I social network gratuiti oggi hanno raggiunto una situazione di stallo, la qualità delle conversazioni è sempre più scadente e le nuove funzionalità vengono sistematicamente copiate da una piattaforma all’altra[1]. Probabilmente un completo cambio di paradigma nel modello di business potrebbe fare la differenza tra piattaforme social antiquate e nuove piattaforme più innovative, pulite, trasparenti e attente alla privacy degli utenti.
Ma come fare?
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Il concetto di “metaverso”
In una recente intervista su The Verge, Mark Zuckerberg ha provato a descrivere la sua visione per il futuro di Facebook e per fare questo ha preso in prestito il concetto di “metaverso”.
Il “metaverso”, termine coniato dall’autore di fantascienza Neal Stephenson, nella visione di Zuckerberg è un’estensione della realtà ottenuta tramite l’applicazione di tecnologie come la realtà virtuale e la realtà aumentata, in cui le persone vivono esperienze più o meno immersive all’interno di mondi virtuali, incontrano altre persone e accedono a nuovi contenuti e servizi.
Per Facebook si tratta di una evoluzione piuttosto naturale per uscire dalla tradizionale comunicazione basata su contenuti testuali, immagini e video e, se la tecnologia sarà sufficientemente pronta, potremo presto sperimentare queste nuove modalità di interazione all’interno del metaverso di Facebook.
C’è da dire, tuttavia, che l’applicazione di nuove tecnologie a modelli relazionali che, negli anni, hanno dimostrato molte opportunità, ma anche molte debolezze, non può sfortunatamente consentire di superare queste ultime, a meno di non partire da un profondo ripensamento dei modelli relazionali stessi e dei modelli di business che si occupano di renderli economicamente sostenibili.
È necessario quindi fare un passo di lato, osservare il mondo dei social network dall’esterno e, di conseguenza, provare a ipotizzare quali caratteristiche potrebbe avere una piattaforma di socializzazione e networking in grado di superare le debolezze e le limitazioni che, sfortunatamente, oggi affliggono la stragrande maggioranza delle piattaforme esistenti.
Piattaforme non gratuite
Siamo abituati a pensare che i social network siano gratuiti. Non è vero. Quello che realmente accade è che l’utilizzo di questi servizi viene pagato con la cessione dei nostri dati personali e comportamentali. Tutto quello che scriviamo, i commenti che inseriamo, i ”like” o le varie reazioni che utilizziamo sui contenuti degli altri, la nostra rete di contatti, i gruppi che frequentiamo e molte della attività che tradizionalmente compiamo sui social network producono dati. Questi dati consentono alle piattaforme di costruire veri e propri profili commerciali a cui poi inviare messaggi pubblicitari mirati nella speranza che questi si convertano poi in acquisti reali di prodotti o servizi.
I dati degli utenti hanno quindi un valore, ma quanto?
Se volessimo provare a fare una quantificazione potremmo usare i dati presenti nel report che Facebook ha prodotto e che contiene i risultati economici del 2020: Facebook nel 2020 ha registrato ricavi per 84 miliardi di dollari, in aumento del 21% sul 2019, e utili per 32,2 miliardi. Avendo Facebook 1,84 miliardi di utenti attivi giornalieri, si può dire, per semplificazione, che ogni utente di Facebook ha contribuito nel 2020, attraverso i suoi dati personali e comportamentali, per circa 46 dollari ai ricavi della piattaforma.
Il business model di queste piattaforme non è quindi basato sull’offrire la migliore esperienza per l’utente, ma sull’ottimizzare al massimo la raccolta dei dati comportamentali al fine di poter vendere pubblicità mirata. Questo introduce un conflitto di interessi intrinseco nella piattaforma: la quantità di relazioni e di interazioni è molto più importante della loro qualità, e questo, ovviamente, avviene a discapito dell’esperienza dell’utente finale che riceve un servizio, pagandolo con i propri dati, ma tale servizio non è studiato per essere il migliore per l’utente, ma per essere più efficiente nella raccolta dei dati e nella loro conversione in valore.
Questo si traduce nella presenza di profili falsi, nella proliferazione delle fake news, nei follower che vengono comprati, nella presenza di attività illegali e nella possibilità, da parte di paesi stranieri, di tentare di influenzare le elezioni politiche.
C’è quindi uno spazio per una nuova famiglia di piattaforme, totalmente rispettose dei dati comportamentali degli utenti, che non li utilizzino in alcun modo e che, per garantire la disponibilità dei servizi, si facciano pagare dagli utenti, abilitando quindi una convergenza di obiettivi per cui, a prezzi maggiori, corrispondano servizi di qualità migliore.
Una piattaforma di social networking deve vendere, attraverso i suoi servizi, la digitalizzazione delle relazioni sociali, non spazi pubblicitari.
Solo utenti la cui identità sia verificata
Una delle piaghe dei social network attuali è la presenza massiccia di profili falsi. A volte vengono creati per essere venduti come follower, talvolta sono vere e proprie macchine semi-automatiche di propaganda politica o di distribuzione di fake news, altre volte ancora sono profili secondari o anonimi utilizzati per attività di bullismo, intimidazione o vera e propria violenza psicologica che purtroppo, talvolta, si trasforma in violenza fisica.
Ecco, quindi, la necessità di ricorrere a identità certificate e profili verificati. Chi vorrà partecipare a questi social network dovrà provare la propria identità e presentarsi con il proprio nome e cognome, in nome della trasparenza e delle corrette relazioni sociali.
Attenzione però a non confondere la necessità per la piattaforma di verificare l’identità degli utenti, che è una scelta commerciale basata sulla necessità di garantire un servizio migliore agli utenti, con un’eventuale obbligatorietà normativa che obblighi tutte le piattaforme social ad operare in tal senso. Mentre il primo caso è assolutamente legittimo, al netto del corretto trattamento dei dati degli utenti da parte delle aziende, il secondo caso rappresenterebbe una forzatura inaccettabile in qualunque paese democratico, come ho avuto ampiamente modo di spiegare in passato. Molto semplicemente chi vorrà usare piattaforme anonime potrà continuare a farlo.
I profili verificati e le identità certificate garantiranno l’impossibilità di costruire profili falsi e bot che, oltre ad avvelenare molte delle conversazioni che avvengono oggi sui social network, in molti casi contribuiscono alla diffusione di notizie false e si comportano come megafono della propaganda.
Come effetto collaterale svanirà il mercato dei follower e di conseguenza anche il fenomeno dei finti influencer.
Modello di funzionamento
Il concetto di “amicizia sui social” sparirà e non ne sentiremo la mancanza. Il modello di funzionamento che prenderà il sopravvento sarà quello del “following”, cioè il seguire i contenuti delle persone che si ritengono meritevoli di essere seguite, senza per questo innescare meccanismi di reciprocità che non necessariamente devono avere un senso.
Già oggi le piattaforme che sono basate sul concetto di “amicizia” in realtà consentono anche di seguire persone al di fuori della propria rete, questo meccanismo diverrà lo standard.
Ognuno potrà decidere di avere un profilo pubblico, cioè che tutti potranno seguire, oppure un profilo privato, in questo caso sarà lui stesso a decidere quali richieste accettare, un po’ come oggi avviene su Twitter e Instagram. Allo stesso modo per ogni singolo contenuto si potrà decidere se renderlo pubblico, cioè accessibile a tutti indiscriminatamente, oppure se renderlo riservato ai propri follower, magari con opportune ulteriori limitazioni.
Con queste due dimensioni si potrà spaziare dall’avere la massima distribuzione dei propri contenuti, al poterli distribuire in modo granulare esclusivamente ad alcune persone selezionate, nella massima libertà e con la migliore flessibilità.
Chi potrebbe investire in queste nuove piattaforme?
Molti pensano che il mondo dei social network sia ormai saturo, in realtà di saturo c’è solo, per ora, il mondo delle piattaforme gratuite.
Passando invece a piattaforme a pagamento, completamente rispettose dei dati e dei comportamenti degli utenti e con funzionalità che privilegino la qualità delle conversazioni e la retribuzione dei creatori di contenuti, potrebbe aprirsi un nuovo tipo di mercato, soprattutto se queste piattaforme fossero inserite all’interno di ecosistemi già esistenti e potessero contribuire ad arricchirli.
Apple, per esempio, potrebbe realizzare una piattaforma di questo tipo e metterla a disposizione gratuitamente per un periodo limitato a chi acquista un suo nuovo dispositivo. La stessa Apple ha speso nel 2020 circa 3 miliardi di dollari in contenuti per la piattaforma Apple TV+ e nel 2021 si prevede che ne spenderà circa altri 6, il tutto per entrare in un mercato da molti giudicato saturo. Questo servizio viene usato da Apple anche come incentivo all’acquisto di nuovi dispositivi della casa di Cupertino che inizialmente concedeva 12 mesi di accesso gratuito, poi ridotti a 3, a chiunque avesse acquistato un nuovo smartphone, tablet o computer. Si potrebbe addirittura pensare ad una piattaforma accessibile unicamente tramite dispositivi Apple, oppure a canoni differenziati in funzione del tipo di dispositivo con cui si accede alla piattaforma.
Anche Twitter potrebbe inserire seriamente dei servizi a pagamento per i propri utenti, obbligando alla verifica dell’account e consentendo di filtrare tutti i contenuti e tutte le interazioni unicamente tra altri profili verificati. In questo modo si otterrebbe un sottoinsieme del social network in cui tutti gli utenti siano verificati, senza account falsi, senza bot e in cui le conversazioni siano destinate a diventare qualitativamente più rilevanti.
In entrambi i casi queste aziende partirebbero da numeri elevati di utenti potenziali, cosa che in un social network è una caratteristica determinante.
La condivisione dei ricavi
La condivisione dei ricavi con i creatori di contenuti più prolifici, o la cui qualità venga considerata più alta, garantirebbe anche uno spostamento degli stessi sulle nuove piattaforme e, di conseguenza, attirerebbe anche l’iscrizione da parte di chi è solo fruitore e non necessariamente produttore.
All’interno di queste nuove piattaforme, anche grazie all’utilizzo di nuove modalità di interazione come la realtà virtuale, la realtà aumentata e le proiezioni olografiche, sarà possibile produrre ed erogare nuove tipologie di contenuti da fruire direttamente dentro la piattaforma. Pensiamo, per esempio, alla possibilità di vedere un film o una puntata di una serie TV con la compagnia virtuale di alcuni dei nostri amici, in modalità totalmente immersiva, stando virtualmente insieme ma fisicamente lontani.
La stessa cosa accadrà per i videogame e per gli eventi sportivi.
Queste nuove modalità di interazione costituiranno presto nuovi mercati e attiveranno nuove professioni e nuovi posti di lavoro.
Il nodo delle fake news
L’eliminazione di account falsi e bot consentirà di limitare moltissimo la diffusione di notizie false costruite ad arte per scopi politici o di disinformazione. Non bisogna dimenticare però che non sempre è semplice determinare cosa sia una notizia falsa e cosa non lo sia, soprattutto se questo compito è affidato ad un algoritmo.
Probabilmente la migliore qualità delle conversazioni potrà tradursi anche in una maggiore attenzione ai contenuti che si condividono, ma è sicuro che chi vorrà parlare di terra piatta o di piramidi costruite dagli alieni potrà continuare a farlo.
Note
- https://vincos.it/2021/07/22/social-media-e-formati-verso-lomologazione/ ↑