Le cronache di questi giorni sono piene di descrizioni di quello che sta accadendo in Afghanistan, inducendo in molti sentimenti di frustrazione e rabbia: quello che molti non sanno però è che la dèbacle nel paese Asiatico presenta diversi profili interessanti dal punto di vista del digitale.
Talebani, biometria e sicurezza dei cittadini
Il primo profilo riguarda la sorte delle strumentazioni e degli accessi alle banche dati riservate. I Talebani sono infatti venuti in possesso dei dispositivi biometrici militari statunitensi che possono aiutare a identificare migliaia di cittadini afghani che hanno aiutato le forze statunitensi o la coalizione. I dispositivi in questione si chiamano “HIIDE” Handheld Interagency Identity Detection Equipment e contengono dati di identificazione univoca come scansioni dell’iride e impronte digitali, nonché informazioni anagrafiche. A quanto sembra HIIDE è stato utilizzato come strumento di identificazione biometrica per aiutare le forze statunitensi a identificare tutti di residenti locali che collaboravano con le diverse articolazioni della coalizione e che dovevano essere identificati. Una volta caduti in mano dei Talebani, che evidentemente non solo hanno i dispositivi, ma anche i requisiti di accesso alle banche dati e gli account di identificazione, diviene pressoché impossibile fuggire, e questa è forse la ragione per la quale migliaia di persone cercano disperatamente di salire sui voli della speranza all’aeroporto di Kabul.
La prima riflessione riguarda quindi l’opportunità che i cittadini di uno Stato siano oggetto di informazioni accurate contenute nelle banche dati. Per quanto sembri antistorico, i casi di queste settimane, al di là dei fatti afgani (i casi di Ransomware della regione Lazio ad esempio), ci suggeriscono che minori dati abbia uno Stato rispetto ai cittadini, minori possibilità ci sono che i cittadini vengano esposti a gravi fatti, in caso di dispersione di dati. È per questo che la fiducia di alcuni rappresentanti istituzionali italiani nell’incrocio di banche dati, ad esempio a fini fiscali, appare grottesca.
Nel corso degli anni la principale preoccupazione dei Garanti privacy italiani presieduti da Stefano Rodotà e Franco Pizzetti era proprio quello di evitare il più possibile che le banche dati pubbliche potessero essere incrociate, esponendo così i cittadini a una possibile compromissione dei propri diritti fondamentali, ma da qualche tempo a questa parte, la ricerca dell’efficienza nel settore pubblico, che non si è spostata di un millimetro, ha portato diversi esponenti politici a inseguire un disegno da “panopticon” all’insegna del “io non ho nulla da nascondere”, che si rivelerà molto pericolosa per i cittadini.
Il ruolo di social e OTT nell’ascesa talebana
La seconda riflessione riguarda il ruolo dei social e dei cosiddetti over the top nell’ascesa talebana, come rilevato da alcuni commentatori, assistiamo a un movimento militare basato su fondamentalismo che gode di enorme spazio sui social, quando presidenti occidentali, democraticamente eletti, come Trump e Bolsonaro, sono stati privati dei propri account social. Non solo.
La rapida ascesa dei talebani trova anche un fondamento in una politica di “intimidazione” e di passaparola sulle conseguenze di un mancata fedeltà al nuovo regime, adottato sulle principali piattaforme social e di chat. Fino a quando le democrazie occidentali non troveranno la forza di disciplinare il potere delle grandi piattaforme social e degli over the top, imponendo rigidi requisiti di controllo e di partecipazioni societarie, non potremo sapere realmente se determinati assetti politici siano frutto della libera volontà dei cittadini o figli di una bolla “social” assecondata da chi ha interesse a sostenere uno o un altro candidato alle massime cariche pubbliche. Nel caso dei Talebani questo effetto appare indiretto, ma non c’è dubbio che siano queste le conseguenze di un uso orientato dei social da parte di movimenti spregiudicati.
La “lezione” della Cina
A meno che non si voglia fare come in Cina dove, nel momento in cui i grandi colossi del digitale hanno provato a mettere in discussione l’assetto politico del governo, si sono subito ritrovai in una situazione difficile.
Quando Jack Ma, proprietario di Alibaba, ha affermato che i regolatori cinesi stessero soffocando l’innovazione, l’IPO del colosso controllato da Alibaba, Ant Group Co., è stata subito bloccata, Jack Ma è scomparso per un certo periodo di tempo, vi è stata una indagine e una multa record dell’ antitrust su Alibaba.
E così è accaduto per altre grandi corporation cinesi nei mesi successivi.
Antitrust e altre Autorità indipendenti in Italia che sono invece misteriosamente silenziose in tema di regolamentazione e sanzione delle attività delle multinazionali, così come silenzioso e impaurito appare il legislatore italiano quando si tratta di affrontare il tema del controllo dello Stato sugli Over the top.
Conclusioni
Senza giungere a esiti illiberali va detto che le debolezze occidentali nel limitare i poteri delle multinazionali, che determinano così attraverso l’uso dei social, gli assetti politici di tutti gli Stati connessi alla rete, (e il caso di Trump e di Cambridge Analytica dovrebbe insegnare qualcosa) combinati a una politica “aggressiva” dello Stato sui dati dei singoli cittadini (per esempio attraverso l’uso spregiudicato a fini fiscali dei dati raccolti), appare in grado di creare una situazione di “finta” democrazia a danno del singolo nella quale tutti noi siamo immersi.
Prima capiremo che la creazione e gestione di banche dati pubbliche deve essere limitata per gli evidenti rischi per la sicurezza dei cittadini e che gli Stati si devono dedicare alla regolamentazione dei macroassetti del digitale, per esempio attraverso una imposizione fiscale urgente a danno delle multinazionali dell’internet e dell’informatica, prima potremo recuperare uno spazio di libertà del singolo che oggi è fortemente compromesso.