“Ci vogliono 20 anni per costruire una reputazione e 5 minuti per rovinarla”. Così recita una citazione attribuita a Warren Buffet, imprenditore, economista e investitore statunitense, fra i più ricchi uomini al mondo.
Viene da dire che oggigiorno, grazie al web e ai social, forse bastano anche meno di 5 minuti per rovinare una reputazione costruita con anni di lavoro e impegno.
Il passaggio dal web 1.0 al web 2.0 ha infatti offerto nuove opportunità che in alcuni casi hanno stravolto comportamenti e abitudini delle persone. Di fatto, si è assistito a un cambiamento sostanziale nel livello di potere e azione degli utenti, passati da semplici fruitori passivi di materiale preparato da altri, a protagonisti attivi, attraverso l’interazione e la creazione di contenuti propri.
Potere al consumatore
Ma quali sono le conseguenze di questa evoluzione in termini di comportamento d’acquisto?
Il fatto che l’utente consumatore sia attore e costruttore del web, gli ha innanzitutto riconosciuto un potere ed una posizione che mai prima d’ora aveva avuto. Potere di informarsi, di scegliere, di influenzare gli altri e di determinare il successo o il fallimento di un’azienda, di un prodotto, di un servizio.
I cambiamenti dovuti alla digitalizzazione e all’iperconnessione hanno interessato in modo consistente il processo d’acquisto, cioè l’azione che porta una persona a comprare un prodotto o un servizio.
Le 4 fasi del processo d’acquisto
Il punto di partenza rimane lo stesso, ossia un bisogno o un desiderio, ora fa seguito un iter che si articola lungo 4 fasi, o “momenti della verità”.
In quello che nel 2011 Jim Lecinski della Divisione Sales and Services di Google definì ZMOT (Zero Moment Of Truth), il bisogno porta la persona a informarsi prima di compiere l’acquisto, consultando il web, per cercare il prodotto o servizio che più si avvicina alle proprie necessità. Se prima erano il prodotto o il servizio ad arrivare al consumatore, tramite i canali pubblicitari classici, quali la tv o i giornali, oggi è il consumatore che va in cerca di ciò che risponde al meglio alle proprie esigenze. La rete diventa lo strumento in grado di offrire tutte le informazioni necessarie per permettergli di individuare l’acquisto più idoneo. Grazie al web si possono confrontare prodotti, prezzi, si possono fare ricerche mirate e consultare le recensioni di altri utenti.
Al termine di questa ricerca, raccolte e valutate le informazioni del caso, la scelta ricade su di un prodotto o servizio, e quindi si procede con l’acquisto nella fase definita FMOT (First Moment of Truth). Segue la fase dell’utilizzo, SMOT (Second Moment of Truth), in cui l’acquirente ha la possibilità di valutare bontà, qualità e adesione alle aspettative.
La fase conclusiva, che insieme a quella iniziale di ricerca ha assunto importanza cruciale grazie al web partecipativo, è l’UMOT (Ultimate Moment of Truth), ossia il momento in cui l’utente condivide online con altri la propria esperienza di acquisto e utilizzo. È il passaparola digitale, che diversamente da quello classico può raggiungere dimensioni ben maggiori, coinvolgendo potenzialmente un numero enorme di persone. Non solo i profili sui social media, ma anche e soprattutto siti appositi di recensioni permettono alle persone di esprimere un proprio parere e una valutazione relativamente a un prodotto, a un brand o a un professionista a cui si sono rivolti.
Il settore che maggiormente si presta a questo “passaparola” online è quello del food and beverage, ma ormai in rete è possibile lasciare proprie recensioni un po’ ovunque e relativamente a vari ambiti (si pensi alle pagine su Facebook o al sito di Amazon).
Cosa è cambiato
Ma questo nuovo processo d’acquisto cos’ha comportato per imprenditori, brand, professionisti che erogano servizi ma anche per ciascun singolo utente della rete?
Innanzitutto, a oggi chi ha un’attività, un’azienda, od offre servizi, si trova nella condizione di dover quasi necessariamente essere presente online, proprio per poter essere trovato dai potenziali clienti, per dialogare con loro e per monitorare quello che essi dicono in rete.
Essere presenti online però non è sufficiente e nemmeno semplice, non basta avere un sito o una pagina sui social. Si deve fare i conti con dinamiche che bisogna saper gestire, pena l’insuccesso dei propri affari e talvolta anche il rischio fallimento. La presenza non organizzata e pianificata sotto ogni punto di vista rischia di diventare non solo inutile, ma anche pericolosa.
Il web mette a disposizione un palcoscenico da cui si può raggiungere velocemente una platea ampia, eterogenea e geograficamente anche molto distante.
È fondamentale saper usufruire al meglio di questa enorme potenzialità, ricordando però che all’aumentare del nostro pubblico aumentano contestualmente le responsabilità e i rischi. Ecco, quindi, che chi decide di essere online deve assicurarsi di essere efficace, credibile, utile e attento non solo ai messaggi che veicola, ma anche a come li veicola.
Dal web 1.0 al web 3.0
Il web nel corso degli anni ha subito un’evoluzione che l’ha fatto diventare un luogo con un livello sempre maggiore di partecipazione e interazione fra i suoi abitanti.
In origine fu il web 1.0, sistema di interconnessione degli utenti basata su reti di comunicazione. Questo primo web era composto da siti, piattaforme, portali che gli utenti potevano solo navigare passivamente, passando da una pagina all’altra, come se si sfogliasse un giornale. La possibilità di interazione fra navigatori e aziende era limitato esclusivamente ai contatti mail o telefonici. Erano i tempi in cui i dispositivi mobili non erano ancora così diffusi e performanti, e la navigazione in rete avveniva quasi totalmente tramite pc.
Aziende o fornitori di servizi comunicavano in modo unidirezionale, rivolgendosi in modo generico a destinatari diversi.
L’avvento del web 2.0 ha introdotto un enorme cambiamento: sono comparsi strumenti (come blog e social network) e app che hanno portato ad aumentare via via il livello di interazione e di partecipazione degli utenti. Da una comunicazione unidirezionale si è passati a un dialogo vero proprio, in cui aziende o fornitori di servizi si interfacciano quotidianamente con i propri clienti o potenziali tali. Non solo: a dialogare e a scambiarsi informazioni e pareri fra loro, e quindi a influenzarsi a vicenda, sono gli utenti stessi.
Oggi si parla addirittura di un web 3.0, in cui protagonisti sono sempre più i dati e l’intelligenza artificiale applicata alle risorse del web.
Il web è una casa di vetro
Il web è paragonabile a una casa di vetro, che consente a tutti di vedere quello che succede dentro. Se decidiamo di accettare queste condizioni, dobbiamo essere consapevoli delle conseguenze a cui andiamo incontro.
Il concetto di reputazione, ossia l’idea che ci si costruisce di qualcuno in base a come si comporta e a quello che dice, esiste da sempre, ed è fisiologico nei rapporti interpersonali.
Anche in rete, tramite i social soprattutto, ci si può rapportare con gli altri e osservarne il comportamento, pertanto si arriva a farsi un’idea a seconda di ciò che una persona posta o condivide, delle parole che usa, del modo con cui interagisce con gli altri online.
Ormai non si può più trascurare questo aspetto quando si decide di essere presenti in rete.
Non può trascurarlo l’imprenditore, l’azienda o il brand, che devono fare attenzione non solo alla qualità di ciò che propongono, ma anche a posizionarsi e a costruirsi un’immagine autorevole e solida. Questo significa cercare di non compiere passi falsi, ma nel caso aver pronta una strategia di risk e reputation management in grado di ridurre al minimo le conseguenze.
Non può essere trascurato nemmeno dai dipendenti di un’azienda, che anche quando agiscono con i loro profili personali sui social possono comunque trovarsi nella condizione di doverne rispondere ai datori di lavoro. Parlare male del proprio titolare, condividere contenuti opinabili, comportarsi da hater sono solo alcune delle azioni che possono causare alle persone grossi problemi in ambito lavorativo, in quanto il loro nome è comunque associato a quello del loro posto di lavoro. Chi osserva può quindi farsi un’idea negativa non solo della persona, ma anche di chi lo ha assunto, e magari decidere di boicottarlo.
Per non pensare infine a chi ha una sua attività in proprio, magari piccola, e non può credere di scindere online quella che è la sfera professionale da quella personale. Prima del web era difficile conoscere i gusti, le passioni, gli hobby, gli ideali politici o religiosi del negoziante sotto casa. Ora ci basta dare un occhio ai profili sui social per raccogliere un numero enorme di informazioni che potrebbero portarci per esempio a non voler più rivolgerci a un certo esercente, perché non accettiamo le posizioni razziste che più o meno velatamente trapelano dai suoi post.
Conclusioni
I social quindi ci permettono di conoscere certi aspetti delle persone che prima non erano accessibili, e questo inevitabilmente porta a modificare le relazioni interpersonali ma anche appunto quelle professionali ed economiche.
Questo a dispetto di chi ancora pensa che virtuale e reale siano due mondi separati e diversi.