Da una parte le ragioni di Apple, per anni indiscusse. Dall’altra, quelle degli sviluppatori. Le cui pressioni cercano di smuovere un castello – quello degli app store, quello di Google incluso – che finora sembrava destinato a restare intatto in eterno.
Al momento il castello sembra resistere bene agli assalti. Resilienza, la parola giusta.
Primi segnali di cedimento di Apple o è solo un trucco?
Lo scorso 26 agosto, quando Apple ha proposto un accordo in transazione con un’associazione di sviluppatori, all’interno di una class action, che è stato definito epocale dalla stampa, ma che in realtà mantiene lo status quo dell’azienda fondata da Steve Jobs per i prossimi tre anni.
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L’accordo prevede l’impegno della Mela di lasciare invariata la percentuale della commissione sulle transazioni per i prossimi tre anni, di basare la visualizzazione delle app su criteri oggettivi di download e valutazione degli utenti ed infine di aumentare il prezzario delle App e dei servizi associati dal numero di 100 al numero di 500 (in altre parole il prezzo applicato per le App e per i servizi può essere scelto sulla base di 500 possibilità).
Dall’altra parte cade l’obbligo per gli sviluppatori di far pagare un contenuto o un abbonamento in app.
Molti commentatori, tra cui Jack Nicas del New York Times, hanno definito tale accordo una “farsa”, perché, seppur decada l’obbligo di acquisto all’interno dell’applicazione, ancora non è prevista la possibilità di inserire all’interno delle app un sistema diverso di transazioni.
Nei fatti sarà possibile per le aziende informatiche comunicare al cliente la possibilità di usufruire di altri sistemi di pagamento diversi da quello di Apple, così come già stava accadendo dopo che persino Spotify aveva iniziato ad indirizzare i clienti all’interno del proprio sistema interno.
Con l’accordo Apple ha proposto il pagamento di 100 milioni di dollari alle aziende querelanti, che però ne richiedono altri 30. Il pagamento non sarà a titolo risarcitorio, ma come un incentivo ai piccoli sviluppatori a proseguire la loro opera meritoria.
Da una indiscrezione del NY Times pare che il patto di quota lite tra la difesa dei querelanti e gli sviluppatori si aggiri intorno alla percentuale del 25%. Sicché, dei circa 70 milioni di euro attesi, ogni azienda dovrebbe ricevere da 250 dollari a 30.000 dollari ciascuno in proporzione al fatturato.
Occorre precisare che l’accordo del 26 Agosto attende ancora l’approvazione del Giudice Yvonne Gonzalez Rogers della Corte Distrettuale degli Stati Uniti d’America per il distretto della California.
Concessione a Netflix, Spotify
Un passetto ulteriore è arrivato a inizi settembre, quando Apple ha proposto che le reading app, come Netflix e Spotify, permettano in effetti di pubblicare sistemi di pagamento alternativi all’interno delle app.
Ma ancora dalle carte del processo con Fortine – riporta il NYTimes – risulta che i ricavi Apple da questo tipo di app sono trascurabili; il grosso viene dai videogiochi, infatti.
Le diverse ragioni
Apple sostiene che la percentuale di commissione applicata sulle transazioni, 30 per cento che crea un mercato di 20 miliardi di dollari, è il prezzo che lo sviluppatore paga per appoggiarsi su un negozio che ha una vetrina dalla quale passano potenzialmente 7 miliardi di persone. Così come un negozio nelle vie centrali delle grandi metropoli ha un costo di affitto molto alto, allo stesso modo la presenza all’interno dello Store più famoso del mondo sconta un prezzo elevato.
Simili gli argomenti che Google ha sempre sostenuto (con la differenza che permette, a differenza di Apple, di installare app al di fuori del sistema store): la commissione ci permette di mantenere un ambiente sicuro.
Gli sviluppatori, soprattutto delle Big Tech, dall’altra parte non sono più disposti a rinunciare ad una parte importante dei loro profitti e hanno così iniziato numerosissime battaglie legali all’interno dei Tribunali distrettuali americani.
Il sistema di Apple è semplice. Al momento della immissione all’interno dello Store, l’azienda californiana costringe lo sviluppatore ad usare il suo sistema di pagamento interno, riscuotendo così la propria commissione, in modo automatico. Apple per un lungo tempo ha anche impedito alle aziende di App di inviare mail ai propri clienti per destinarli ad altri sistemi esterni di pagamento.
E’ evidente che la maggioranza delle aziende informatiche preferirebbe fare sterzare il cliente al proprio sistema di pagamento, evitando di dover pagare il gettone ad Apple.
La prima ribellione
Una delle prime aziende che si è lamentata di tale sistema è stata Spotify, l’azienda svedese che offre il servizio di streaming musicale on demand nei confronti di quasi 140 milioni di utenti di cui 70 milioni di abbonati.
E’ ironico che un’azienda musicale, evoluzione dell’I-Tunes store, sia stata la prima a rompere il sistema di pagamento interno, facendo registrare i proprio utenti all’interno dell’applicazione, ma impedendo agli stessi di sottoscrivere un abbonamento direttamente dalla App.
Laddove un utente Spotify volesse sottoscrivere un abbonamento ha la necessità di andare direttamente sul sito internet dell’azienda. Per favorire ”l’esodo”, Spotify invia una e-mail agli account dei registrati dove pubblicizza semplicemente i servizi, con i relativi link di collegamento, senza mai violare i termini e le condizioni con Apple.
Apple e Fortnite: La Royale Battle
Non è certo finita qui. Curiosamente lo stesso giudice distrettuale è anche investito di dover decidere la querelle legale tra Epic Games, la società sviluppatrice di Minecraft e Fortnite, e Apple.
La ragione della battaglia legale si può facilmente intuire: Fortnite è il gioco online più diffuso tra gli adolescenti e ha avuto il suo debutto nel mercato delle App il 2 aprile del 2018.
Il gioco è gratuito, ma prevede una serie di servizi legati al gameplay acquistabili attraverso micropagamenti. Dopo solo il primo mese di pubblicazione si calcola che i guadagni abbiano superato i 25 milioni di Dollari, ed il gioco ha velocemente salito la classifica in termini numerici di download dello store. La genesi dello scontro avviene quando Epic Games decide di introdurre un metodo alternativo di pagamento aggirando Itunes ed impedendo a Apple di riscuotere la propria commissione.
Apple si difende dicendo che il proprio Store non è differente rispetto a quello di altri colossi come Playstation o X-Box (Sony e Microsoft) che hanno anche loro un sistema nativo per i pagamenti che non può essere eluso e non comprende le ragioni di tale decisione. La App viene sospesa dallo store per qualche tempo e le parti finiscono innanzi al Tribunale.
Uno degli aspetti importanti di questa vicenda sarà quindi la valutazione del giudice in merito ai terminali, I-Phone e I-Pad: se considerare tali device beni “generalisti”, cioè funzionali a più aspetti della vita, oppure devono rientrare in quella definizione che potremo chiamare “special purpose”.
Epic Games ha citato a testimonio Lori Wright, responsabile della Xbox Business Development di Microsoft, la quale ha definito console come Xbox un dispositivo special purpose, perché viene utilizzata per uno scopo specifico, mentre un Computer Windows invero si presta ad un numero infinito di scopi.
Un altro aspetto che emerso dal dibattimento riguarderebbe la tutela del consumatore. Mentre Epic Games ha imposto il limite di tre rimborsi per account, Apple ha una policy nei confronti dei consumatori molto più permissiva e non pone limiti ai rimborsi.
Inoltre c’è un altro aspetto da considerare: Fortnite è accusato da molti osservatori, anche istituzionali, di essere uno strumento che aumenta la compulsività degli utenti più giovani, specie in termini di acquisti effettuati all’interno del gioco.
In tal senso Epic Games, così come fatto da Spotify, avrebbe potuto indirizzare gli utenti ad effettuare i pagamenti esterni, e non in app, ma tale scelta avrebbe certamente ridotto gli introiti in maniera rilevante, perché avrebbe probabilmente smorzato “l’entusiasmo” del giocatore. In altre parole, il giocatore avrebbe potuto razionalmente decidere di non effettuare l’acquisto una volta smessi i panni del proprio eroe.
Ci sarà un Giudice in California?
Così come il mugnaio di Bertold Brecht che lotta contro l’imperatore per difendere i propri diritti, nella battaglia legale più attesa dell’anno si attende un verdetto che potrebbe non apparire più così storico, alla luce dell’accordo tra gli sviluppatori e Apple che potrebbe influenzare il Giudice Rogers verso una sentenza più conservativa. Non ci resta che attendere.