l'analisi

Invalsi 2021: a scuola si continua ad imparare, nonostante la Dad

I risultati dei test Invalsi 2021 ci raccontano il disagio, ma la vera notizia sarebbe stata che la scuola fosse rimasta indenne dagli effetti della pandemia. Il dato singolare è l’elevatissima partecipazione alla prova e che la scuola abbia continuato nonostante tutto a garantire la sua presenza e la sua azione educativa

Pubblicato il 21 Lug 2021

Daniela Di Donato

Docente di italiano (Liceo scientifico), PhD in Psicologia sociale, dello sviluppo e della Ricerca educativa presso Sapienza Università di Roma, esperta di metodologie didattiche, inclusione e uso delle tecnologie digitali a scuola.

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Il 14 luglio l’Invalsi ha diffuso gli esiti delle Prove sostenute nel 2021. Oltre 1.100.000 allievi della scuola primaria (classe II e classe V), circa 530.000 studenti della scuola secondaria di primo grado (classe III) e circa 475.000 studenti dell’ultima classe della scuola secondaria di secondo grado hanno sostenuto quest’anno la prova. Le prove standardizzate rivolte a tutte le studentesse e gli studenti italiani rappresentano la prima misurazione su larga scala degli effetti della pandemia sugli apprendimenti di base, conseguiti tra la seconda classe della scuola primaria e l’ultimo anno della scuola secondaria di II grado in italiano, matematica e inglese.

Il 2020 lo avevamo saltato, ma quest’anno la misurazione ha avuto luogo, come un rito sacrificale al quale è quasi impossibile sottrarsi del tutto. La pandemia non è finita e quindi le prove si sono svolte a conclusione di un anno scolastico ancora profondamente influenzato dalla presenza del COVID-19. Ecco i risultati.

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I risultati nella scuola primaria

Tra il 2019 e il 2021 nella scuola primaria non ci sono differenze significative: il quadro è stabile e simile in tutte le regioni del Paese, con la differenza che gli studenti che precedentemente si trovavano nelle fasce alte del rendimento (la scala va da 1 a 5 dove 1 è il livello più basso e 5 quello più alto) sono lievemente aumentati in italiano e lievemente diminuiti in matematica. In inglese gli esiti sono in linea: solo l’8% delle bambine e dei bambini non raggiunge il livello A1 (vuol dire che il 92% degli allievi della V primaria lo raggiunge), come prescritto dal QCER nella prova di lettura (reading) e solo il 18% non riporta l’esito atteso nella prova di ascolto (listening).

Rimane un divario territoriale, già fortemente presente da sempre nelle rilevazioni: al Nord e al Centro gli allievi che raggiungono il livello A1 di reading sono circa il 90%, mentre al Sud circa l’85%. Per il listening, invece, gli allievi che si collocano al livello A1 sono circa l’87% al Nord e al Centro, mentre circa il 77% al Sud. Le fasce basse sono rimaste uguali. Un po’ come dire che chi non sembrava avesse appreso molto prima della pandemia, non ha appreso molto neanche dopo, mentre i più bravi sono aumentati. La prova è stata completamente analogica (carta-matita) e va ricordato che docenti e studenti della scuola primaria hanno frequentato quasi sempre in presenza.

I risultati nella scuola secondaria

Nella scuola secondaria di I grado la prova è stata invece CBT (computer based testing) e ha riguardato la III classe (grado 8) e gli esiti sono stati rilevati mediante livelli crescenti di risultato (da 1 a 5 per l’italiano e la matematica e da pre-A1 ad A2 per l’Inglese). Rispetto alle Indicazioni nazionali per il I ciclo, il livello 3 si può ritenere adeguato ai traguardi per italiano e matematica, mentre per l’inglese il livello A2 è quello esplicitamente previsto dalle Indicazioni. I risultati del 2021 di italiano e matematica sono più bassi rispetto a quelli del 2019, mentre quelli di inglese (sia listening sia reading) sono stabili: in italiano il 39% della popolazione studentesca non ha raggiunto gli obiettivi (+5 % rispetto sia al 2018 sia al 2019). In matematica non raggiunge i traguardi il 45% degli alunni e delle alunne (+5 % rispetto al 2018 e +6 % rispetto al 2019). In inglese, va distinta la prova di reading da quella di listening, considerando il livello A2 come obiettivo. Nel reading il 24% non raggiunge gli esiti minimi (-2 % rispetto al 2018 e +2 % rispetto al 2019); nel listening la percentuale sale al 41% (-3% rispetto al 2018 e +1 % rispetto al 2019).

Qual è la “vera” notizia

La notizia che notizia non è, invece, è questa: in tutte le materie le perdite maggiori di apprendimento continuano a registrarsi tra gli allievi che provengono da contesti socioeconomico-culturali più sfavorevoli. Inoltre, tra questi ultimi diminuisce di più la quota di studenti con risultati più elevati. Si riduce quindi l’effetto perequativo della scuola sugli studenti che ottengono risultati buoni o molto buoni, nonostante provengano da un ambiente non favorevole (i cosiddetti resilienti). Anche i divari territoriali tendono ad ampliarsi. In Campania, Calabria, Sicilia e Sardegna si riscontra un maggior numero di allievi con livelli di risultato molto bassi, che in italiano raggiunge il 50% e oltre della popolazione scolastica, il 60% in matematica, il 30-40% in inglese-reading e il 55-60% in inglese-listening. D’altronde, è forse stato fatto qualcosa per diminuire il divario? Come ci si può aspettare risultati diversi se le condizioni sono sempre le stesse? Possiamo a cuore leggero dare tutta la responsabilità di questi esiti alla Didattica a distanza? Sarebbe un errore molto grave, così come è grave pensare di ritornare a scuola senza prendere provvedimenti seri per garantirla in presenza.

Nell’ultimo anno della scuola secondaria di secondo grado le prove sono costruite per fornire risultati su una scala unica per italiano, matematica e inglese in funzione dei traguardi previsti dalle Indicazioni nazionali al termine del secondo ciclo di istruzione. Indipendentemente dal percorso di studi frequentato, le prove sono costruite in modo tale da fornire a ciascun allievo la possibilità di raggiungere i risultati più alti. In italiano il 44% non raggiunge risultati adeguati (+9 % rispetto al 2019), in matematica saliamo al 51% (+9 %rispetto al 2019), in Inglese-reading (corrispondente al livello B2) siamo al 51% (+3 % rispetto al 2019), in Inglese-listening (sempre B2) arriviamo al 63% (+2 % rispetto al 2019). Confrontati con i risultati del 2019, l’inglese rimane stabile, sono più bassi invece i risultati di italiano e matematica. Di nuovo fortissimi sono i divari territoriali (Campania e Puglia in testa: qui non si raggiunge neanche il 50% di esito positivo in italiano, con punte del 73% di svantaggio in matematica e 82% in inglese) e sociali: gli allievi che provengono da contesti socio- economico-culturali più sfavorevoli, hanno risultati più critici.

Il presente e il futuro

I risultati ci raccontano il disagio, ma la vera notizia sarebbe stata che la scuola fosse rimasta indenne dagli effetti della pandemia. Quale avrebbe potuto essere la novità? Che togliere socialità e frequentazione scolastica aumentano la capacità di imparare? Che in tutto il pianeta la sofferenza e la paura hanno avuto un impatto su qualsiasi attività umana e sulla scuola no? Che tra nord e sud fossero scomparse le differenze negli esiti? Perché stupirsi così tanto di quello che la misurazione ci restituisce? Il dato che sembra singolare è l’elevatissima partecipazione alla prova e che la scuola abbia invece continuato comunque a garantire la sua presenza e la sua azione educativa. La lettura consolatoria di una Dad fonte di tutti i mali è pericolosa e fuorviante perché attribuisce la responsabilità a fattori tutti esterni alla scuola e che speriamo lascino le nostre vite in pace, entro un tempo ragionevole, che però non è così vicino come sembrava. La provincia autonoma di Trento non ha subito la pandemia? Naturalmente sì, eppure i risultati Invalsi sono ancora sopra la media nazionale.

Forse il sostegno alle famiglie, l’assetto tecnologico necessario per rispondere ai bisogni educativi e formativi della popolazione scolastica, la formazione dei docenti all’uso delle tecnologie digitali, una politica di inclusione didattica e sociale, che consenta trasporti sicuri e soluzioni organizzative compatibili con la flessibilità che continueremo certamente ad avere sono azioni concrete, che andrebbero messe in campo con rigore e prima di cominciare l’anno scolastico, non durante, sempre in condizioni di urgenza ed emergenza. Combattere la dispersione implicita, che fa uscire dalla scuola studenti senza avere solide competenze di base, potrebbe essere una prima sfida. Quando non ci sarà più la pandemia, a chi potremo dare la colpa della scarsa efficacia del nostro sistema scolastico?

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