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Riciclaggio con criptovalute, gli sportelli ATM ultima frontiera: vulnerabilità e tutele

Il settore delle criptovalute si sta imponendo come asset strategico per l’economia del terzo millennio, ma è di fatto penalizzato dalla mancanza di tutela contro le truffe e le operazioni illecite. L’ultima frontiera sono le automated teller machine. Servono regole chiare e trasparenza

Pubblicato il 02 Ago 2021

Massimo Borgobello

Avvocato a Udine, co-founder dello Studio Legale Associato BCBLaw, PHD e DPO Certificato 11697:2017

Gli sportelli ATM – automated teller machine, di fatto dei bancomat di bitcoin – possono essere utilizzati per riciclare denaro attraverso l’utilizzo di criptovalute.

Vediamo come funziona il meccanismo che ha portato gli uffici competenti della Banca d’Italia a evidenziare le problematiche del settore.

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Le verifiche nel 2020: triplicate le segnalazioni

Lo Uif (Unità di informazione finanziaria) – l’ente che effettua i controlli antiriciclaggio per conto della Banca d’Italia – ha intensificato i controlli sugli sportelli automatici atm, attraverso i quali è possibile acquistare o convertire criptovalute (fonte Wired).

Queste casse automatiche sono installate presso i locali di società italiane che operano come concessionarie di fornitori esteri di servizi di asset virtuali.

Dai controlli effettuati nel 2020 sono stati rilevati versamenti sui non coerenti con le dimensioni aziendali: in pratica, piccole o piccolissime aziende hanno aperto conti di criptovalute sproporzionati con la dimensione reale dell’attività.

Vale però anche l’operazione inversa: l’acquisto di criptovalute su portafoglio estero con la conversione in denaro contante attraverso la cassa automatica.

Per queste ragioni sono stati intensificati i controlli: si è passati così dalle 500 segnalazioni del 2018 alle circa 1800 del 2020 (fonte il Sole 24Ore).

Lo Uif, quindi, procederà anche al censimento degli operatori di criptovalute, anche se l’operazione rischia di non essere agevole ed efficace, sia per le lacune normative nazionali che per l’internazionalità degli operatori del settore.

Shitcoins

Shitcoins è un operatore di criptovalute polacco attivo in Italia ma sanzionato in Germania: questo perché non richiede alcun dato identificativo per la conversione di criptovalute in denaro contante o viceversa.

Allo stato, nel nostro ordinamento possono ancora operare wallet provider che non richiedono identificativi ai clienti: combinando le due operazioni, l’anonimato è pressoché certo.

I wallet provider “seri”, al contrario, chiedono dati identificativi molto precisi anche se, va detto, la possibilità di aggirare i controlli c’è sempre.

Le operazioni illegali

La possibilità di movimentare denaro con queste modalità consente, oltre alle operazioni di riciclaggio, anche il pagamento non tracciato di operazioni illegali e, su tutte, il riscatto dei ransomware.

Questa “operatività” fa diventare appetibile il mercato italiano dei cyberattacchi anche di piccolo cabotaggio, perché comunque molto remunerativi e poco rischiosi.

Considerato che cybersecurity e compliance GDPR sono ancora appannaggio delle realtà più strutturate o sensibili al tema, più che della generalità degli operatori economici, la falla diventa considerevole.

La normativa italiana

Il problema nasce, come spesso accade, in primo luogo a livello ministeriale: la normativa primaria (cioè la legge) impone, dal 2019, l’identificazione di tutti gli sportelli atm, con la conseguente tracciabilità dei soggetti che vi operano.

Non essendo stato però approvato il decreto attuativo, la legge è, di fatto, inapplicabile.

Non solo: allo stato le ispezioni e i controlli sarebbero possibili solo per gli operatori nazionali; per quelli esteri, al contrario, sarebbe necessario attivare le autorità dello Stato di appartenenza dell’operatore e, in caso di indagini penali, agire con la procedura della rogatoria.

Bitcoin e darkweb

Anche negli Stati Uniti il riciclaggio di denaro con bitcoin è stato recentemente affrontato da un’inchiesta federale, che ha colpito il portale Bitcoin Go.

Il portale, che operava dal 2011, era un mixer o, meglio, un tumbler di bitcoin: non utilizzava cioè solo con portafogli propri, ma anche svariati strumenti di valuta elettronica, come un vero e proprio “fondo” di bitcoin.

Questo tipo di operatività consentiva di diversificare agevolmente un unico investimento in denaro liquido in più portafogli virtuali, necessariamente più difficili da individuare e con ricostruzioni molto complesse nel contesto della blockchain.

Detto in altri termini, il servizio offerto era il “rimescolamento” dei bitcoin, con conseguente maggiore difficoltà di ricostruzione delle transazioni nelle varie blockchain, verso il pagamento di una commissione.

L’amministratore delegato, Roman Sterlingov, è stato quindi arrestato negli Usa perché avrebbe incassato una commissione di 1,2 milioni di bitcoin (circa 8 milioni di dollari, nel cambio in valuta “fisica”) per aver facilitato il riciclaggio delle criptovalute utilizzate come strumento di pagamento nel dark web.

Conclusioni

Il vuoto di tutela non consente solo un ampio margine di money laundering nazionale ed internazionale: è quasi un’istigazione a delinquere online in Italia.

Se le truffe informatiche (vishing, smishing e phishing) avvengono ancora su conti correnti o carte prepagate, è solo perché i soggetti truffati non sono ancora abituati ad operare con le criptovalute.

Questo determina una vulnerabilità di sistema che andrà necessariamente affrontata sia dal legislatore che a livello ministeriale sul piano normativo, ma anche dall’agenzia della cybersecurity nazionale sul piano operativo.

Non solo: un mercato opaco è un danno per gli operatori nazionali, che soffrono un danno reputazionale immeritato.

Il mercato delle criptovalute è in costante ascesa e gli operatori italiani meritano tutela: d’altra parte, è innegabile che la ripresa del nostro Paese dovrà avvenire a partire dal settore digitale e criptovalute e blockchain potrebbero risultare strategici in questo contesto.

L’impiego della bockchain, infatti, si sta diffondendo anche per utilizzi diversi dal trasferimento delle criptovalute; sotto il profilo della vulgata, però, è ancora strettamente legato ai bitcoin.

Se questi ultimi vengono visti, prevalentemente, come uno strumento ideale per truffe e riciclaggio, anche gli operatori del settore bockchain soffrono, direttamente, di un danno reputazionale diffuso e difficilmente rimediabile nel breve periodo.

È quindi opportuno che il mercato dei bitcoin sia il più possibile trasparente regolamentato in modo puntuale e coerente con lo sviluppo tecnologico italiano ed europeo.

Il rischio è penalizzare un settore che si sta imponendo come asset strategico per l’economia del terzo millennio.

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