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Legal design, il diritto attraverso le immagini: cos’è e le abilità richieste

Il legal design si colloca nel contesto delle forme espressive e linguaggi del diritto attraverso la scoperta (o riscoperta) delle immagini come un’alternativa al linguaggio naturale. L’obiettivo consiste nel facilitare la comunicazione di contenuti giuridici e rendere possibile l’accesso alla giustizia a tutti

Pubblicato il 20 Ago 2021

Amedeo Santosuosso

IUSS Pavia e Dipartimento giurisprudenza UNIPV

legal design

Il legal design è un fenomeno relativamente nuovo che incide in vario modo sul modo di concepire e praticare il diritto. L’aspetto più vistoso è quello di avvalersi di modalità comunicative diverse dai testi scritti.

Al di là di facili entusiasmi o scetticismi, lavorare sul linguaggio attraverso il quale si comunica è operazione di grande complessità, che, per essere intesa correttamente, deve essere inserita, per un verso, nel quadro più ampio dei cambiamenti in corso nel diritto e, per altro verso, nel dibattito sulle acquisizioni della teoria degli atti linguistici (speech acts).

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Globalizzazione giuridica e transnazionalismo espandono l’esperienza giuridica

Sul primo fronte, bisogna partire dalla constatazione che l’esperienza giuridica globale, negli ultimi decenni, è in netta espansione, anche a causa della globalizzazione giuridica e del transnazionalismo[1]. Si tratta di un fenomeno non solo quantitativo, come se il diritto di prima – fatto di contratti, leggi, decisioni ed altro -, diventasse semplicemente più numeroso, con un maggior numero di contratti, leggi, decisioni e altro, ma di qualcosa che riguarda anche il modo in cui il diritto viene espresso.

L’esperienza giuridica ha preso e sta prendendo forme che includono le seguenti manifestazioni[2]:

  • il diritto espresso in linguaggi naturali;
  • il diritto computabile;
  • il fenomeno del multilinguismo;
  • il legal design.

Il diritto espresso in linguaggi naturali

Il diritto espresso in linguaggi naturali continua a essere la forma di produzione di materiali giuridici (legislazione, giurisprudenza, decisioni amministrative, ecc.) ancora oggi del tutto prevalente e include: a) Decisioni basate su regole, cioè decisioni prese in settori del diritto e paesi nei quali può applicarsi il concetto rigoroso di Frederick Schauer[3] ed espresse in un linguaggio naturale, e b) tutte le altre decisioni legali che non rispondono allo standard di Schauer, sono espresse in uno specifico linguaggio naturale e si collocano in ambienti multilingue, tra cui i. la realtà mondiale dei diversi diritti nazionali; ii. Materiali giuridici tradotti da un linguaggio naturale in un altro, nel dialogo tra stati o all’interno di organismi e istituzioni internazionali; iii. I diritti prodotti in diversi originali scritti in diverse lingue all’interno di organismi e istituzioni internazionali (per es. UE, agenzie delle Nazioni Unite e altro)[4].

Il diritto computabile

È l’area in espansione dei contratti computazionali (come categoria più ampia, che comprende anche gli smart contract): qui, il codice è il diritto o, per dirla in modo più preciso, il diritto è espresso direttamente in codice (senza alcun passaggio di emulazione da un sistema a un altro). Ciò non esclude che vi siano anche fenomeni di emulazione, dove atti legislativi o contratti, originariamente espressi in un linguaggio naturale, sono emulati in linguaggi formali e diventano così computabili. Ciò accade per diversi aspetti della legislazione (anche nel diritto penale sostanziale), che possano essere espressi secondo una logica if/then. Vi sono poi decisioni che vengono prese con un contributo sostanziale dei sistemi di apprendimento automatico (data-driven legal decision-making), dove i dati potrebbero essere espressi direttamente in un linguaggio formale, oppure in un linguaggio naturale, che venga poi emulato in linguaggio formale o che non possa essere emulato per sua intrinseca natura.

Il fenomeno del multilinguismo

È stato proprio per dar conto di questa grande varietà di linguaggi che ho coniato il neologismo multi<naturale-formale>linguismo (multi<natural-formal>lingualism) le cui ragioni, espresse in altra sede[5], stanno principalmente nella necessità di dar conto del fenomeno del multilinguismo sia tra linguaggi naturali, sia tra i diversi linguaggi formali, sia delle diverse combinazioni tra essi.

Il legal design

Il legal design si colloca pienamente in questo fiorire di forme espressive e linguaggi del diritto attraverso la scoperta (o riscoperta) delle immagini come un’alternativa al linguaggio naturale, che riesca a facilitare la comunicazione di contenuti giuridici e rendere, in alcuni contesti, possibile un accesso alla giustizia a strati di popolazione che ne sono esclusi per mancanza di mezzi culturali, in primis la conoscenza della lingua del paese di arrivo (l’esperienza di Margaret Hagan, Direttrice del Legal Design Lab presso l’università di Stanford -Usa- ha più di un collegamento con questa realtà).

Le abilità richieste a un avvocato oggi

La questione, tuttavia, ha molte facce, di cui il bel libro appena pubblicato da Barbara de Muro e Marco Imperiale dà conto in modo esauriente e originale[6]. Di queste facce una è verticale, visto che le immagini hanno un’immediatezza che il linguaggio naturale, soprattutto se mal governato, difficilmente può avere. Un’altra è orizzontale e riguarda la comunicazione tra discipline diverse, una questione che oggi si pone per avvocati e giuristi in generale.

All’avvocato e giurista ogni giorno di più è richiesto di essere multilingue, nel senso di conoscere e parlare, almeno un po’, le lingue delle altre discipline con le quali si deve confrontare. È ancora una volta Margaret Hagan a ricordarci quali sono le abilità richieste a un avvocato oggi:

“Noi avvocati dobbiamo imparare a lavorare in gruppi di esperti interdisciplinari. Gli avvocati e gli altri professionisti legali possono essere molto esperti circa il contenuto del diritto, ma ciò non significa che essi siano la persona giusta per progettare l’intervento capace di affrontare il problema o per guidare il progetto per attuare questo intervento. Piuttosto, gli avvocati devono cercare altri tipi di esperti, che hanno le competenze per affrontare adeguatamente il problema e tracciare il percorso verso la risoluzione. L’avvocato dovrebbe certamente fare parte del team interdisciplinare, prendere parte al processo di progettazione e fornire indicazioni sugli aspetti giuridici. Ma l’avvocato deve cedere una parte (anche rilevante) del processo decisionale di progettazione a designer professionisti, programmatori di computer, neuropsicologi, economisti, educatori, psicologi, esperti di interazione uomo-computer e altri specialisti che hanno maggiore familiarità con la progettazione di prodotti e servizi” [7].

È una visione radicale ed esigente, perché richiede non tanto e non solo di acquisire nuove conoscenze e abilità, ma anche di rinunciare talora a quella centralità che l’avvocato (specie nell’attività stragiudiziale) considera il bene più prezioso e il segno della sua libertà. Un’interessante rassegna delle forme possibili e delle difficoltà del legal design comprende l’immagine nel contratto e l’immagine come contratto, le planimetrie nel contratto immobiliare, creative commons, comic contract e altro ancora[8].

Tutto ciò, è bene essere chiari, non è intelligenza artificiale e ha, piuttosto, molto a che fare con quel continuum tecnologico, fatto di connettività, web, elementi visuali (che sostituiscono o integrano il linguaggio naturale) e altro ancora.

Il rischio delle immagini ingannevoli

Nel legal design c’è un’avvertenza. L’utilizzo di linguaggi diversi da quello naturale risolve alcune difficoltà, in quei casi in cui realmente un’immagine può essere più chiara di una lunga sequenza di parole, ma, paradossalmente, moltiplica i problemi della comunicazione per quanti sono i linguaggi alternativi, perché è evidente che anche un’immagine può essere fuorviante, ingannevole, volutamente o per accidente, o usata per fini poco chiari. Ricordo l’immagine accattivante con la quale veniva presentato un contratto di assicurazione per danni a un immobile, dove si mostrava una graziosa casetta mono-familiare sulla quale era aperto un rassicurante ombrello rosso, che chiaramente induceva l’idea di protezione globale. Peccato che non fosse indicato, in nessun linguaggio, a quanto ammontava la franchigia prevista…

Fare cose con le parole

La consapevolezza del linguaggio è sempre necessaria, perché, se è vero che, secondo l’insegnamento di John Austin e John Searle, si possono fare cose con le parole, è altrettanto vero che si fanno cose anche con le immagini[9]. E il tasso critico deve essere di pari altezza.

Per esempio, ci si può chiedere quale sia il valore e il messaggio che trasmette la pubblicazione di un libro in formato cartaceo, e costituito da ampie parti testuali, per parlare della necessità di superare il linguaggio naturale. Apparentemente è un paradosso o una contraddizione in termini, ma, se si ragiona sul fatto che da qualche anno (dal 2016)[10] il discorso del legal design ha avuto anche in Italia uno sviluppo molto ampio e magmatico e che la caratteristica di un volume “tradizionale” è quello di costringere, prima gli autori e poi i lettori, a fare il punto della situazione, si può allora rivalutare anche la modalità tradizionale di comunicazione in quanto capace di interagire in modo proficuo con una realtà in rapido cambiamento, realtà che potrà avere uno slancio ulteriore, proprio a partire da quel punto fatto in modo tradizionale.

Si potrebbe dire che anche questa è un’esemplificazione della difficoltà, delle molte facce e del bello del multilinguismo.

Bibliografia

  1. M. Fenwick – M. Siems – S. Wrbka, S. (eds). The Shifting Meaning of Legal Certainty in Comparative and Transnational Law, Hart Publishing, Oxford, UK 2017.
  2. Traggo questa classificazione dal mio A.Santosuosso, Intelligenza artificiale e diritto, Mondadori Università, 2000 (il capitolo XI) e da A. Santosuosso – G. Pinotti, Bottleneck or Crossroad? Problems of Legal Sources Annotation and Some Theoretical Thoughts, in: Stats, 2020, 3(3), pp. 376-395.
  3. F. Schauer, Playing by the Rules: A Philosophical Examination of Rule- Based Decision-Making in Law and in Life, Clarendon Press, Oxford 1991. Secondo Schauer «il processo decisionale governato da regole è un sottoinsieme del processo decisionale legale, piuttosto che essere congruente con esso». Quindi un giudice prende decisioni sicuramente legali, ma non basate su regole, quando decide secondo il «miglior interesse» del bambino o del paziente, o secondo il sistema di equità o determina l’entità di una condanna penale a causa. Ciò dipende dalla natura e dalla qualità intrinseca della norma che è stata applicata, che non è chiaramente definita e che lascia ampi margini di ulteriore definizione a opera proprio del giudice.
  4. Per esempio, nell’UE, secondo il principio di uguaglianza, le versioni linguistiche non sono considerate come traduzioni: si veda E. Paunio, Legal certainty in the context of Multilingualism, in: M. Fenwick – M. Siems – S. Wrbka, S. (eds). The Shifting Meaning of Legal Certainty, cit., pp. 55-69.
  5. Si veda A. Santosuosso, Intelligenza artificiale cit, p. 269 in particolare.
  6. Barbara De Muro e Marco Imperiale, Legal design, Giuffré 2021.
  7. M. Hagan, Law by Design, disponibile all’indirizzo: http://www.lawbydesign.co/en/ch-6-future-agenda/ (visitato il 20 novembre 2020) [traduzione nostra].
  8. C. Morelli, Legal design: la rule of law è rock!, in Altalex 26/10/2020 in https://www.altalex.com/documents/news/2020/10/26/legal-design-rule-of-law-rock#tre (visitato il 20 novembre 2020).
  9. Sono le acquisizioni di base della teoria degli atti linguistici (speech acts) a partire dal lavoro di J. L. Austin, How to do things with words, Oxford University Press, Oxford 1962, che raccoglie le lezioni tenute a Harvard nel 1955, e John R. Searle, Speech acts, Cambridge University Press, Cambridge 1969.
  10. Quando invitai Margaret Hagan al Convegno Internazionale ”Quando il Diritto incontra la Tecnologia. When Law meets Technology”, svoltosi il 19 febbraio 2016 presso il Palazzo di Giustizia di Milano.

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