Il digitale e l’IA sono il futuro, non solo del nostro Paese: occorre lavorare insieme per la condivisione della cultura digitale. La declinazione culturale del digitale è stata al centro dell’incontro “Le frontiere della tecnologia e il futuro dell’Italia”, moderato dalla giornalista Barbara Carfagna. L’iniziativa è stata promossa da una rete di organizzazioni e associazioni di formazione, cultura civica e innovazione tecnologica (Università Popolare Trentina, Politica Insieme, Fondazione Spaventa, Associazioni Popolari, Rete di imprese Da Vinci IoT e Costruire Insieme), che hanno puntato sulla mobilitazione dei corpi intermedi.
Il sociologo Everett Rogers, compianto autore di “Diffusion of Innovation”, metteva al centro aspetti di percezione, comunicazione e cultura come elementi fondamentali per facilitare od ostacolare l’adozione ed il passaggio di un’innovazione: una vera e propria contaminazione virale della fiducia o sfiducia e del desiderio o repulsione. Sotto questo concetto, Rogers poneva non solamente artefatti materiali, ma anche modalità organizzative o pratiche sanitarie (come l’esempio degli ostacoli insormontabili, di natura culturale, al fare bollire l’acqua prima di berla in una comunità peruviana).
“Cultura digitale”, ma che vuol dire davvero: caratteristiche, ecosistema e sfide
Un altro aspetto importante è quello delle reti sociali che possono diffondere informazioni positive su una nuova tecnologia (che per Gehelen e Galimberti rientra nella dimensione culturale, ovvero sia materiale che immateriale) e così motivarne l’utilizzo oppure il contrario.
Futuro digitale dell’Italia: perché l’industria 4.0 non basta
Ivo Tarolli, coordinatore dell’evento e presidente dell’Università popolare Trentina, ritiene che «Riferirsi esclusivamente alla quarta rivoluzione industriale, l’Industria 4.0, porta il rischio di concentrarsi sugli aspetti produttivi e di business e di porre la società e le persone in funzione dei primi. Per disinnescare questo rischio, dobbiamo riconfigurare come centrali le persone ed i corpi sociali intermedi, indispensabili per la rinascita economica e la vitalità stessa delle imprese. Diffondere una cultura digitale, affinché siano le persone e i corpi intermedi protagonisti attivi e non passivi dell’inevitabile onda tecnologica: o la cavalchiamo insieme o ne saremo travolti come comunità Paese, parte della comunità più estesa d’Europa, con l’emergere preponderante di quelle realtà economiche e finanziarie che da sole hanno più risorse e meno responsabilità degli Stati».
Hanno riflettuto su questo tema: Fabio Vaccarono, vicepresidente di Google; Corrado Passera, Ad di Illimity, già Ministro dello sviluppo economico e Ministro delle infrastrutture; Maurizio Casasco, presidente della Confederazione italiana della piccola e media industria privata (Confapi); Ettore Prandini, presidente della Confederazione nazionale coltivatori diretti (Coldiretti); Stefano Zamagni, presidente della Pontificia accademia delle scienze sociali.
Futuro digitale dell’Italia: i cinque passi della transizione
Dal confronto è emerso che l’innovazione digitale del nostro Paese deve passare attraverso: una dimensione culturale (1), costituita dall’acquisizione condivisa della consapevolezza del ritardo in cui l’Italia langue; del passaggio quindi ad una predisposizione al cambiamento (2), che passa attraverso la formazione (3) e la ricerca (4), tese entrambe ad operare assieme all’industria e al mondo del lavoro nel complesso, e si realizza in un percorso che abbraccia, necessariamente, l’Intelligenza Artificiale (5).
Primo passo: prendere consapevolezza del ritardo
Sulla consapevolezza hanno visioni molto convergenti sia il vicepresidente Google che l’ex ministro Passera. Fabio Vaccarono ha riportato, infatti, come l’Italia sia in Europa al venticinquesimo posto su ventotto nazioni nell’adozione di tecnologie digitali. È vero che la distanza imposta dalla pandemia ha contribuito ad un incredibile balzo in avanti, l’oramai noto “cinque anni in uno”, ma questo è un aspetto tendenzialmente globale e non nazionale. L’utilizzo della rete da parte degli italiani si è incrementato del sessanta per cento. Ma siamo ancora indietro per la diffusione delle tecnologie ad altri paesi mediterranei, come la Spagna: questo potrebbe giocare un importante ruolo nella resilienza e ripresa del settore turistico.
Secondo passo: predisporsi al cambiamento
Per non essere travolti, bisogna andare verso il cambiamento, cavalcare l’onda per dominare il caos, predisporsi all’innovazione, se il caso anticiparla, ovvero essere innovativi nell’innovazione. Chi fa il primo passo, impone la direzione ed il ritmo, cioè acquisisce leadership, chi viene dietro segue e paga più dei primi. Un esempio concreto è stato condiviso nell’intervento di Corrado Passera, preoccupato che il ritardo tecnologico possa fare partire l’euro digitale in coda ad altre valute istituzionali, che potrebbero così imporsi su scala mondiale e, pertanto, indebolirci geopoliticamente.
Terzo passo: potenziare la formazione
Nella predisposizione al cambiamento del nostro Paese, fondamentale è la formazione, di ogni ordine e grado. Su questo si sono espressi in modo univoco i presidenti della Pontificia accademia delle scienze sociali, di Confapi e di Coldiretti.
Sin dai primi passi nella scuola occorre predisporre attitudini, curiosità, apertura al mondo e familiarità con le nuove tecnologie che saranno fondamentali per le donne e gli uomini che un domani saranno chiamati a entrare, in diversi livelli e settori, nel mondo del Lavoro.
Fondamentale, secondo Zamagni, è che questo passaggio non venga visto come l’alternativa alla scuola, idea che invece trasparirebbe nella modalità didattica dell’ “alternanza scuola e lavoro”.
L’economista si rifà in questo ad Aristotele, di cui cita il concetto di «conazione, dove la conoscenza è posta al servizio dell’azione e l’azione non può essere esercitata se non su una previa base di conoscenza». La sua visione di un Welfare circolare, dove lo Stato rinuncia ad una parte del suo potere in funzione del Terzo settore, che assume così precise responsabilità in collaborazione con soggetti pubblici e privati, diventa chiave di volta anche nell’impiego dei fondi del Recovery Plan per la scuola, che secondo l’ex Ministro dello sviluppo economico, «devono venire utilizzati per innovarla, investendo in iniziative profit e non profit per decuplicare, così, il numero dei posti […] Utilizzare i fondi del PNRR, per scatenare energie del privato e del privato no profit, può portare a risultati enormemente più ampi».
Quarto passo: investire nella ricerca
Gli investimenti nella ricerca, secondo il presidente di Confapi, devono favorire la collaborazione tra ricerca universitaria e industriale per lo sviluppo delle cosiddette “Deep Tech”. La pervasività completa delle ricadute dell’innovazione in ogni aspetto della nostra esistenza, ha fatto sì che molte tecnologie innovative e di frontiera incidano profondamente sulle nostre vite e sulla società. Le ricadute, pertanto, di un’invenzione o delle applicazioni di una scoperta, in una società globale e iperconnessa (l’extremistan di Taleb) possono essere, anche finanziariamente, illimitate.
Quinto passo: riconoscere il ruolo strategico dell’Intelligenza Artificiale
Nello scenario composto dai precedenti punti per la transizione dell’Italia al futuro digitale, l’IA ha un ruolo circolare: le predette condizioni costituirebbero l’ambiente culturale, imprenditoriale, innovativo di sviluppo dell’IA, ma a sua volta questa lo supporterebbe nella gestione ed elaborazione delle informazioni, delle imprese, dell’industria e dei sistemi e reti d’impresa e industriali.
Infatti, il vicepresidente di Google ha sottolineato come «le grandi economie europee oggi hanno capito molto più di noi che l’IA rappresenta una grande opportunità per tutti», ed i benefici, anche per le PMI, sono troppo importanti per non essere promossa, anche al servizio del tessuto produttivo sul quale si regge il nostro Paese.
Per questo, una rete intelligente di imprese è un potente motore di sviluppo, e lo è ancora di più, secondo il presidente Coldiretti, quando a queste si integrano le ambasciate all’estero, con servizi di supporto tecnico-informativo sui mercati internazionali che incrocino ed elaborino informazioni per conoscere nella maniera più approfondita e dettagliata possibili target da raggiungere per definire così in maniera mirata l’offerta di prodotti.
Il presidente della Pontificia accademia delle scienze sociali, ha posto questa sfida in termini culturali distinguendo tra un transumanesimo ed il neoumanesimo.
Il transumanesimo vede il superamento della persona, integrata, supportata e in molti compiti sostituiti, dalle macchine, verso una coscienza artificiale ed una fusione tra intelligenza artificiale, robot e ciò che resta dell’uomo. Evidenti in questo scenario distopico i rischi per la libertà e la democrazia.
Il neoumanesimo abbraccia la tradizione umanista nel quale il sapere è uno strumento di elevazione della persona. Ovvero le macchine e la tecnologia al servizio dell’uomo, degli aspetti fondanti la persona, la sua dignità e diritti, non il contrario. Zamagni ricorda che l’umanesimo è stato «inventato da noi italiani […] Nessun paese al mondo ha avuto qualcosa di analogo all’ umanesimo del 1400 in terra di Toscana».
Riappropriandoci, così, dell’inventività culturale del nostro passato, possiamo trovare una strategia per traghettare il nostro Paese verso il futuro.