Le ricerche sulla scuola a distanza durante la pandemia sono state non poche e hanno certamente aiutato a tracciare il profilo dei cambiamenti nelle pratiche didattiche di docenti e studenti: le paure, i problemi e le criticità vissute da tutti. Sul futuro che verrà non è stato scritto molto eppure si dovrà cominciare a parlarne prima o poi.
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L’indagine
Tra maggio e settembre CNR-IRPPS (Progetto L@BED), INDIRE-Piccole Scuole e ANDIS (Associazione l’indagine Nazionale Dirigenti Scolastici) hanno promosso un’indagine, cha ha raccolto pensieri e proposte di insegnanti e dirigenti delle “piccole scuole” della rete nazionale Indire e dei dirigenti dell’Associazione Nazionale Dirigenti Scolastici. Era stato chiesto di pensare alle attività scolastiche degli ultimi dieci anni e riflettere su una scuola che verrà a partire dalle seguenti domande:
- Quale attività che è stata sospesa vorresti che non fosse più ripresa?
- Quale attività che è stata sospesa potrebbe iniziare come prima?
- Quale attività che è stata sospesa vorresti che fosse ulteriormente sviluppata alla ripresa?
- Quale attività che è stata sospesa dovrebbe essere completamente reinventata?
In questi giorni è stato pubblicato il rapporto di ricerca, che ha come titolo: «Nel crepuscolo dell’ora di lezione. La “normalità” post-pandemica nell’immaginario degli insegnanti».
L’inchiesta ha preso spunto dalla scrittura di un saggio del sociologo francese Bruno Latour che, il 9 aprile 2020 a poche settimane dai primi lockdown in tutto il mondo, invitò tutti a riflettere in anticipo su quello che sarebbe accaduto nel dopo pandemia. L’articolo non parla di scuola, ma del sistema di globalizzazione mondiale e di come all’improvviso sia stato possibile interrompere tutto per tutti. La proposta di Bruno Laotur era quella di usare il tempo di quel confinamento imposto, che allora era appena cominciato, per descrivere, da soli e poi in gruppo, quello a cui siamo legati, quello da cui siamo pronti a liberarci, i canali che siamo pronti a ricostituire e quelli che, con il nostro comportamento, siamo determinati a interrompere.
Insomma, il sociologo ha chiamato a raccolta la polis e tutta la cittadinanza globale, coloro che fossero stati interessati a scrivere una sorta di cahiers de doléance, nel tentativo di sterzare la direzione presa dalla società consumista e globalizzata e approfittare della situazione in atto per cambiare rotta. Propone quindi di rispondere a delle domande non per esprimere solo la propria opinione, ma per descrivere una situazione, proporla ad altri e “combinare le risposte in un paesaggio caratterizzato dalla sovrapposizione delle descrizioni” per giungere ad “un’espressione politica incarnata e concreta”[1].
La risposta della scuola
La struttura delle domande è stata trasformata in una inchiesta da proporre alla scuola, che ha risposto con più di mille compilatori. Hanno partecipato in prevalenza docenti (60%) e in misura minore dirigenti scolastici (32%), il campione è a prevalenza femminile sia nel caso dei dirigenti (76%) che in quello dei docenti (83%). I rispondenti lavorano nelle regioni del Nord (50%) e del Sud (33%), meno nelle regioni del Centro (11%). L’età di docenti e dirigenti è di 52 anni in media: più alta quella dei dirigenti (55 in media), più bassa quella dei docenti (50 anni in media). Dall’analisi delle risposte sono uscite le aree di un possibile futuro cambiamento: le metodologie didattiche, l’integrazione delle tecnologie digitali, la centralità del corpo nel curricolo, lo spazio-tempo della scuola e le condizioni del lavoro educativo nell’era digitale. Leggendo il rapporto, si nota il bisogno di delineare paesaggi educativi rinnovati: nulla di quello che si faceva prima del Covid sembra meritare davvero l’oblio, tranne forse la lezione frontale.
Un nuovo modello di apprendimento
Diversi partecipanti infatti chiedono di superare quella proposta per approdare ad un nuovo modello di apprendimento, integrato da un uso attento e pedagogicamente integrato delle tecnologie digitali; chiedono di non dimenticare il corpo, le relazioni e di avviare processi di costruzione di una didattica attiva, laboratoriale e motivante e anche comprendere la traduzione pedagogica delle tecnologie negli spazi educativi. Il dispiegamento delle potenzialità del digitale implica l’esplorazione di quali alternative pedagogiche scegliere in base a quali obiettivi educativi si vogliono realizzare (flipped classroom, class rotation model, etc.).
Insomma, quale proposta concreta viene tracciata in questo rapporto per la scuola del futuro, quella dopo la pandemia? Una scuola in cui prevalgano:
- piccoli gruppi di studenti per classe;
- una pluralità di spazi all’interno e all’esterno della scuola;
- pedagogie attive;
- tecnologie digitali;
- un numero maggiore di docenti.
Questi sarebbero i cosiddetti gesti-barriera proposti da Latour per immunizzare la scuola dalla “ricaduta” nella normalità pre-Covid, ma anche dai pericoli della pandemia.
Cosa dovrebbe cambiare nella “nuova scuola”
Diciamo che se volessimo seguire questa direzione certamente sarebbe necessaria sempre di più e sempre più diffusamente una formazione pedagogica a un uso del digitale a scuola, il passaggio dalla rigida lezione frontale immolata ad una forma di apprendimento puramente trasmissivo alle metodologie didattiche attive, nuovi concorsi per docenti competenti e la cura per la formazione dei docenti esperti, la diminuzione del numero degli studenti per classe. Sarebbe necessario anche mettere mano alle modalità di lavoro dei docenti: perché abbandonare le videoconferenze per lo svolgimento di molte attività collegiali, come accade già per lo smart working in altri ambienti lavorativi? E l’orario scolastico, se ne può parlare? Certo, il passo successivo è il contratto e poi quel middle management, che la scuola fa fatica a riconoscere e ad accogliere strutturalmente.
Manca ancora una cosa: ascoltare anche la voce di studentesse e studenti. Quale scuola vorrebbero, che cosa sarebbero disposti a fare per averla, quanto vogliono davvero essere protagonisti della loro formazione e del loro futuro? Ci sarà una Greta Thunberg dell’istruzione da qualche parte.
Conclusioni
Ricomporre il puzzle è complesso, ma non è impossibile e se vogliamo cominciare da qualcosa, suggerirei di iniziare da noi e dalla propria comunità scolastica: poniamoci tutti quelle stesse domande e troviamo il modo di condividere le risposte. Facciamole diventare il paesaggio che vogliamo guardare, prima che possiamo, prima che si abbandoni l’idea che di cambiare il mondo, prima che ci si dimentichi quanto sia importante stimolare la curiosità, l’amore per il nostro pianeta, la comprensione del prossimo, la cura dei fragili e dei miserabili della nostra società, la passione per la conoscenza, lo stupore e la meraviglia. È tutto quello di cui a scuola si dovrebbe poter parlare e fare esperienza, ogni giorno.
Bibliografia
https://www.indire.it/wp-content/uploads/2021/08/A4_SCUOLA_VERRA_ok_02-08_2021.pdf
Latour B., Immaginare gesti-barriera contro il ritorno alla produzione pre-crisi, in Antinomie. Scritture e immagini, 09/04/2020 <Ultima visita 27 agosto 2021>https://antinomie.it/index.php/2020/04/09/immaginare-gesti-barriera-contro-il-ritorno-alla-produzione-pre-crisi/?fbclid=IwAR1j9JWzXpq8BXNui5bhwZ6SY4BV_w5JhC1qKyN20JnhFMRcZJtsPKRxwH8
- Il testo in italiano è disponibile qui: https://antinomie.it/index.php/2020/04/09/immaginare-gesti-barriera-contro-il-ritorno-alla-produzione-pre-crisi/?fbclid=IwAR1j9JWzXpq8BXNui5bhwZ6SY4BV_w5JhC1qKyN20JnhFMRcZJtsPKRxwH8 ↑