Un gruppo bipartisan della U.S. House of Representatives ha presentato cinque nuovi disegni di legge a tema Antitrust, il cui scopo è quello di impedire il protrarsi di condotte anticoncorrenziali da parte delle principali Big Tech: Apple, Amazon, Facebook e Google.
L’odierna riforma legislativa rappresenta la conclusione delle indagini condotte sulle Big Tech da parte della sottocommissione Giustizia della Camera, completata lo scorso anno. Dall’indagine, infatti, è emerso che le quattro società detengono, a tutti gli effetti, un potere di stampo monopolistico su diversi mercati e che le odierne leggi antitrust non sono sufficienti a regolare e limitare tale potere, richiedendo, pertanto, una necessitata “messa a nuovo”.
Potere, questo, che, a detta unanime del panel, determina un’evidente lesione della concorrenza, oltre che del consumatore finale.
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Tramite le suddette riforme sarà auspicabilmente possibile ripristinare una situazione di “normalità” del mercato digitale, andando a creare nuovi spazi per le aziende concorrenti e nuovi vantaggi per i consumatori.
I disegni di legge USA per l’antitrust e big tech
Sono cinque i disegni di legge che andranno a riformare l’intero impianto normativo antitrust statunitense (di cui due prendono attentamente in esame l’ipotesi in cui la società venda i propri prodotti sulla medfesima piattaforma dalla stessa interamente gestita):
- Il primo vieta alle piattaforme di possedere società sussidiarie che operano sulla loro stessa piattaforma, nell’ipotesi in cui tali società vadano a competere con altre aziende. In tal caso, le Big Tech saranno costrette a vendere detti asset al fine di ripristinare la neutralità della piattaforma e la sana concorrenza. “Da Amazon, a Facebook (FB. O), a Google e Apple (AAPL. O), è chiaro che questi giganti della tecnologia non regolamentati sono diventati troppo grandi per poter essere sanati”, ha dichiarato la rappresentante degli Stati Uniti Pramila Jayapal, democratica dello stato di Washington sponsor del decreto-legge in esame;
- Il secondo rende illegale, nella maggior parte dei casi, prevedere che la società dia la preferenza ai propri prodotti all’interno della propria piattaforma, prevedendo, in caso di violazione, anche una pesante sanzione pari al 30% delle entrate nazionali dell’azienda interessata;
- Il terzo richiede alle piattaforme di astenersi dal porre in essere qualsiasi fusione, salvo che non possa dimostrare che la società acquisita non è in concorrenza con alcun prodotto o servizio del mercato in cui opera la piattaforma;
- Il quarto richiede alle piattaforme di permettere agli utenti di trasferire i propri dati, nel caso in cui lo desiderino, altrove, anche verso la piattaforma di un’azienda concorrente;
- Da ultimo, il quinto aumenta gli obblighi posti in capo al Dipartimento di Giustizia ed alla Federal Trade Commission di valutazione delle grandi società, al fine di garantire che le fusioni poste in essere siano legali.
La Camera di Commercio Statunitense si è opposta fortemente all’approccio utilizzato dai disegni di legge, affermando che le misure “che si rivolgono a società specifiche, invece di concentrarsi sulle pratiche di business, sono semplicemente cattive politiche […] e potrebbero essere ritenute incostituzionali”.
Viceversa, Robert Weissman, presidente del gruppo di advocacy Public Citizen, ha appoggiato le riforme, dichiarando che “La crescita e il dominio incontrollati di Big Tech hanno portato a incredibili abusi di potere che hanno danneggiato consumatori, lavoratori, piccole imprese e innovazione. Quel potere incontrollato finisce ora”.
I possibili sviluppi
Come è possibile evincere da una prima analisi del contenuto sommario dei disegni di legge, gli stessi prendono direttamente di mira Amazon, Apple, Facebook e Google e la loro presa sui settori dell’e-commerce, dell’informazione e dell’intrattenimento.
Le proposte avanzate, adattando l’impianto normativo alle peculiarità di tali aziende, renderà potenzialmente più semplice procedere alla “separazione” delle stesse, alla creazione di nuovi ostacoli per l’acquisizione massiva dei competitor nascenti, e darà maggior potere alle autorità competenti per svolgere approfondite indagini sulle tattiche commerciali sinora attuate.
Non solo: la nuova normativa antitrust, per come riformata, potrebbe rimodellare l’intero modo in cui operano le Big Tech: Facebook e Google, ad esempio, potrebbero avere maggiori limitazioni per dimostrare che le fusioni attuate non sono anticoncorrenziali; Amazon potrebbe dover affrontare un maggiore controllo sulle modalità tramite cui vende i propri prodotti sulla piattaforma dalla stessa gestita, alterando il regolare funzionamento al fine di avvantaggiare i suoi stessi marchi; Apple potrebbe avere difficoltà a proporre nuove linee di business sul suo App Store che vadano, parimenti, a confliggere con le concorrenti già presenti sullo stesso.
“In questo momento, i monopoli tecnologici non regolamentati hanno troppo potere sulla nostra economia. Sono in una posizione unica per scegliere vincitori e vinti, distruggere le piccole imprese, aumentare i prezzi sui consumatori e mettere la gente senza lavoro”, ha dichiarato David Cicilline, democratico del Rhode Island e presidente della sottocommissione antitrust.”La nostra agenda livella le condizioni di concorrenza e garantirà che i monopoli tecnologici più ricchi e potenti giochino secondo le stesse regole di tutti noi”.
L’introduzione dei disegni di legge in esame, che attualmente godono di un discreto sostegno da parte di ambedue i partiti, rappresenta senza dubbio alcuno la sfida più aggressiva che Capitol Hill abbia lanciato ai giganti tecnologici della Silicon Valley, i quali hanno prosperato per anni godendo dell’assenza di specifica regolamentazione. Ma tale “zona grigia” sembra volgere al termine: l’anno scorso, la sottocommissione antitrust ha pubblicato un rapporto sul settore, dopo un’indagine di 16 mesi, dichiarando che Amazon, Apple, Facebook e Google hanno posto in essere una notevole varietà di comportamenti monopolistici; le proposte di legge in esame cercano di rispondere alle preoccupazioni espresse proprio all’interno di detta relazione.
La necessità di una riforma di “hard law”
Il bisogno di intervenire a monte, a livello legislativo, sulle Big Tech si rileva, in particolar modo, a fronte delle decine di indagini (non solo a tema antitrust, ma anche riferite a violazioni della privacy degli utenti, alla responsabilità dei contenuti e alla sicurezza digitale dei bambini) che nell’ultimo decennio hanno avuto esito negativo.
Tuttavia, ciò non ha frenato gli sforzi per tentare di limitare il predominio delle Big Tech: anzi, tali sforzi si sono moltiplicati a livello internazionale. Persino durante l’amministrazione Trump, il Dipartimento di Giustizia e la Federal Trade Commission hanno accusato Google e Facebook di pratiche anticoncorrenziali e hanno presentato cause legali che saranno oggetto di contenzioso per anni.
Le Big Tech affrontano simile sfide, infatti, in tutto il mondo: si pensi alle indagini antitrust avviate in Europa, alle riforme normative in Australia e in India, tutto allo scopo di limitarne il potere.
“Questo è il solo tipo di nuove leggi di cui abbiamo bisogno per affrontare davvero il problema del potere dei gatekeeper esercitato dalle piattaforme digitali dominanti”, ha dichiarato Charlotte Slaiman, direttore della concorrenza per Public Knowledge. “Le grandi aziende tecnologiche hanno così tanti e potenti strumenti per proteggere i loro monopoli. Questi disegni di legge darebbero agli esecutori antitrust una serie di strumenti più potenti per aprire i mercati delle piattaforme digitali alla concorrenza”.
Gli scenari che si aprono e gli ostacoli
- Alcune delle proposte oggi avanzate potrebbero ottenere ampio sostegno da parte dei legislatori statunitensi, specie quella relativa allo stanziamento di maggiori risorse finanziarie per coadiuvare le attività delle Autorità antitrust, tramite maggiori commissioni di maggiori finanziamenti attraverso maggiori commissioni sulle acquisizioni (c.d. merger fees).
- Stesso dicasi per il disegno di legge che prevede la possibilità, per i consumatori, di portare la propria “storia digitale” da un sito web, da una piattaforma, ad un altro, indebolendo il potere che oggi aziende come Facebook hanno sui dati personali.
Tuttavia, gli esperti stimano che gli altri disegni di legge troveranno maggiori ostacoli nel loro iter di approvazione, anche alla luce di alcune preoccupazioni sollevate dai repubblicani in merito all’eventualità che, una volta entrate in vigore tali leggi, le aziende più piccole vengano “spazzate via dai cambiamenti”. Ad ogni modo, Il rappresentante republicano Ken Buck del Colorado, ha affermato che “Questa legislazione rompe il potere monopolistico di Big Tech per controllare ciò che gli americani vedono e dicono online e promuove un mercato online che incoraggia l’innovazione e fornisce alle piccole imprese americane condizioni di parità. Non fare nulla non è un’opzione. Agiamo ora.”
Adam Kovacevich, capo della Chamber of Progress, un gruppo di lobbysti fra i quali rientrano alcuni membri delle Big Tech, ha affermato che i consumatori sarebbero stati privati dei prodotti oggi maggiormente popolari, nel caso in cui i disegni di legge fossero stati approvati: “Vietare comodità come le batterie del marchio Amazon Basics, lo strumento Trova il mio telefono di Apple o Google Maps che appare nei risultati di ricerca di Google sono idee che scateneranno un contraccolpo dei consumatori”.
Tuttavia, le piccole aziende che operano nel settore tecnologico si sono dette favorevoli all’entrata in vigore delle riforme. Roku, il produttore di dispositivi di streaming online, ha dichiarato, in tal senso, che le più grandi aziende tecnologiche “ignorano palesemente” le leggi antitrust esistenti e danneggiano enormemente i consumatori e che, proprio per tali ragioni, “è necessaria una serie aggressiva di riforme per prevenire un futuro in cui questi monopolisti abusino ulteriormente della scelta dei consumatori e ostacolino l’accesso a prodotti innovativi e indipendenti”.