Nelle ultime settimane il governo Draghi ha deciso la strategia dell’estensione a tappe del green pass, il certificato verde che, secondo il ministro della Pubblica Amministrazione (PA) Brunetta, dovrà progressivamente valere per tutti i lavoratori, sia pubblici che privati (professionisti e autonomi compresi).
Ma sul tavolo del governo si valuta anche di imporre l’obbligo vaccinale, almeno per alcune categorie.
Economisti, giuristi e anche i principali sindacati italiani ritengono che l’obbligo vaccinale rappresenti la via maestra per raggiungere lo scopo: il completamento della campagna vaccinale – che sta per raggiungere l’80% di vaccinati (a cui cioè sono state somministrate due dosi di vaccino), ma non è una soglia ancora sufficiente per scongiurare nuove restrizioni.
Ricordiamo che il presidente USA Joe Biden ha appena firmato ordini per l’obbligo vaccinale ai dipendenti di aziende con più di 100 dipendenti, pari a due terzi della forza lavoro. Una decisione contro cui varie forze politiche, governatori repubblicani, annunciano battaglia.
Green pass aziende, guida agli obblighi per lavoratori e datori
La prima estensione del green pass obbligatorio
La prima estensione del green pass obbligatorio è stata stabilita dal decreto legge approvato dal Consiglio dei ministri e riguarda chiunque lavori, da esterno, in scuole, università o ospedali; l’obbligo vaccinale per gli addetti a servizi, da esterni (per gli interni valeva già), nelle Rsa (residenze per anziani).
Dal 10 ottobre, quindi, scatterà “l’obbligo vaccinale per tutti i soggetti esterni che svolgono, a qualsiasi titolo, la propria attività lavorativa nelle strutture Rsa”, dunque, non solo per medici e infermieri.
Pro e contro dell’estensione a tappe del green pass obbligatorio
L’obbligo del green pass in azienda significa richiedere il certificato verde a un dipendente che ogni giorno si reca a lavorare. Una richiesta quotidiana che non è come chiedere (e verificare) il certificato a un ristorante o al cinema, in luoghi che si frequentano solo occasionalmente. Di fatto l’estensione del green pass maschera un obbligo vaccinale, senza però imporre tale norma con chiarezza e trasparenza. Inoltre, quasi nessun lavoratore può permettersi di pagare un tampone, seppur a prezzo calmierato, ogni due giorni, dal momento che sul green pass il tampone con esito negativo è valido per appena 48 ore.
Il green pass in azienda diventerebbe come la richiesta di patente C per un autista di camion: il certificato verde si sta trasformando in una condizione – sine qua non – per poter lavorare.
A questo punto, alcuni esperti si chiedono se, invece di cambiare la natura del green pass, inizialmente nato per altri fini (ottenere il semaforo verde per spostamenti e ingressi saltuari in alcuni luoghi chiusi), non sia meglio intraprendere un’altra strada. È più trasparente imporre l’obbligo vaccinale invece di snaturare un protocollo. Ma, in un governo come quello attuale a larghissima maggioranza, trovare un equilibrio non sembra così facile, nonostante l’autorevolezza, anche internazionale, del presidente del Consiglio.
A sostenere il governo Draghi sono forze eterogenee che hanno idee differenti, perfino all’interno di uno stesso partito: i presidenti di Regione leghisti sono a favore del green pass, mentre altri esponenti di spicco viaggiano su binari molto diversi, perfino sui vaccini. Dunque, sulla strategia per uscire dalla pandemia, a volte, le posizioni divergono e, al momento l’estensione a tappe del green pass viene vista come un compromesso per “azzerare il rischio”. O una scorciatoia.
Green pass obbligatorio in azienda: il caso Siemens
Dal 27 settembre, Siemens introduce il green pass obbligatorio, con controlli per verificare il rispetto dell’obbligo, nelle sue sedi amministrative. L’azienda pagherà i tamponi solo ai dipendenti fragili che, per motivi di salute, non si possono vaccinare.
Siemens è giunta a questa decisione con il coinvolgimento dei sindacati e dei dipendenti. I lavoratori hanno risposto volontariamente a un questionario da cui è emerso che il 90% dei lavoratori è già vaccinato.
La posizione dei sindacati sull’estensione del certificato verde
I sindacati, che non vogliono vedere i luoghi di lavoro trasformarsi in terreno di scontro e divisioni, non apprezzano l’idea dell’estensione del green pass sul lavoro, ma preferiscono la via, considerata più limpida e semplice da attuare, dell’imposizione dell’obbligo vaccinale.
La Cisl[1] ha dato “piena disponibilità al governo ed alle associazioni datoriali a costruire soluzioni contrattuali che migliorino e rafforzino la sicurezza negli ambienti lavorativi”, ma bisogna trasformare i luoghi di lavoro “in ambienti Covid free” e non in “campi di battaglia”:
“Come Cisl abbiamo sempre detto che il green pass è uno strumento importante per mandare in profondità la campagna vaccinale. Eravamo e restiamo contrari ad iniziative unilaterali perché molte incertezze legislative ed anche tante fughe in avanti di imprese non possono determinare tensioni, contrapposizioni, trasformando i luoghi di lavoro in un campo di battaglia”, ha dichiarato il segretario generale della Cisl, Luigi Sbarra, il quale, dopo aver incontrato Confindustria e Confapi, ammette la convergenza su tre punti: un sostegno condiviso ad una svolta legislativa che introduca l’obbligo vaccinale per tutti i cittadini. Infatti, Cisl, in sintonia con Confindustria e Confapi, intende sollecitare governo e Parlamento ad adottare urgentemente la norma di obbligo vaccinale, per “rafforzare e trasformare i luoghi di lavoro in ambienti Covid free regolando meglio, attraverso i protocolli, le intese sulla sicurezza anche negli spazi comuni e migliorando le relazioni industriali”. Intanto, il sindacato guidato da Sbarra ha riscontrato “la disponibilità delle imprese a sostenere che i costi dei tamponi non ricadano sui lavoratori”, “se il governo”, in attesa dell’obbligo vaccinale, “adotterà una norma legislativa che preveda l’obbligo del green pass negli ambienti lavoratovi del sistema pubblico e privato”, e ciò rappresenta il secondo punto di convergenza con la confederazione italiana della piccola e media industria privata: “Il presidente di Confapi ci ha comunicato che le loro aziende associate stanno già effettuando a loro spese i tamponi per i dipendenti delle piccole imprese”. In ogni caso la Cisl si dice pronta e impegnata a sostenere “la campagna pro vaccini anche con assemblee nei luoghi di lavoro aperte al contributo di medici, virologhi ed esperti della comunità scientifica”.
Sulla stessa lunghezza d’onda è il segretario generale della Uil, PierPaolo Bombardieri[2]: “La scelta che avrebbe dovuto fare il Governo era quella di approvare una legge sull’obbligo vaccinale”. Anche la Uil sottolinea le “contraddizioni” di “inserire il green pass e non definire la gratuità dei tamponi”, una scelta definita “un errore”. “Se questo tema riguarda la salute e la sicurezza sui luoghi di lavoro – ha affermato Bombardieri – vale il principio per cui i lavoratori non devono sostenere costi, anche perché “il prezzo calmierato di un tampone è di 15 euro” mentre “il suo costo si aggira tra gli 0,30 e i 3 euro”, cifre di cui “la politica non parla”.
Anche Enzo Pelle, segretario generale Filca-Cisl nazionale (sindacato lavoratori edilizia, legno, cemento, laterizi, lapidei), pone l’accento sull’aspetto divisivo del green pass, mentre sostiene con convinzione la campagna vaccinale, anche con una campagna d’informazione ad hoc per convincere a vaccinarsi scettici ed indecisi: “Il tema del Green pass sta scatenando polemiche e divisioni. Io credo che in questo momento storico sia necessario restare uniti e mettere in campo ulteriori azioni mirate per sconfiggere il Covid. Noi, da parte nostra, siamo disponibili a rafforzare i numerosi Protocolli sottoscritti nei nostri settori, che in questo lungo e difficile periodo emergenziale hanno garantito la salute dei lavoratori e l’accesso alla mensa. Siamo fermamente convinti e stiamo sostenendo con forza la vaccinazione di massa, perché riteniamo che sia l’unico modo per uscire da questo lungo tunnel e assicurare un futuro di salute, benessere e crescita economica a tutta la popolazione. Stiamo anche mettendo a punto una campagna di informazione e di sensibilizzazione rivolta ai lavoratori, insieme alle associazioni datoriali del settore, al sistema bilaterale dell’edilizia (Cpt e Formedil) e al Fondo sanitario Sanedil. Intendiamo convincere gli indecisi e tutti quelli che non si vaccinano non per convinzione, ma per paura. Siamo convinti fin dalla prima ora, infatti, che il vaccino sia l’unico strumento per superare questa pandemia e riteniamo che oggi potersi vaccinare è una fortuna. È chiaro che solo una legge può obbligare i lavoratori, ma un’azione sinergica può convincere ulteriori decine di migliaia di lavoratori edili indecisi”.
Nei giorni scorsi anche la Cgil ha rinnovato l’appello alle istituzioni a favore dell’introduzione dell’obbligo vaccinale.
Obbligo vaccinale o green pass in azienda. Le opinioni
Carlo Alberto Carnevale Maffè, professore associato presso SDA Bocconi School of Management, ha così commentato l’eventuale estensione del certificato verde in azienda, ponendo enfasi sulle criticità del green pass: “Il green pass è stato uno strumento utile in questa fase di transizione, ma fu inizialmente pensato come passaporto sanitario per attraversare le frontiere nazionali, non certo come certificato per entrare alla pizzeria Marechiaro. A tutt’oggi ha evidenti limiti tecnologici e organizzativi, e per quanto sia indispensabile in molti contesti, come la scuola e gli ospedali, non può diventare uno strumento permanente senza un sostanziale miglioramento delle funzionalità. Va quindi costantemente aggiornato, lavorando a livello europeo per arrivare a uno standard efficiente, sicuro e pienamente interoperabile”. Anche Carnevale Maffè è a favore dell’obbligo vaccinale in quanto rappresenta “la soluzione più razionale ed efficace”: “Quella che è sempre stata adottata in tutte le precedenti pandemie, e che ha tutti i presupposti scientifici e legali per essere introdotta anche in Italia: l’obbligo vaccinale progressivo e universale”.
Abbiamo contattato, poi, Alessandro de Nicola, avvocato e docente di business law presso l’Università Bocconi di Milano, per contestualizzare meglio i limiti dell’ipotesi di estensione del green pass in azienda: “Il Green Pass ha il vantaggio rispetto all’obbligo vaccinale di essere meno coercitivo e più flessibile. Tuttavia, è importante che il governo dia una prospettiva: quando finirà l’obbligo di Green Pass? Quando l’80% sarà vaccinato o quando, ad esempio, ci saranno meno di 1000 infezioni al giorno? Non si può concedere una discrezionalità permanente al governo, anche se ovviamente è possibile cambiare le prescrizioni se cambiano in modo inequivocabile le circostanze (ad esempio la variante Delta ha alzato di molto la soglia della ‘immunità di gregge’)”.
Immunità di gregge che, giustamente, l’avvocato de Nicola ha messo fra virgolette. Infatti, come spiega Nino Cartabellotta[3], presidente di Gimbe, non esiste immunità di gregge in una campagna vaccinale in cui: i bambini di età inferiore ai 12 anni non possono essere ancora vaccinati; i vaccini non conferiscono immunità totale; la loro efficacia inizia a ridursi dopo sei mesi e nei Paesi a basso reddito non arriva al 2% la percentuale di popolazione a cui sia stata somministrata la prima dose. Al momento spegnere l’interruttore della circolazione virale, tramite immunità di gregge, è un obiettivo irrealistico, ma, grazie alla campagna vaccinale e all’estensione del green pass o all’introduzione dell’obbligo vaccinale, possiamo invece raggiungere l’obiettivo di ridurre morti e ricoveri e voltare pagina rispetto all’anno scorso.
Marco Gay, presidente di Confindustria Piemonte e Anitec-Assinform, scommette sul green pass come strumento per supportare la ripartenza in atto: “La priorità deve essere la sicurezza sui posti di lavoro anche rispetto alla pandemia che stiamo vivendo, che purtroppo non è finita. Il green pass non sostituisce la campagna vaccinale, che deve essere sostenuta senza indugio, ma è, senza dimenticare le misure di protezione già in campo, lo strumento più efficace che abbiamo a disposizione e sta già facendo la differenza dentro le aziende, sostenendo l’ottimismo attorno a questa ripartenza”.
Sandra Zampa, ex sottosegretario alla Salute, nel precedente governo, attualmente responsabile Salute del PD, contattata da agendadigitale.eu, ha così commentato la fase 2 del green pass e definisce ultima ratio l’ipotesi di obbligo vaccinale: “Penso che il green pass sia una grande opportunità, ma risponda anche a un principio di giustizia in quanto finisce per tutelare la salute dei vaccinati, evitando quanto più possibile contatti stretti con chi ha rifiutato o rifiuta il vaccino. In modo progressivo verrà ancora più esteso e questo rafforzerà la sua efficacia. Ci aiuterà a raggiungere quel 90% circa di vaccinati che rappresenta la vera soglia di sicurezza collettiva evitando l’obbligo? È presto per dirlo. Occorre attendere la fine di settembre: in queste settimane le persone ancora dubbiose e aperte al confronto onesto avranno la possibilità e lo stimolo a trovare risposte ai propri dubbi. Ma se i dati ci dicessero che la soglia di sicurezza non è alla portata allora si dovrà decidere su obbligo vaccinale, ultima ratio. La mia speranza è che non serva, ma se non sarà così per parte nostra ci sarà via libera a questa decisione”.
Il commento della giuslavorista
Per capire come e se possa essere estesa in azienda l’esibizione Certificazione Verde Covid-19, agendadigitale.eu ha contattato Victoria Parise, giurista del lavoro: “Persistono incertezze su alcuni aspetti che incidono sulla gestione dei rapporti di lavoro: dalla possibilità di richiedere il Green Pass per l’accesso alla mensa aziendale, alla possibilità di estendere tale onere ai lavoratori impiegati nell’ambito di appalti di servizi interni all’azienda (ad esempio, attività di pulizia dei locali)”.
Victoria Parise, sottolineando anche l’aspetto fondamentale del rispetto della privacy, ritiene che “l’aggiornamento dei protocolli di sicurezza negoziati fra le parti sociali” appaia essere “l’unica via per risolvere le criticità che l’attuale e frastagliata normativa solleva in relazione alla tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori. I protocolli – siglati al livello nazionale, di categoria e aziendale hanno la possibilità di prevedere disposizioni ad hoc per le singole imprese e risponderebbe così all’esigenza di garantire anche la riservatezza di alcune informazioni sui lavoratori, in particolare lo stato vaccinale, così come auspicato dall’Autorità Garante per la Privacy”.
Prosegue Parise: “Come sostenuto da molti (Giada Benincasa, Assegnista presso il Dipartimento di Economia Marco Biagi Università di Modena e Reggio Emilia e Giovanni Piglialarmi Ricercatore presso il Dipartimento di Economia Marco Biagi Università di Modena e Reggio Emilia Working Paper 7/2021, Salus the Future of Eosh) ai fini della messa in sicurezza dei luoghi di lavoro, è necessario un coordinamento tra gli interventi legislativi del governo e i protocolli sottoscritti dalle organizzazioni sindacali, i quali possono rivelarsi uno strategico metodo d’azione per affrontare adeguatamente la nuova e complessa fase emergenziale. Peraltro, la certificazione verde potrebbe essere anche valutata – come già accaduto in precedenza con il vaccino, alla luce del contenzioso in materia – una misura tecnicamente più adeguata in grado di offrire una certezza maggiore circa l’assenza di infezione tra il personale che fa ingresso in azienda. Seguendo l’approccio secondo cui sarebbe stato possibile imporre ai lavoratori la vaccinazione anti-Covid19 obbligatoriamente in forza di quanto previsto dall’art. 2087 c.c., che mira a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro, tramite le misure tecniche più idonee secondo scienza ed esperienza (e dunque previo parere del medico aziendale), oggi è stato imposto il cosiddetto green pass come presupposto di sicurezza e tutela della salute in alcuni luoghi di lavoro. Finora la norma non specifica il destinatario della disposizione, ma si limita a stabilire che per tutti l’accesso a determinati luoghi sia possibile solo con lo strumento del green pass: “Il legislatore pone così sullo stesso piano tutti i cittadini e non si pone alcuna questione per i soggetti che per lavorare debbano accedere a locali accessibili solo con certificazione verde”. “Si tratta dunque di una libertà di accesso a luoghi e attività condizionate – in talune situazioni di rischio – da un adempimento imposto dalla legge per motivi di ordine e salute pubblica. Pertanto, ottenere il green pass è condizione legale per esercitare alcuni diritti.”
Inoltre, “va evidenziato che ai sensi dell’art. 9-ter, comma 2, del D.L. n. 52/2021, l’eventuale inadempimento del lavoratore di munirsi della certificazione, al quale dunque sarà impedito l’accesso al luogo di lavoro, sarà considerata assenza ingiustificata con conseguente sospensione dal lavoro e dalla retribuzione a decorrere dal quinto giorno di assenza”.
“Dal punto di vista del datore di lavoro sussiste infatti, sempre per legge, l’obbligo di verificare che vi sia il presupposto affinchéé il lavoratore possa accedere ai locali e lavorarvi in sicurezza, ma nel rispetto della normativa privacy e dunque senza conoscere lo stato vaccinale. È facile comprendere che l’obbligo di verifica del green pass per gli esercizi che lo richiedano (es. ristoranti al chiuso) collide con l’impossibilità di indagare lo stato di vaccinazione del lavoratore da parte del datore di lavoro che può far accedere le persone solo se munite di certificazione (es. ristoratore). Un lavoratore guarito avrà Green Pass per non più di 6 mesi e il non vaccinato per 48 ore. Dunque, la limitazione del trattamento dati della app di verificac19 lascia il tempo che trova nelle realtà aziendali dove la popolazione è limitata e il controllo quotidiano. (del tutto evidentemente la breve durata del Green Pass quando emesso a seguito di tampone o guarigione rivela al datore di lavoro – seppur indirettamente – lo stato di vaccinazione del lavoratore).
Ma il lavoratore ha davvero libera scelta, soprattutto se la sua professione non può essere svolta in smart working? “Per tali ragioni sembra impossibile parlare di scelta del lavoratore di munirsi di green pass e dunque di scelta di vaccinarsi in taluni specifici casi (scuola, esercizio aperti al pubblico, eccetera) ed inoltre l’altro grande tema è lo smart working. Infatti, non tutte le attività lavorative possono essere svolte da remoto e non sempre tale modalità organizzativa della prestazione è possibile ed efficiente. Esisterà sempre una parte di popolazione costretta alla vaccinazione: direttamente per legge o indirettamente tramite l’obbligo di munirsi del Green Pass”.
Cosa diversa dalla necessità del green pass è l’obbligo vaccinale per determinate categorie di lavoratori: “La disposizione che ha introdotto l’onere di munirsi della certificazione verde è l’art. 4 del D.L. 1° aprile 2021, n. 44, ossia per «gli esercenti le professioni sanitarie e gli operatori di interesse sanitario» che «svolgono la loro attività nelle strutture sanitarie, sociosanitarie e socio-assistenziali, pubbliche e private, nelle farmacie, nelle parafarmacie e negli studi professionali». Solo in tal caso, infatti, la vaccinazione costituisce (l’unico) «requisito essenziale per l’esercizio della professione e per lo svolgimento» della prestazione lavorativa con la conseguenza che in caso di rifiuto il lavoratore può essere adibito a mansioni diverse e/o inferiori che non implicano rischi di diffusione del contagio, sino alla sospensione dal lavoro e dalla retribuzione”.
Qual è la soluzione più razionale? Quella “più logica è che fosse rimesso al governo insieme ai sindacati di categoria più rappresentativi la regolamentazione degli obblighi vaccinali o del green pass e che sia permesso anche alla contrattazione di secondo livello di modulare secondo le fisiologiche esigenze di alcune realtà tali obblighi, all’interno di linee guida chiare e univoche. Ridurre la frammentazione normativa delegando a soggetti più prossimi alle realtà lavorative si è sempre rivelato un metodo efficace nel mondo del lavoro, un sistema capace di dettare regole di principio e trovare applicazioni pratiche che tenessero conto delle singole realtà nella piena garanzia delle parti sociali: datori di lavoro e lavoratori.”
Conclusioni
Negli Stati Uniti, patria della libertà e dei diritti individuali, l’amministrazione Biden, per ovviare al problema di una campagna vaccinale che si è arenata a quota 61-63%, mentre il virus torna a paralizzare gli ospedali, ha deciso l’obbligo per 100 milioni di lavoratori, fra cui i dipendenti del governo federale, quelli degli appaltatori dell’Amministrazione, il personale sanitario e alcune categorie di docenti scolastici. Le imprese private con oltre 100 addetti hanno il vincolo di vaccinare o testare i dipendenti ogni settimana, vincolo che però potrebbe essere contestato in sede giudiziaria. Chi non si vaccinerà entro 75 giorni, rischierà il licenziamento; sono previste rare eccezioni per chi ha impedimenti sanitari o religiosi.
Non sappiamo se la decisione statunitense farà scuola in Europa, ma sicuramente lancia un segnale importante. Come ha anche chiesto il presidente di Confindustria Carlo Bonomi, la politica dovrebbe giungere a una sintesi. Senza scaricare sui cittadini le proprie contraddizioni, divisioni interne e indecisioni.
Note
- https://www.cisl.it/notizie/primo-piano/lavoro-sbarra-protocolli-ed-intese-per-rendere-i-posti-di-lavoro-covid-free-sindacati-e-imprese-verso-il-ripristino-di-un-metodo-di-lavoro-partecipato/ ↑
- https://www.uilpavvf.com/2021/09/09/green-pass-pierpaolo-bombardieri-i-lavoratori-non-devono-sostenere-i-costi-per-la-salute-e-sicurezza-stabilire-la-gratuita-del-tampone/ ↑
- https://www.agi.it/cronaca/news/2021-09-09/vaccino-gimbe-immunita-gregge-chimera-13808163/ ↑