la quasi totalità delle famiglie anche nei secondi e terzi televisori. Queste richieste appaiono ragionevoli laddove non pregiudichino la scadenza del 30 giugno 2022 per il passaggio delle frequenze agli operatori di rete mobile che, ricordiamo, si sono impegnati, con l’asta del 2018, a pagare circa 2 miliardi di euro per aggiudicarsele. E infatti CRTV non richiede il rinvio di tale appuntamento. Si mette però in discussione uno dei criteri cardine del processo di transizione previsto dalla legge, ossia quello di trasportare tutte o quasi le televisioni esistenti nel post-refarming della banda 700 MHz e di ampliare la capacità trasmissiva a disposizione dei fornitori di servizi audiovisivi per offrire un maggior numero di programmi in HD o addirittura in 4K.
Molte emittenti a rischio chiusura?
È dimostrato che mantenere il DVB-T, anche se con la sola codifica MPEG-4, in una situazione che vede in quasi tutte le regioni solo 14 frequenze disponibili in luogo delle circa 30/40 odierne non consentirebbe di mantenere, dopo il refarming, tutti i programmi attualmente in onda. Potrebbe quindi avvenire una decimazione di programmi in un contesto senza regole precise che scatenerebbe una guerra al “si salvi chi può”. È vero che sarebbe per un periodo transitorio ma potrebbe causare probabilmente la chiusura di molte emittenti. CRTV stessa vede questo pericolo e ritiene che il problema si possa affrontare attraverso “l’orchestrazione” della procedura da parte del Ministero e con il consenso delle emittenti, soprattutto locali, seriamente intenzionate a continuare a “fare” televisione anche dopo il refarming della banda 700 MHz.
Il “nodo” incentivi
Veniamo infine al capitolo degli incentivi. La lettera di Confindustria richiede che venga avviata la seconda fase di sussidio all’acquisto dei nuovi televisori o ricevitori DVB-T2. La prima fase non ha dato ancora risultati molto soddisfacenti. Il bonus è di 50 euro per l’acquisto di un televisore o set-top box ma la sua concessione è limitata alle sole famiglie con ISEE non superiore a 20.000 euro. Secondo i dati pubblicati dal Sole 24 Ore e di fonte MiSE, sarebbero stati richiesti solo circa 25 dei 150 milioni a bilancio per questa agevolazione per l’acquisto di poco più di 510.000 apparati tra televisori (oltre 430.000) e decoder TV o satellitari. Per la seconda fase si prevede di aumentare il contributo per l’acquisto a 100 euro rimuovendo il limite ISEE e rendendolo quindi disponibile a tutte le famiglie. È tuttavia necessario rottamare il vecchio televisore di casa, sia esso a tubi o a schermo piatto delle primissime generazioni. L’investimento aggiuntivo previsto è di 100 milioni di euro, già in bilancio per il 2021. CRTV richiede quindi che il decreto che fissa le modalità operative per l’erogazione di questo contributo venga rapidamente approvato per fornire una migliore incentivazione alla sostituzione, ordinata, dell’apparecchio ricevente ormai obsoleto con un nuovo dispositivo DVB-T2
Conclusioni
Sia consentito, in chiusura di questo articolo, lanciare un’ulteriore proposta per l’erogazione di questi contributi. Perché non pensare a distribuire in maniera massiva un ricevitore DVB-T2 in formato pen-stick da collegare direttamente alla presa HDMI del televisore? Secondo i dati forniti da FUB, le famiglie dotate di solo televisori non-HD e quindi presumibilmente privi di porta HDMI dovrebbero arrivare, al 1° settembre 2021, a 0,9 milioni o addirittura scendere a 0 nello scenario “supportato”. Le famiglie prive di televisori DVB-T2, ma comunque con TV HD (e relativa porta HDMI) sarebbero circa 6,9 Milioni. Con un investimento non superiore a 100 milioni di euro si potrebbero distribuire i mini-ricevitori per trasformare la quasi totalità di questi televisori HD in DVB-T2. La “chiavetta” DVB-T2, se acquistata in grandi quantità non dovrebbe infatti costare più di 10-15 euro e consentirebbe quindi di colmare il gap verso il DVB-T2 in tempi ragionevolmente brevi.