#FOODPORN

Food porn, il cibo “buono da vedere”: il fenomeno psicologico

Il tema del cibo ha radici profonde nell’esperienza umana e nella sua ovvia necessità fisiologica, si declina in numerose componenti individuali, relazionali, sociali, culturali, storiche, politiche, economiche. L’ultima tendenza è quella del #foodporn, fotografare il cibo e postare sui social. Solo una moda o c’è altro?

Pubblicato il 07 Lug 2021

Silvia Antonelli

psicologa e psicoterapeuta

Fermentazione di precisione: il futuro arriva sulle nostre tavole

Cellulari, social e programmi tv negli ultimi tempi sono stati riempiti da foto, da programmi, da gare e approfondimenti vari sul cibo, su un cibo sovrabbondante che attrae, seduce e a volte confonde. Si tratta di cibo posto nella sua espressione estetica curata e ricercata, prima o al posto che gustato.

È stato così introdotto il termine “food porn”, espressione comunemente utilizzata per segnalare la pratica di chi fotografa il cibo (che ha cucinato o che deve mangiare) e condivide l’immagine sui social network. La prima ad introdurre tale termine fu la scrittrice Rosalind Coward nel 1985. Il significato dell’espressione era riferito non a un’immagine, ma al modo in cui un piatto viene offerto: più l’impiattamento e il servizio sono curati, maggiore è l’attenzione e l’affetto che l’ospite percepisce. Tale fenomeno, mossosi da tale inziale definizione si è diffuso nelle sue forme più varie al punto che conta 234 milioni di post su Instagram, 67.400.00 risultati su Google, una pagina Wikipedia ed una pagina su Facebook con 1.964,773 like (1).

Dal cibo “buono da pensare”, al cibo “buono da vedere”

Il tema del cibo mette radici profonde nell’esperienza umana e nella sua pur ovvia necessità fisiologica universale, contiene e si declina in numerose componenti individuali, relazionali, sociali, culturali, storiche, politiche ed economiche. La questione cibo è extrasensoriale prima ancora dell’avvento di internet e del food porn che certamente ne amplificano tale aspetto. Il famoso antropologo Claude Lévi Strauss (1962) era solito dire che un cibo, per noi civilizzati esseri umani, dev’essere “buono da pensare” oltre che buono da mangiare. Nella attuale epoca antropologica e in alcune parti del mondo sembra che il cibo, oggi, debba anche, e soprattutto, essere “buono da vedere” e sollecitare il “desiderio del gusto”.

I messaggi visivi impattano e comunicano con maggiore intensità di quanto facciano le parole scritte o ascoltate e lasciano tracce principalmente di carattere sensoriale ed emotivo, condensano messaggi, restano più impresse più a lungo, si memorizzano meglio e sollecitano proiezioni e interpretazioni personali. I media hanno concorso, soprattutto nell’osservazione del fenomeno food porn degli ultimi cinque anni a definire una grammatica specifica di questo linguaggio attraverso il cibo. #Foodporn non si riferisce più soltanto ad una pornografia alimentare, fatta di cibi eccessivi, ipercalorici, scenografici, ridondanti di colori ed ingredienti, ma riguarda anche l’operazione più ampia e pubblica, non solo per tecnici dell’alimentazione e della ristorazione, di postare cibo, di riempire social con foto di alimenti, di ingredienti o di piatti.

Una lettura del food porn dal punto di vista psicologico

Non è semplice ad oggi la lettura del food porn dal punto di vista psicologico e credo che, come tutto ciò che accade attorno a noi, vada in prima battuta osservato con curiosità, cercandone senso e valore piuttosto che arroccarsi in posizioni pro o contro, troppo superficiali o di contro patologizzanti. Vi sono infatti posizioni di psichiatri che hanno evidenziato aspetti ossessivi e di eccessiva centratura nella fotografia di cibo, come elemento che diventa focale nella vita lasciando tutto il resto sullo sfondo e segnalando disordini alimentari o veri e propri disturbi mentali. C’è chi di contro sostiene che, chi fa foto di cibo e le posta su Instagram molto spesso vuole banalmente seguire una tendenza e magari essere di tendenza. Ci sono persone alle quali semplicemente piace cucinare e quindi vogliono postare foto di quanto realizzato, come in una specie di gioco. Ed è così. In un continuum che va dalla patologia alla semplicità di postare ciò che mi piace, proviamo a vedere alcuni ingredienti da cui mi sembra composto questo fenomeno del #food porn.

Alcuni studi segnalano come un cibo fotografato e quindi più atteso e guardato con l’occhio che ritrae diventi più appetibile, più desiderabile, anche quello che avrebbe potuto non esserlo (un’insalata o un cibo molto light, per esempio). Per alcuni è una questione primariamente estetica, di costruzione del piatto, di abilità fotografica, di rilievo di luce, o un’esperienza di eccessi, goduriosa, quasi erotica. Piatti pornografici, appunto, per il desiderio voyeuristico che sollecitano, per l’elevata salivazione e per l’aumento del battito cardiaco che sono capaci di provocare. Un cibo che sia bello, seducente, attraente, in cui il piacere di ritrarre ciò che stiamo mangiando supera quello determinato dall’assaggio. Ci possiamo chiedere: di che piacere stiamo parlando? In etologia questo comportamento si definisce superstimolo e rappresenta uno stimolo-chiave che si presenta quantitativamente o qualitativamente “esagerato” rispetto al modo in cui si manifesta in un contesto naturale, e che provoca in un animale una reazione più intensa o più “pronta”. Secondo la psichiatra Deirdre Barrett un’imitazione esagerata può provocare una reazione più forte rispetto alla cosa reale.

Food porn e educazione alimentare

Numerosi sono gli studi di marketing pubblicitario a partire da questo fenomeno a fini commerciali. Credo vada però anche considerata l’opportunità che tale attenzione e potere mediatico del cibo possa diventare una preziosa via per immaginare percorsi di educazione e sensibilizzazione alimentare che passino attraverso il potere delle immagini come motori emotivi che sollecitino pensiero e consapevolezza, se ben guidati. Ci abituiamo sì ai cibi che vanno di moda e che vediamo scorrendo sulle nostre bacheche fino a pensare che ci piacciano soltanto perché sono più desiderabili dalla community, oppure possiamo strutturare percorsi di preziosa educazione e igiene alimentare che convoglierebbero in una più ampia educazione alla salute per tutti.

Fotografare il cibo e condividerlo sui social trasporta al pubblico qualcosa che ha sempre rivestito una porzione privata o per pochi (“non si guarda nel piatto degli altri”, “guarda nel tuo piatto”). Anche la convivialità, contesto tradizionalmente denso di eventi personali e familiari viene esposta e condivisa: ciò che prima era intimo ora non lo è più, oppure esiste proprio perché è pubblico e per cui il cibo, ora più che mai, “si mangia con gli occhi”! Il cibo viene ripreso da particolari angolazioni e con giochi di luce, in modo che sembri il più vicino possibile all’osservatore. Le immagini così danno un maggior senso di prospettiva e quindi di tridimensionalità: una parte del cibo sembrerà quindi più accessibile per questa illusione di vicinanza. Il cibo sembra disponibile a concedersi, ma questo desiderio è frustrato dalla reale inaccessibilità. Questo aspetto non può che accentuare il desiderio dell’osservatore per l’oggetto raffigurato.

Un desiderio che nasce dalla mancanza

Va anche considerata una certa dose di psicopatologia nell’ossessione del cibo postato e guardato, che sfiora il disturbo del comportamento alimentare, oppure nel rischio che immagini di certi cibi, ripetute e seduttive e così diffuse creino disordini alimentari, sovrappeso, atteggiamenti alimentari scorretti, soprattutto in adolescenza.

Durante il primo lockdown, ma non solo, anche nei “lockdown di solitudine” della vita, pizze, focacce, torte postate trovano un senso nel compensare la mancanza del nutrimento e delle calorie della convivialità.

Colpisce certo la compresenza, in parte ambivalente e contradditoria, ma anche strettamente connessa, tra le abbuffate di cibo virtuale, ricette, programmi tv, tutorial, ricette veloci, foodie, foodblogger ecc. ed il must sociale di essere magri, in forma, che certo non permette di mangiare ciò che viene postato…se non appunto, con gli occhi. C’è un desiderio che nasce dalla mancanza, c’è l’ovvia pressione del pensiero di fronte ad una rinuncia come è il cibo per l’anoressica, continuamente pensato ma mai vissuto e proprio perché negato fra i bisogni del corpo, così invadente nella mente. La perfezione che si cerca di ottenere sul piano estetico per i cibi corrisponde a quella che caratterizza da sempre i corpi curati e ‘maggiorati’ degli attori del cinema pornografico. Si cerca di eliminare tutte le imperfezioni, che invece ritroviamo inevitabilmente nel nostro quotidiano reale. Il cibo oggi come il sesso ieri, pieno di taboo, di costrizioni, di fantasie negate e frustrate che ci porta a dei tentativi di sublimazione, di compensazione che permettano una sua molto parziale soddisfazione.

Tra il click della foto e l’invio nei social passa troppo poco tempo perché vi sia pensiero o piena consapevolezza dei contenuti comunicati. Non si tratta di foto pensate ma spesso agite. Le immagini postate non sono, per lo più, comunicazioni ideologiche sul tema cibo, ma impulsi, non sempre guidati da emozioni, ma da sensazioni del corpo e quindi non consapevoli, ma proiettate o esibite. La foto è un nostro specchio in cui, in questo caso, ci specchiamo attraverso ciò che compiace il nostro palato, cercando però anche accettazione e riconoscimento da parte degli altri.

Non dimentichiamo il peso dell’esibizione, dell’attuale e diffuso prepotente bisogno narcisistico di sollecitare attenzione da parte dell’altro, di essere sempre visti a tutti i costi, costantemente come in un “truman show” di cui siamo i registi, nell’illusione di destare costante interesse negli altri anche nelle piccole banalità quotidiane.

Conclusioni

L’eccesso, la vastità di scelta, la sovrabbondanza di informazioni non necessariamente aiutano ad orientarsi, ma creano confusione e incertezza. Così, credo, accada con le sovra-stimolazioni sul tema cibo/gusto/salute che parlano di un rapporto con il corpo sempre sotto esame ed una fatica ad avere le redini della questione.

Gli ingredienti e le componenti in gioco nella ricetta complessa, multicolore e multi sapore del food porn ci confermano la complessità e la ricchezza delle dinamiche sociali, individuali e gruppali in cui virtuale e reale si intrecciano in un tutt’uno. Ce n’è per tutti i gusti di questa dietetica digitale del food porn ed effettivamente come accade in cucina lo stesso piatto può riuscire bene in molti modi diversi o piacere solo ad alcuni, così come basta un ingrediente sbagliato e il piatto risulta sgradevole o un assaggio ripetitivo per annoiarsi o una dose eccessiva per averne nausea…a voi il compito di assaggiare!!

Bibliografia

L.Stagi, “Food porn, L’ossessione del cibo in TV e nei social media”, ed. EGEA, 2016

L. Stagi, S. Benasso, “Aggiungi un selfie a tavola. Il cibo nell’era dei food porn media”, ed. EGEA, 2021.

Romm C. (2015), What ‘Food Porn’ Does to the Brain – What’s the psychological appeal of looking at food that can’t be tasted? (estratto da) The Atlantic

https://whetyourappetite.altervista.org/foodporn-il-cibo-2-0-come-strumento-di-visual-marketing/

http://www.newyorker.com/business/currency/how-recipe-videos-colonized-your-facebook-feed

Ikea, uno spot per ridere del food porn

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